Pupo di zucchero di Emma Dante è in scena a Genova al Teatro Ivo Chiesa dal 26 al 28 aprile
Un’usanza siciliana vuole che il giorno dei morti si preparino dei pupi di zucchero che vengono offerti in dono alle anime del Purgatorio. Da questa tradizione prende spunto lo spettacolo di Emma Dante (liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile), intitolato non per nulla Pupo di Zucchero.
Come in altri spettacoli della Dante anche qui i morti tornano in tutta la loro concretezza, un interno di famiglia raccontato dall’ultimo anziano superstite (interpretato dall’attore Carmine Maringola) che mentre è alle prese con l’impasto del pupo ricorda la giocosità del suo vivere quotidiano quando ancora i suoi cari erano tutti in vita. Intorno a lui sin dalla prima scena ci sono le tre sorelle dai nomi di fiori, Viola, Primula e Rosa, e poi pian piano il palco si riempie, così come la sua mente, degli altri componenti della famiglia: arriva la “mammina” francese, la zia col compagno irruento e manesco, lo spasimante spagnolo di Viola e il fratellastro nero di nome Pasquale. Sembra che si animi un circo popolato da grotteschi saltimbanchi: c’è chi sa cantare, chi ballare, chi fa il giocoliere con la pasta del pane. Tutti fantasmi nella giostra della morte. Parlano poco, qualche volta si sente qualche risata delle ragazze, qualche parola francese della mamma, ma l’unico che racconta e ci fa capire qualcosa è il Vecchio.
Ma malgrado gli sforzi (se ce ne sono stati), il testo appare debole e non basta a fare di quest’ultimo lavoro della Dante un lavoro riuscito come i suoi precedenti. Lontano mille miglia dal capolavoro Le sorelle Macaluso, in cui tutto avviene danzando, nel confine tra qua e là, tra ora e mai più. Il viaggio iniziatico de Le sorelle Macaluso, un rito che scava nel buco nero dell’inconscio, e che mescola indissolubilmente festa familiare e liturgia della sepoltura fa di quel lavoro uno spettacolo dalla coralità fortissima, in cui però ogni personaggio spicca nella sua unicità con un corredo di gesti e di intonazioni.
Al contrario in Pupo di zucchero non si addentra nei personaggi (eppure la materia appare ricca) che sono sfuggenti, quindi poco autentici. Resta la Morte, protagonista assoluta. Una morte cupa che prende sempre più campo nell’ora di durata della pièce, fino alla scena finale in cui ogni fantasma depone il proprio se stesso imbalsamato su un traliccio dominato da un imponente Crocifisso. Una scena macabra che permane per qualche lungo minuto prima che si chiuda il sipario (in senso metaforico, in realtà non si chiude). Ai piedi di questa struttura il Vecchio accende quattordici lumini prima di abbandonare il campo l’ultima volta, per entrare anche lui nel sonno eterno e ricongiungersi coi suoi cari, interpretati egregiamente e con gran carica da Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Valter Sarzi Sartori, Maria Sgro, Stephanie Taillandier e Nancy Trabonae.
Emma Dante firma lo spettacolo non solo come regista, ma è anche autrice del testo e costumista. Lo spettacolo che ha debuttato al Teatro Grande di Pompei e poi partecipato al Festival di Avignone durante l’estate 2020 è una coproduzione tra Sud Costa Occidentale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Scène National Châteauvallon-Liberté, ExtraPôle Provence-Alpes-Côte d’Azur, Teatro Biondo di Palermo, La Criée Théâtre National de Marseille, Festival d’Avignon, Anthéa Antipolis Théâtre d’Antibes, Carnezzeria.