“Labirinti della Visione. Luigi Ghirri 1991”, al Palazzo del Governatore di Parma, è un’importante attestazione del lavoro del grande fotografo italiano, e del forte legame che ha intrattenuto con la città
Guardare, osservare il mondo e catturarne un pezzetto, un panorama, una visione che dal reale diventa il sentire dell’anima, è quello che da sempre caratterizza la fotografia, la cui funzione e “missione” si è evoluta nel tempo, attraverso il punto di vista degli artisti e della storia. Con l’introduzione della fotografia, la pittura, in particolar modo quella di paesaggio, è stata messa in crisi, con l’andare gradualmente a sostituire la meticolosità scientifica e corpuscolare del dettaglio che aveva caratterizzato la pittura rinascimentale e dei fiamminghi, con una immagine impressa dalla luce su una pellicola. Ed ecco che la fotografia, nella fine dell’Ottocento e inizi del Novecento, diventa documentale, documento attestante la realtà del momento, realtà in evoluzione, in cambiamento, sotto le spinte dell’ormai consolidata Rivoluzione Industriale.
Nell’ambito della fotografia di paesaggio, si colloca il lavoro del fotografo italiano Luigi Ghirri, che a trent’anni dalla prematura scomparsa è stato ricordato dalla sua Regione, l’Emilia-Romagna attraverso il progetto “Vedere Oltre”, organizzato con il supporto della Regione e di APT Servizi Emilia-Romagna. La mostra “Labirinti della Visione. Luigi Ghirri 1991”, parte del progetto e in corso fino al 26 febbraio 2023 presso il Palazzo del Governatore di Parma, è un’importante attestazione del lavoro di Ghirri e del forte legame che egli ha avuto con la città.
Il percorso espositivo, curato da Paolo Barbaro e Claudia Clavatorta, prende vita dalle fotografie che Luigi Ghirri, lasciò al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma (CSAC) per la pubblicazione nel 1991 del volume: “Viaggio dentro un antico labirinto” realizzato con Arturo Carlo Quintavalle, alla cui cura fu affidata la redazione dei testi critici. Le centocinquantatré fotografie presenti in mostra, furono scelte dal fotografo emiliano per il mockup del testo, in modo da poter progettare l’impaginazione del libro e instaurare il dialogo con il professore Quintavalle, fondatore dello CSAC, sul tema del paesaggio culturale.
Come indicato nel testo del critico: « (…) dentro questo libro non troveremo i monumenti e la loro immagine biecamente usurata dalla ripetizione, non troveremo un percorso geograficamente coerente secondo il modello antico delle esplorazioni fotografiche; non troveremo neppure diretti omaggi alle avanguardie e tantomeno citazioni da fotografie déjà vu come in altri casi quasi sempre accade; e non troveremo neanche un discorso documentario o un ordine di quelli che tutti attendiamo di trovare in un volume di immagini su un territorio culturale. No, troveremo invece ben altro, la idea che viaggio non è mai viaggiare dentro le cose, ma viaggiare tenendo presente le cose, viaggiare è porsi davanti agli oggetti per capire e capirsi di fonte a questi; quindi percorrere gli spazi attraverso la fotografia è appunto “ri-percorre”. Come nel caso della letteratura di viaggio, che sta a monte della narrazione per immagini si potrebbe dire davvero che viaggio, per Ghirri, è sempre viaggio dentro la memoria.»
Le fotografie dell’artista sono molteplici; trattano varie tematiche, dalle città d’arte, al mare, alle montagne, ai laghi e sono affiancate da alcune tratte dalla Colazione sull’erba, Kodacrhrome, Paesaggi di Cartone, lavori degli anni Settanta. Inoltre dialogano con fotografie di altri artisti fondamentali nel percorso di Ghirri, come Franco Guerzoni, Bruno Stefani con le sue fotografie post-Bauhaus, Dorothea Lange, Walker Evans. Il legame con i fotografi americani e con la relativa riflessione sull’immagine, enfatizza il rapporto che Ghirri aveva con l’Università di Parma, avendo potuto ammirare le fotografie americane nelle esposizioni “Farm Security Administration” (esposte alla Sala delle Scuderie nel 1975) e “New Photography USA” (Lee Friedlander, Robert Frank esposte nel 1972).
