Stride e inquieta l’accostamento sulle reti Rai fra le drammatiche notizie del terremoto in Turchia e gli scintillanti lanci del Festival di Sanremo
E come potevano noi cantare
Con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.
La grande poesia trova sempre la storia che la fa attuale. E quindi noi oggi ringraziamo Salvatore Quasimodo per aver scritto, OGGI, “Alle fronde dei salici”. C’è tutto: il cantare, il piede straniero sopra il cuore, i morti abbandonati nelle piazze. Ovvero: c’è il Festival di Sanremo, c’è la guerra in Ucraina, c’è il drammatico terremoto in Turchia. E come potevano noi cantare? The show must go on, certo. E chi scrive, che si professa liberale, non si sogna certo di negare l’indipendenza dello spettacolo, più largamente della cultura, dalle contingenze. Però. Però ci sono inflessioni da non trascurare. Inflessioni che in certi casi diventano materia.
Chi nelle scorse ora avesse seguito alla tv i canali della Rai, non avrebbe potuto non notare situazioni che ci spiace dover definire agghiaccianti. Servizi che parlavano della tragedia accaduta in Turchia, con le devastazioni diffuse e il numero dei morti che saliva progressivamente, 1500, 3000, 5000… La linea torna allo studio, e si cambia scenario: luci, paillettes, volume assordante, sorrisi a 32 denti: “l’attesa è febbrile per l’appuntamento più atteso dell’anno! Domani sera tutti sintonizzati con l’Ariston!”. Stacco pubblicitario, e ancora dramma: madri che spostano brani di pareti alla ricerca dei figli, infermieri che ricompongono cadaveri straziati. E poi ancora shock! “Per chi voterete? Mi raccomando il voto da casa è importante!“.
Che una cosa del genere succeda su qualcosa che ancora ci si ostina a definire “servizio pubblico”, è questione da non affrontare ora. Così come non sono da affrontare ora i cachet milionari distribuiti in queste serate sanremesi, schiaffi – mai giustificabili con il “mercato” – alla crisi che attanaglia milioni di cittadini. Che pure pagano per questo. Ma il buon gusto, sì: quello dovremmo pretenderlo, o quantomeno sanzionare il cattivo gusto con l’oblio. Con che coraggio il nuovo Re d’Italia, Amadeus, gigionerà sorridente e ottimista mentre la conta dei morti toccherà quota 6000? Con che coraggio lui e i suoi accoliti si convinceranno di meritare milioni di euro di cachet “pubblici” che piuttosto potrebbero soccorrere i bisognosi terremotati?
Retorica? No, grazie: non c’è retorica nel richiamo alla realtà, quando la bolla dello show se ne mostra tanto distante. Continuate pure con le vostre schermaglie tanto amate dal pubblico. Ma almeno chiedetegli di aiutare i disgraziati – oggi turchi, ieri anche ucraini – a sopravvivere. Fate, per una volta, finta di esserlo, servizio pubblico. E provate ad abbassare un po’ quelle luci, oggi così stridenti. Grazie.