Messina Denaro arrestato questa mattina dai carabinieri del Ros nella clinica privata Maddalena di Palermo, dove era “per sottoporsi a terapie”
Era latitante da 30 anni, ed era da tempo saldamente in testa fra i criminali più ricercati in Italia. Si sospettava che si nascondesse all’estero, e invece lui restava spavaldamente nelle sue terre, fra Trapani e Palermo. Il boss mafioso Matteo Messina Denaro, capomafia di Castelvetrano, è stato arrestato questa mattina dai carabinieri del Ros, in un bar della clinica privata nel quartiere Maddalena di Palermo, dove era “per sottoporsi a terapie oncologiche”. Utilizzando il falso nome di Andrea Bonafede. Un’inchiesta coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido, ed eseguita dai Ros dei carabinieri guidati da Pasquale Angelosanto.
Accuse e condanne
È lunghissimo l’elenco di accuse e condanne che pendono sul capo del sessantenne capomafia, indicato come uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio e condannato all’ergastolo nel 2020. Per anni ai vertici di cosa nostra insieme ai boss Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e ai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Tra gli organizzatori del sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e poi sciolto nell’acido. Condannato all’ergastolo anche per l’attentato ai Georgofili del ’93 di Firenze. Di fronte a responsabilità tanto pesanti, paiono oggi lievi quelle – ormai accertate – avute sul fronte del traffico internazionale di reperti archeologici.
Tombaroli al servizio di Cosa nostra
Al centro degli illeciti “artistici” ci fu inizialmente l’anziano patriarca mafioso Francesco Messina Denaro, padre dell’arrestato, che ne prese il posto alla morte nel 1998. Secondo alcuni collaboratori di giustizia, ci sarebbe stato proprio Francesco dietro il furto del famoso Efebo di Selinunte, statua di grandissimo valore storico archeologico trafugata negli anni ’50. A gestire i traffici ci sarebbe poi stato Giovanni Franco Becchina, commerciante internazionale d’opere d’arte e reperti, originario proprio di Castelvetrano, arrestato nel 2017. Secondo gli investigatori della D.I.A. di Trapani, Becchina avrebbe accumulato enormi ricchezze con gli affari condivisi con Matteo Messina Denaro. Riguardanti reperti trafugati clandestinamente da tombaroli al servizio di Cosa nostra nell’importante sito archeologico di Selinunte.