Incontro con Chantal Criniti (Luino 1989), pittrice lombarda che a Palermo ha trovato autenticità, atmosfere suggestive, umanità, essenzialità come metafore di esperienze. L’artista concepisce la pittura come indagine sul concetto di impermanenza e di transitorietà, e il suo linguaggio “ un accumulo ordinato di frammenti”, scopriamo il perché in questa intervista.
Nasci in provincia di Varese, ti trasferisci a Milano, dove frequenti l’Accademia di Brera e ti laurei in Comunicazione e Didattica per l’Arte, poi nel 2018 ti sei iscritta al biennio di Pittura, come matura questa decisione?
Il corso di Comunicazione e Didattica per l’Arte mi è servito a consolidare una preparazione teorica a supporto del mio lavoro. Dopo il triennio ho cercato nuovi stimoli che potessero migliorare la qualità della pratica pittorica che avevo sviluppato negli anni precedenti in maniera autonoma così ho proseguito il mio percorso di studi iscrivendomi a Pittura.
Quando e perché hai deciso di trasferirti a Palermo?
Avevo in mente di spostarmi da Milano già da tempo e il reale trasferimento è avvenuto dopo un periodo di indecisione in cui intuitivamente sentivo che Palermo poteva darmi ciò che cercavo ma non riuscivo razionalmente a capire cosa fosse. Ora posso dire che mi attirava un’autenticità capace di scremare in modo naturale ciò che è rilevante da ciò che è superfluo e Palermo è un’ottima insegnante in questo poiché è tremendamente abile nello ‘sbatterti’ in faccia i contrasti che le appartengono e che in lei da sempre convivono. La trovo una città fiera, non si vergogna di mostrare i suoi punti di forza e al contempo le sue magnifiche e spesso dolorose fragilità. Per questo la ammiro e per questo ci vivo.
Hai sviluppato un linguaggio pop–concettuale riconoscibile per codici grafici immediati e colori squillanti, che importanza dai alla composizione e narrazione?
L’aspetto narrativo è determinante. La mia ricerca si concentra sul percorso di creazione identitaria individuale e sociale e sul parallelismo dietro alle varie esperienze umane sparse nel tempo e nello spazio e per farlo raccolgo tracce di esistenze che vengono poi assemblate secondo un ordine concettuale non gerarchico. La forma che prende il racconto è la composizione, pertanto mutevole poiché funzionale alla narrazione e non determinante in quanto tale.
A Palermo che contesto hai trovato e come sviluppi il tuo lavoro?
Come ospite, lo sottolineo perché la mia esperienza è sicuramente condizionata dalla temporaneità, ho notato un contesto stimolante e libero. L’arte contemporanea ha ancora molto terreno da conquistarsi e molto lavoro da fare, questo crea un clima possibilista e collaborativo. Il mio lavoro si sta comportando anch’esso da ospite, si muove nel contesto con timida individualità.
Hai collaborato con Francesco Pantaleone, appassionato talent scout di emergenti che ha la sua galleria ai Quattro Canti e un’altra a Milano…
Ho collaborato con la galleria Francesco Pantaleone in occasione della mostra “Scalene”, inaugurata il 19 novembre scorso, a seguito di un paio di studio visit prima con Giulia Monroy, la sua collaboratrice che mi ha invitato a partecipare, e poi anche con Francesco. É stata per me un’occasione di conoscenza personale e lavorativa.
Come incidono gli scenari di Palermo nella tua ricerca artistica?
Inizialmente hanno creato in me una sorta di fascinazione, talmente belli e paradossali che sono entrati nel mio immaginario e di conseguenza nella mia ricerca. Succede poi che Palermo si insinua sotto la superficie e da fonte inesauribile di elementi visivi e narrativi diventa un modo di fare, più strutturale che espressivo.
Quali opere ritieni più “siciliane” e perché?
Quelle che ho prodotto nel 2022, subito dopo il trasferimento. Shakespeare sul muro alle 10:53 o Palermo Express sono due esempi di lavori che contengono molti riferimenti della mia esperienza palermitana.
Cosa rappresenta per te Palermo?
La cura e la malattia, come l’arte.
Quali sono i luoghi di Palermo che preferisci e quali continuano a stupirti?
Sono molti, credo che l’esperienza in una città o luogo in cui si ha vissuto o si sta vivendo porti con sé la bellezza del ricordo di alcuni angoli, i caffè in certi bar, le prime visite in un museo o in una chiesa e questi diventano posti del cuore ma ciò che maggiormente preferisco e che continua a stupirmi sono i mercati, compreso quello della domenica mattina a piazza Marina.
Quali sono i tuoi modelli o fonte di ispirazioni?
Infiniti. Prendo ispirazione da tutto ciò che incontro per strada, ciò che guardo o leggo ma principalmente dalle persone.
Che materiali utilizzi e perché?
Dipende dal progetto. Le pitture degli ultimi due anni sono fatte con vari materiali come olio acrilico e una tecnica di trasferimento immagine su tela. In questo momento sto lavorando su alcune pitture supportate da lamiera zincata. Per le installazioni invece dipende, oltre che dal progetto, anche dal luogo e dal budget che ho a disposizione.
Vivi del tuo lavoro o fai altro per “sbarcare il lunario”?
Per il momento ci vivo.
Come nascono le tue opere e quali sono i soggetti ricorrenti?
Da un’ossessione per un tema – che può prendere la forma di una frase letta su un libro, un’immagine, un ricordo mio o di altre persone, una sensazione – poi faccio ricerca, accumulo materiale da selezionare e ordinare secondo una modalità associativa e unisco gli elementi in una composizione stratificata. I soggetti ricorrenti sono più dei concetti come il tempo, l’identità, il desiderio, la memoria.
Quanto incide nelle tue opere la cultura di massa e il magmatico flusso di immagini dei social media?
Tutto ciò che riguarda l’esperienza umana diventa potenzialmente strumento di indagine e parte del mio lavoro. Come se fosse un campo in cui dialogano e si relazionano tra loro elementi visivi riconoscibili, diverse discipline, frammenti di percezione e immagini rappresentative anche della cultura di massa, compresa la simbologia contemporanea relativa all’utilizzo dei social media e della messaggistica istantanea.
Come sintetizzeresti il tuo linguaggio?
Un accumulo ordinato di frammenti.
Secondo te la pittura è comunicazione, perché?
É una forma espressiva, racconta sempre qualcosa.
Cosa consigli di fare a una giovane pittrice che decide di vivere della sua arte?
Di mantenere il focus e non avere fretta.
L’artista indipendente dal sistema dell’arte, avulsa dal mercato, senza una galleria di riferimento, un collezionista, secondo te può trovare consenso, acquirenti e visibilità, come?
Non credo esista una formula, credo nel lavoro constante e nella volontà. Dipende anche dall’obiettivo che ci si pone, non sempre il consenso o la visibilità rappresentano prerogative principali per un buon lavoro. Se ci sono ben venga, se non ci sono bisogna continuare a lavorare.
A quali progetti stai lavorando?
Vari, mi aspetta un anno molto intenso.