Rendere pubblici i propri dati personali grazie a piattaforme digitali. L’attività che spesso inconsciamente subiscono milioni di persone ogni giorno diventa il fulcro di una parte della ricerca di Guido Segni.
Con Ultimo spettacolo a Milano l’artista ha proposto, nel mese di novembre 2022, un progetto site specific, realizzato a cura di Alessandra Ioalè e Andrea Tinterri negli spazio di e di Milano, dove il suo battito cardiaco monitorato in tempo reale diventa una composizione algoritmica generativa in stile Psy-trance.
Per meglio conoscere il progetto abbiamo dialogato con l’artista.
Personale e pubblico, due termini che nella nostra contemporaneità si confondono sempre più: come indaghi questa “dicotomia” nella tua ricerca artistica?
Stiamo in una fase di post-sbornia da social network e, come dici tu, personale e pubblico sono confusi a tal punto che non sempre riusciamo a distinguerli l’uno dall’altro. Dal mio punto di vista non si tratta necessariamente di avere una posizione pudica o conservativa della privacy. Ma è importante mettere in luce quanto “il personale”, o ancora meglio i dati personali siano oggi un business colossale in ogni ambito dell’economia e delle politiche contemporanee. Per questo da anni provo a lavorare con la tecnologia in direzione di rendere tangibile questa tendenza che mescola spettacolarizzazione dei dati personali con l’offuscamento tipico delle interfacce digitali.
Ultimo spettacolo a Milano, come nasce il titolo di questa mostra e a cosa si riferisce?
Qualcuno ha sperato fosse finalmente la mia ultima uscita pubblica. Non so se sarà veramente così ma il titolo in realtà è una iperbole. L’ultimo spettacolo si riferisce all’utilizzo di dati biometrici privati (in questo caso il mio battito del cuore) come ultima forma di spettacolarizzazione del privato.
Edicola Radetzky può essere considerata un display inaspettato nel cuore della Milano che si muove. Quanto lo spazio ha influito sulla scelta del tuo lavoro e come dialoga il tuo progetto con il pubblico?
Lo spazio di edicola Radetzky è stata una sfida stimolante vista la natura stessa della mia ricerca che non mi rende propriamente un artista “visivo”. Da sempre lavoro con materiali digitali, algoritmi, dati e non oggetti. Ecco perché, anziché mostrare oggetti, ho sfruttato gli spazi dell’edicola Radetzky come una cassa di risonanza e come display luminoso nello spazio pubblico con l’idea di creare un piccolo cuore pulsante nel centro di Milano, direttamente a contatto con i passanti. La frequenza del mio battito in tempo reale veniva tradotta in pulsazioni luminose di quattro fari display colorati da palco accompagnate in sottofondo da un brano techno ad alto volume. In breve, più che un’esposizione di oggetti lo spazio si è trasformato in una situazione in cui il pubblico ha interagito con curiosità e tutte le perplessità del caso. Alla fine del periodo espositivo abbiamo deciso di produrre una piccola restituzione cartacea che documenta il progetto. Questo documento è stato presentato domenica 29 gennaio all’interno di The Art Chapter, fiera del libro d’artista che si tiene a Milano negli spazi di Base.
Ultimo spettacolo a Milano conduce verso una spettacolarizzazione del privato, puoi raccontarci questa tua scelta estetica?
A livello di mainstream la spettacolarizzazione del privato è un processo in atto da alcuni decenni, dai Reality Show televisivi come il Grande Fratello fino all’avvento dei social network. Da questo punto di vista il mio lavoro non dice niente di nuovo.
Da una parte la scelta di attingere formalmente dall’immaginario dello spettacolo (le luci da palco, le casse e la musica techno) ha il senso di portare alle estreme conseguenze la tendenza a esibire la propria vita privata.
Ma d’altra parte viviamo nell’era dei Big Data e degli algoritmi, materiali invisibili che hanno importanti ricadute sul potere economico e politico. Anche il dato in tempo reale dei battiti al minuto (BPM) utilizzato nell’installazione, nella sua semplicità, deriva da un comune smartwatch che quotidianamente raccoglie, tratta e condivide i dati biometrici di un largo numero di utenti su scala globale. Ecco che lavorare con questi materiali è per me una scelta etica oltre che estetica ed è funzionale a rendere meno opaca l’interfaccia tecnologica e rendere un po’ più visibile ciò che normalmente non lo è.
La tua ricerca si muove tra realtà fisica e virtuale: esiste ancora una distinzione oggi fra questi due piani del reale e verso quali direzioni stai lavorando?
Credo che la confusione tra reale e virtuale sia figlia del momento storico: viviamo nell’era della virtualizzazione, della finanziarizzazione e della smaterializzazione della realtà a tutti i livelli. Ma se è vero che siamo sulle soglie della catastrofe climatica, credo che presto il reale tornerà a imporre il suo primato sul virtuale.
Dal punto di vista della mia ricerca, non sono in grado di capire quali direzioni stia prendendo, ma posso dirti che in linea di massima continuo a lavorare nella prospettiva di rendere più “aperto” e tangibile la complessità che si nasconde dietro le infrastrutture tecnologiche del quotidiano.
Questo contenuto è stato realizzato da Marco Roberto Marelli per Forme Uniche.
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