Gallerie straniere che scelgono Milano come seconda sede, nuove attività che prendono corpo in spazi storici, musei in cerca di una nuova dimensione, giovani e grandi artisti che riscrivono la natura di ambienti particolari: un filo rosso per la fine dell’inverno meneghino
Tra le novità milanesi di questo fine inverno ci sono due nuove aperture che hanno fatto un vero e proprio pienone di pubblico e addetti ai lavori nei giorni della loro inaugurazione.
Iniziamo dunque da Brera e dalla nuova galleria CARLOCINQUE che porta il nome del suo fondatore, collezionista e esperto di comunicazione per l’arte, in via dell’Annunciata 31, a due passi dalla chiesa di San Marco e accanto all’Accademia.
“La scelta di aprire a Milano riguarda soprattutto il contesto: Milano continua ad essere quell’importante crocevia per l’arte contemporanea in Italia, dunque la possibilità di ristrutturare uno spazio nel cuore di Brera mi è apparsa come l’opportunità nel posto giusto e al momento giusto. Non ci sono legami con ciò che prima esisteva al 31 di via dell’Annunciata [la galleria Studio Lattuada, ndr], lo spazio al piano inferiore è stato rimodulato su esigenze nuove, quelle di una galleria che apre dopo molti anni di attività espositiva itinerante, con un programma preciso e ambizioso. Chiamando la galleria con il mio nome, dichiaro di mettermi personalmente in campo, trasmettendo la mia passione per le ricerche artistiche che amo e che ho collezionato, impegnandomi a supportare gli artisti in maniera continuativa, attraverso progetti di ampio respiro e l’incontro con nuovi collezionisti”, ci racconta Cinque.
Per l’occasione in scena ci sono “41 Formelle” dell’artista Dario Ghibaudo, progetto esposto nella sua totalità e scelto perché “Ghibaudo è un artista che non smette di meravigliare e di rinnovarsi, con coerenza, come dimostra il ciclo in mostra, che arriva dalla mostra sull’artista nel Complesso Monumentale di San Francesco a Cuneo, a metà 2022, curata con Luigi De Ambrogi”. Un artista, Ghibaudo, che nel panorama italiano si è sempre contraddistinto per una grande originalità e di cui potete scoprire di più anche nella nostra prima intervista della rubrica progetto (s)cultura.
E i prossimi passi, per chi apre oggi una sede fisica? Carlo Cinque ci risponde che lascerà respiro tra una mostra e l’altra, e che nel programma espositivo si succederanno nomi di artisti storicizzati a nomi di artisti affermati, mentre l’appuntamento alle fiere “è un passo decisivo che affronterò dopo un anno di attività nello spazio di via dell’Annunciata”.
La seconda galleria è invece Cadogan, che ha optato per un cortile in Chinatown e l’artista Sam Lock per aprire il proprio percorso milanese. «Era da tempo che cercavo di aprire una seconda galleria in Europa, e a Milano e in Italia abbiamo buoni contatti con artisti, curatori e collezionisti, quindi era da un po’ che pensavamo di aprire qui, in particolare dopo il successo della nostra mostra Sam Lock a Lambrate nel 2021 – ci racconta il direttore Freddie Burness, che continua: Milano sta diventando sempre più internazionale ed è il motivo per cui molte gallerie sono interessate ad aprire qui».
E visto che squadra che vince non si cambia, ecco appunto che il lavoro di Lock torna a Milano, con le sue splendide carte provenienti da una collezione di libri d’arte (il titolo della mostra è proprio “Carta”) diventate opere dopo essere passate per le mani dell’artista. Con una estetica che ci riporta al clima Minimal e Concettuale degli anni ’70, Lock, il cui lavoro sta andando sempre più rafforzandosi e il suo parterre di collezionisti è internazionale, come ricorda Burness, e una mostra perfetta nel nuovo spazio della galleria.
Con la mostra “Rainbow” (fino al 2 luglio) il MUDEC cerca un rinnovamento e un’apertura con la città e, allo stesso tempo, un riscatto per i propri difficili spazi. Ispirata a “The Rainbow Show”, mostra tenutasi a San Francisco nel 1975, la mostra si apre con l’installazione site-specific che l’artista statunitense Cory Arcangel (1978) ha ideato per lo spazio dell’agorà, al primo piano: una moquette che trasforma i colori del fenomeno ottico in un oggetto domestico in grado di mutare tutta l’area interessata, trasformandola in un ambiente decisamente più accogliente e meno freddo.