I paesaggi vengono ritratti da Ghirri, sempre in modo differente rispetto al modo usuale di osservare. L’artista desidera scoprire e far scoprire ciò che si è generalmente abituati a vedere, ma senza molta attenzione. Come indicato da Arturo Carlo Quintavalle: «Ghirri ha saputo inventare un modo di raccontare che non ha confronti. Ghirri non racconta un episodio, ma fa supporre, dietro l’immagine, un sistema di significati. La foto di Ghirri non espone, né descrive, ma reinventa. La realtà in Ghirri non espone, né descrive, ma reinventa. La realtà in Ghirri, assume una dimensione senza tempo, che a volte si carica di ironia, altre di attenta partecipazione».
Ed ecco che vengono immortalati dettagli nascosti, particolari di cartoline, di case di campagna, elementi presenti sulle spiagge d’inverno, quali pattini o deserti stabilimenti balneari. Per Ghirri la fotografia è un modo di osservare il mondo, decidendone quale piccola parte imprimere sulla pellicola; è un mezzo attraverso cui guardare le stelle, tendendo di portare l’infinito nel finito, il quotidiano nell’universale. I suoi personaggi, per lo più ritratti di spalle, invitano lo spettatore a calarsi in quell’immagine, in quel paesaggio, a seguirli nella contemplazione e nell’osservazione della realtà. Come sostenuto da Ghirri: «…Ho fotografato molte persone di spalle, mentre osservano immagini, piante di città, carte con itinerari; in questo come in mole altre ho voluto dare della persona un infinito numero di possibili identità, dalla mia mentre fotografo, a quella ultima: quella dell’osservatore».
L’atmosfera quasi metafisica che si respira nelle fotografie di Ghirri, non è mai astratta: è una realtà sospesa, ma viva, che richiama e descrive perfettamente un territorio qualunque esso sia: dalla Pianura Padana, alle città d’arte, alla Costiera Amalfitana, alla campagna pugliese. Immobile, eppure in movimento, in evoluzione, eppure legato alla tradizione, caratteristico di una Regione, ma universale. Ed è proprio questo che caratterizza la sua opera: la capacità di riprodurre il reale attraverso un punto di vista meditato, sentito dall’anima, intriso di rimandi e forte interesse e studio verso l’architettura, la storia dell’arte, la letteratura e il sapere tutto, che confermano ciò che l’artista era solito affermare: «Prima di essere un fotografo, sono un uomo e come tale penso. Il pensiero è la base di tutto ciò che faccio».
Sebbene l’artista sia di formazione tecnica, la geometria che caratterizza molte delle sue fotografie, non apporta rigidità a ciò che viene ritratto, ma, al contrario, lo supporta nella suddivisione degli spazi, creando finestre che conducono lo sguardo in fondo alla composizione, seguendo la prospettiva creata dagli spazi geometrici. E come indicato dallo stesso Ghirri: «E poi secondo me, la fotografia è sostanzialmente una narrazione in sequenza. Mentale. Certo, le fotografie si fanno una alla volta e vanno viste una alla volta, però io penso sempre a una specie di narrazione che continua oltre l’immagine singola. Per questo lascio sempre nelle mie immagini, dei punti o delle vie di fuga, comunque cerco di non chiudermi mai in un’immagine».
Uno sguardo in divenire, è quello dello spettatore, che nel susseguirsi delle immagini, rivede paesaggi, città, monumenti senza tempo eppur perfettamente riconoscibili, che vengono immortalati con la sua maestria, attraverso un uso magistrale della macchina fotografica, con i suoi equilibri, tra luce, diaframmi e tempi di esposizione.
Caratteristiche del percorso espositivo sono poi le polaroid di grande formato, elaborate dall’artista durante un soggiorno ad Amsterdam nel 1981. Immagini costruite, sovrapposte, create ad hoc attraverso elementi di piccolo formato, richiamano l’arte Neo Dada ed esprimono una conoscenza consolidata delle correnti artistiche, seppur con una spiccata capacità di reinvenzione e rappresentazione.
“Labirinti della Visione. Luigi Ghirri 1991” è un viaggio attraverso un nuovo modo di guardare la realtà, intriso di pensiero, riflessione e senso di appartenenza, che consente di immergersi nel mondo interiore e nel punto di vista di un grande fotografo italiano.