Fino al 16 luglio 2023, le Sale Chiablese dei Musei Reali di Torino ospitano la più vasta antologica mai organizzata in Italia per la fotografa americana Ruth Orkin
Un padre che porge l’anguria alla figlia, due poliziotti che fanno cordone attorno a un materasso logoro abbandonato per strada, cani e persone immortalati dall’alto. È la vita che ci passa accanto, quella sfocata dai pensieri al bordo del nostro sguardo obliquo, quella che Ruth Orkin amava fotografare.
Nacque a Boston, nel 1921, da Mary Ruby, un’attrice di cinema muto, e Samuel Orkin, un produttore di barche giocattolo. La famiglia si trasferì a Hollywood quando lei era ancora molto giovane e i suoi decenni formativi coincisero con l’ascesa dell’industria cinematografica statunitense galvanizzata dalla prosperità economica dell’epoca.
Aveva solo dieci anni quando ricevette la sua prima macchina fotografica: una Univex da 39 centesimi utilizzata soprattutto per fotografare i suoi compagni di scuola e gli insegnanti. Aveva solo 17 anni quando decise di attraversare in bicicletta gli Stati Uniti, fino a New York City, per vedere la Fiera Mondiale del 1939, in quello che probabilmente è stato il suo primo reportage fotografico.
La fotografia, in pratica, aveva sempre scandito i momenti più significativi, forse anche quelli meno appaganti, della sua vita ma la sua vera passione era il mondo del cinema. Dopo essersi brevemente iscritta al Los Angeles City College, ed aver lavorato per la Metro-Goldwyn-Mayer come “message girl”, capì che occuparsi di fotografia e regia nel mondo del cinema non sarebbe stato semplice. Di fronte alle numerose difficoltà decise quindi di arruolarsi nel Women’s Auxiliary Army Corps.
Al ritorno della guerra, prima di diventare a tutti gli effetti fotoreporter, lavorò come fotografa all’interno di nightclub o scattando ritratti su commissione, specialmente ai bambini. Nel 1951, fu inviata in Israele su commissione della rivista LIFE per fotografare l’Orchestra Filarmonica. Dopo aver completato l’incarico, Orkin soggiornò per mesi in Europa, fermandosi lungamente in Italia.
È in questa occasione che nasce il lavoro American girl in Italy, un complesso di sequenze che ha fatto la storia della fotografia. Il reportage realizzato a Firenze nel 1951 aveva un focus ben preciso, raccontare i rischi che le donne corrono a viaggiare da sole. Il lavoro ha come protagonista Nina Lee Craig, “Jinx”, una studentessa americana, alla quale Orkin chiese di farle da modella e che si rivelò perfetta per una sessione di scatti condotta quasi come una pièce teatrale.
Solo per un momento Orkin riuscì ad avvicinarsi al mondo del cinema. Realizzò insieme a Raymond Abrashkin e Morris Engel, The Little Fugitive, una pellicola che è stata in grado di aprire le porte del cinema alla modernità, tanto da essere celebrata dai giovani Godard e Truffaut che la ritennero fondamentale per la Nouvelle Vague. Candidata al Premio Oscar per la migliore storia cinematografica, vinse il Leone d’argento a Venezia nel ’53 ma purtroppo solo oggi è stato riconosciuto il contributo di Ruth Orkin che, contrariamente a quanto creduto finora, non si limitò al montaggio.
È così che l’appuntamento mancato si trasformò in un linguaggio visivo a metà tra l’immagine fissa e quella in movimento, stabilendo una correlazione continua tra due temporalità in parallelo.
Non si può osservare le sue foto senza cogliere il dinamismo, senza cercare una storia, per questo Anne Morin, già curatrice della precedente retrospettiva su Vivian Maier, analizzando il materiale ha capito che poteva esserci un solo tema, la vocazione suprema per il cinema.
Alcune caratteristiche dei suoi lavori sono delle costanti, come lo sdoppiamento e la simultaneità. Un espediente per simulare l’idea di tempo, come un trompe-l’œil. La ripetizione, la variazione degli stessi elementi, quindi ricorrenti, sono altre parole chiave per leggere la sua arte, come dimostra la foto Lettrici di fumetti dove tre bambini piuttosto somiglianti leggono nel West village.
La mostra di conseguenza è stata articolata su quattro assi cinematografici: si parte dalla prima sala con lo story board proseguendo con i vari lavori fino ai ritratti delle grandi star, come Lauren Bacall, Einstein e Robert Capa. Osservando le 180 foto in mostra possiamo leggere tutta la sua produzione attraverso le sue passioni: il cinema, la fotografia, la musica e i viaggi.
Ruth Orkin ha trasformato la sua parabola in arte insegnandoci che forse le nostre passioni non ci porteranno dove avremmo sperato ma con un po’ di fortuna e di ingegno possono portarci comunque lontano.
RUTH ORKIN. Una nuova scoperta
Torino, Musei Reali | Sale Chiablese (Piazzetta Reale)
17 marzo – 16 luglio 2023
www.mostraruthorkin.it