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Il sublime dei giorni nostri. A Madrid una collettiva esplora la contemporaneità tra decadenza e speranza

David Altmejd, Pyramid David Altmejd, Pyramid
David Altmejd, Pyramid
David Altmejd, Pyramid
La nuova mostra della Colleciòn SOLO di Madrid – Protection No Longer Assured – rivisita la nozione di sublime attraverso una selezione di 63 opere (realizzate da 31 artisti) che spaziano tra scultura, pittura, sound art e AI art.

Dell’efficace capacità della Colleciòn SOLO di unire cromie accese e segrete perturbazioni avevamo già parlato in un articolo di qualche tempo fa. E con la nuova mostra, appena aperta all’Espacio SOLO di Madrid, la Collezione aggiunge un’ulteriore capitolo alla sua eclettica narrazione della contemporaneità. Lo spartito espositivo, come anticipato, non si discosta troppo dal carattere ambiguo della raccolta, ammantata di un’atmosfera pop surrealista che affianca all’estetica giocosa contenuti e riflessioni tutt’altro che leggeri. Anima controversa racchiusa nella scultura di KAWS, posta all’inizio del percorso. Una bambola di grandi dimensioni, nera, con il viso frantumato a metà e alcuni coloratissimi organi in vista. Gioco e orrore si alternano, costringono chi osserva a percepire sensazioni contrastanti, emettono segnali opposti.

E di un concetto simile si nutre difatti la nuova mostra della Colleciòn SOLO, incentrata sullo strano sentimento che mischia eccitazione e terrore, un’emozione paradossale che dall’Ottocento è tornata ciclicamente al centro del pensiero occidentale: il sublime. Così, in un presente attanagliato da tecnologie dirompenti e disinformazione, conflitti armati e collasso ambientale, Protection No Longer Assured riunisce circa 31 artisti per rivisitare il sublime attraverso una vasta gamma di medium e prospettive. Per esempio, opere di Keiichi Tanaami, Justin Matherly, Mika Rottenberg, David Altmejd, Glenda León, Paco Pomet e Dagoberto Rodríguez dialogano con l’arte di Grip Face, Haroshi, Santiago Talavera, Jorge Rios, Ruby Swinney e Uyss3s.

Sandra Vásquez de la Horra, La Liberación del mito (2022)
Sandra Vásquez de la Horra, La Liberación del mito (2022)

Pool eterogeneo di artisti che prova a ridare sostanza a un termine abusatissimo, così inflazionato da aver perso anche il suo carattere originale, costretto sulla soglia dell’impoverimento della lingua, laddove rischia di divenire sinonimo di ben più lineari aggettivi esprimenti il magnifico, il bello o l’interessante. Con sublime, però, si va ben oltre. Si cerca di navigare in un presente tutt’altro che rassicurante, ma d’altra parte pieno di possibilità, che nel labirinto artistico dell’Espacio SOLO assume le eterogenee forme del manufatto artistico.

E parlando di sublime, la mostra non poteva che ritornare a dove tutto è iniziato: al romanticismo e al Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. La sua iconica immagine viene qui parodizzata da Rinus Van de Velde, che con Luckily I didn’t feel much (2019) ironizza su un futuro che presenta più incertezze che stimoli. Paesaggio e forma umana si fondono anche in La Liberación del mito (2022) di Sandra Vásquez de la Horra, opera che ha ricevuto il Colección SOLO Acquisition Award ad ARCO 2023. L’artista fonde le esperienze di resistenza politica con la riflessione mistica sui chakra o su centri di energia del corpo, stuzzicando forse un impegno sociale assopitosi sempre più.

Forse perché, chi più e chi meno, procediamo immersi in soluzioni esistenziali egoriferite. Le quali ci illudono di una realizzazione finale, ma nel frattempo ci costringono in ruoli (soprattutto lavorativi) disumanizzanti. Così in Pyramid di David Altmejd un businessman subisce una graduale trasformazione in un cane da caccia. La scultura, che immortala il processo nel suo compiersi, presenta fori, tagli, lacerazioni, cristalli in luogo degli organi, pastelli conficcati nella carne e un senso di decadenza e decomposizione inspiegabilmente attraente. Del resto, di sublime stiamo parlando.

Grip Face, I am a victim of the social labels (2022)
Grip Face, I am a victim of the social labels (2022)

Di stupore e perplessità si compone spesso il nostro rapporto con la tecnologia. E quale mezzo migliore del digitale stesso per esprimerlo? Persistencia de la narración (2023) e Taxia (2023) sono state realizzate dal collettivo Ulyss3s utilizzando generatori di immagini e linguaggi AI e si interrogano sull’impatto della tecnologia sull’arte e sulla vita. Composto da 80 immagini diverse, Taxia evidenzia come con Internet tutto, al giorno d’oggi, può essere mercificato: anche la violenza, anche la guerra. Più intimistica e personale la ricerca di Grip Face, che in opere come I am a victim of social labels (2022) e Disfraz de un verano neoliberal (lilac) (2021) riflette sulla salute mentale dei millennial alla luce di una tecnologia sempre più pervasiva.

In un crescendo di pericolosità, la mostra indugia poi sulle armi belliche, soprattutto la bomba atomica, divenute in seguito alla Seconda Guerra Mondiale una sorta di fenomeno di massa. Che temiamo tremendamente, ma allo stesso tempo ci affascinano. Sentimento racchiuso in Catalogue of Eccentricity Series (2017) di Kei ichi Tanaami, dove la schizofrenia contemporanea riesce a far coesistere armi di distruzioni di massa e cartoni animati. Il risultato è che, in realtà, non possiamo mai sentirci al sicuro, nemmeno se circondati dall’illusione di sicurezza che la società consumistica ci ha costruito attorno. Del resto, la mostra ci aveva avvertito fin dal suo titolo: Protection No Longer Assured.

Kei ichi Tanaami, Catalogue of Eccentricity Series (2017)
Kei ichi Tanaami, Catalogue of Eccentricity Series (2017)

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