E a proposito di apertura c’è la collaborazione con il Museo di Storia Naturale di Milano, con una sezione che esplora il modo in cui gli animali percepiscono il colore, mentre in relazione all’ambiente urbano è previsto – per il prossimo aprile – lo svelamento di un nuovo murale nei cortili dell’ex Ansalado di Flavio Favelli (di cui in mostra troviamo un esemplare di opera rainbow realizzata con i francobolli dell’epoca coloniale dell’Italia).
Poche centinaia di metri più in là Fondazione Pomodoro riunisce una serie di opere, documenti, fotografie e scritti che coprono l’ultima metà degli anni ’60 del grande artista romagnolo, naturalizzato milanese: è “La negazione della forma. Arnaldo Pomodoro tra minimalismo e controcultura”, a cura di Federico Giani, che offre al pubblico l’occasione speciale per entrare proprio nello studio dell’artista e per capire come siano nate le celebri “sfere” che hanno accompagnato tutta la carriera dell’artista. Tra il 1966 e il 1970, durante i suoi viaggi e le sue “lezioni americane” a Stanford e a Berkeley, Pomodoro si confrontò con il Minimalismo Made in USA e assimilò le teorie e le estetiche della corrente in una serie di opere che lui stesso definì “operazioni mentali”: i Rotanti, Forma X e Onda.
Fu l’origine di forme meccaniche, tagli netti, cromie industriali, plexiglass, oggetti speculari e negativi di sculture che diventarono positivi, assumendo la status di nuove opere e nuove produzioni, che oggi si riscoprono in via Vigevano.
Dulcis in fundo ci spostiamo in zona Loreto, nello spazio dell’Associazione Non Riservato, dove il giovane regista Iacopo Carapelli offre una vera e propria rilettura dello spazio di via Paisiello attraverso un gioco di rifrazioni: affascinato dalla mancata presenza di luce solare nell’ambiente, se non in alcuni minuti della giornata, “Catch the Sun” offre una schematizzazione scientifica per evidenziare il problema-fenomeno (tavole architettoniche, rendering dell’area e fotografie) e un dispositivo poetico per risolvere la questione: una serie di piccoli specchi, proprio durante le ore della mattina, donano a Non Riservato una nuova esposizione, mischiando scientificità, empirismo e creatività.
A pochi passi da qui, invece, A arte Invernizzi propone un omaggio a Mauro Staccioli (a dieci anni dall’ultima personale in galleria e a cinque dalla scomparsa), con la mostra “Scultura come pensiero che trasforma”. In scena un congiunto di opere, tra disegni, sculture e bozzetti, che può definirsi come un trittico, a partire dal “quadro” del 1976 ad inaugurare il percorso di visita: qui una piccola punta in ferro che fuoriesce da una tela di cemento è emblematica della poetica dell’artista di uscire dagli spazi consueti del museo e della galleria “per entrare a fare parte del tessuto urbano, del territorio,
agendo con la propria presenza in un luogo, sia fisico, sia sociale”. Allo spazio inferiore della galleria sono invece sei i pezzi di Sbarra e Cemento, anch’essi realizzati negli anni ’70, che – letti in regressiva – permettevano già di intravedere la strada che Staccioli percorrerà lungo tutta la sua carriera, ovvero quella di pensare alla scultura come una questione spaziale a tutti gli effetti: “Le sculture-intervento, innestandosi con la loro dialogante autonomia e alterità, contribuiscono in ogni circostanza a scrivere una nuova storia dei luoghi in cui si collocano”. Ed ecco il terzo livello di questo omaggio, in cui sono presenti i modelli di Primi Passi, l’ellisse realizzata per Volterra nel 2009, o Tondi, 2012, in mostra permanente al Museo d’Arte Contemporanea all’aperto di Morterone, ma anche l’Arco Rovesciato per il Pecci e il Fridericianum di Kassel. Un tributo rigoroso come lo furono le forme immaginate dall’artista che dichiarava, da sempre, di essere sempre pensato come scultore, e la cui tavolozza prendeva i colori del ferro, dell’acciaio corten, del cemento, della polvere e dell’ossidazione.