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“Voi non vendete, non siete artisti”, disse ABO. Il ricordo di Ugo La Pietra

Achille Bonito Oliva Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva
Achille Bonito Oliva

L’artista Ugo La Pietra e il dibattito sul Sistema dell’arte aperto da ArtsLife dopo il corsivo pubblicato da Achille Bonito Oliva su Robinson di Repubblica

Da quella che era una semplice replica a caldo ad affermazioni “forti” di Achille Bonito Oliva su arte e sistema dell’arte, sta sorgendo un dibattito. Che era ciò che auspicavamo, nel piatto panorama dell’informazione (la critica non ne parliamo) italiano. Vi hanno contribuito artisti, storici e critici d’arte più o meno giovani, collezionisti. Nessun gallerista, nessun mercante: e questo potrebbe essere significativo. Ora a dire la sua arriva un personaggio “pesante” – non fisicamente – come Ugo La Pietra, artista, architetto e designer, protagonista di primo piano della scena italiana dal secondo novecento a oggi.

E lo fa inviandoci – “corriere” Marco Tonelli – un brano del suo libro “Le mie giornate particolari con”, pubblicato nel 2017 con Manfredi Edizioni. Il contesto è quello della scena artistica jugoslava, attivamente frequentata da La Pietra. Un brano decisamente pregnante con i temi al centro del dibattito. Visto che rispolvera un episodio di metà anni ‘70 nel quale Bonito Oliva già rivendica posizioni che oggi tenta di assegnare come limiti ad un indistinto “sistema dell’arte”. Sistema “malato” che quindi – come molti altri hanno suggerito – ha visto proprio lui fra i maggiori attori. A voi la lettura…

 

Ugo La Pietra (foto ugolapietra.com)
Ugo La Pietra (foto ugolapietra.com)

Questo scambio continuo fece appunto nascere tante relazioni ed esperienze nella ex Jugoslavia che documentai in alcuni numeri della rivista “Progettare lnpiù” che dirigevo negli anni 1973 e 1974 con le opere di S. lvekovíc, D. Martinis, Braco Dimitrijvíc, Groppo Tok, Team A3, V. Gudac, D. Tomicic, G. Trbuljak, I. Kozaríc, P. Poznanovic, B. Búcan, D. Joknovic Toumin, G. Zuvela.

C’era qualcosa di molto particolare però che distingueva le nostre esperienze artistiche da quelle degli artisti jugoslavi. Loro operavano in un regime dove non poteva esistere il commercio privato, poiché non esistevano le gallerie d’arte, mercato e quindi il collezionismo. Lo spiegò molto bene un giorno Achille Bonito Oliva. Eravamo riuniti intorno a un tavolo dopo una manifestazione artistica a Belgrado, e Bonito Oliva spiegò agli “artisti” jugoslavi che di fatto, pur essendo produttivi in termini di opere realizzate, di fatto non potevano considerarsi artisti.

“L’arte è tutta quella che sta nei libri di storia dell’arte”, sentenziò Bonito Oliva. E “le vostre opere potranno essere definite opere d’arte solo quando verranno vendute ed entreranno nel sistema dell’arte”. Questa condizione dell’artista jugoslavo, così “pesantemente” espressa da un critico autorevole, determinò un progressivo esodo di artisti verso l’occidente e verso la logica del sistema dell’arte, da Braco Dimitrijvíc a Marina Abramovic.

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