Per questo nuovo appuntamento de L’Osservatorio del presente ci spostiamo all’Accademia di San Luca, a Roma, dove Giulio Paolini – Premio Imperiale 2022 – ha realizzato sei nuove installazione riflettendo sulla storia dell’Accademia stessa
“Un rigorista degli affetti”. Così uno storico dell’arte del calibro di Claudio Strinati definisce Giulio Paolini, protagonista di A come Accademia, la mostra personale, curata da Antonella Soldaini, che l’Accademia di San Luca ha voluto dedicare ad uno dei maestri dell’arte italiana contemporanea , insignito nel 2022 del prestigioso Premio Imperiale. Così, come prima tappa del processo di rinnovamento dell’istituzione voluto dal nuovo presidente Marco Tirelli, Paolini ha risposto all’invito in maniera precisa e generosa, realizzando sei nuove opere, allestite secondo un percorso espositivo che intende riflettere sulla natura dell’Accademia stessa, che Tirelli ha definito come “un cristallo trasparente”.
“Occorre formulare – spiega Paolini – una muta risposta e ricordare, almeno a titolo di esempio, la splendida immobilità delle accademie di scuola platonica”. Né intimo né nostalgico, ma puntuale e rigoroso come sempre, Paolini ci invita ad entrare nell’animo più intimo dell’istituzione, accogliendo i visitatori con Al di là (2022) una bandiera posta sul balcone al centro della facciata, che rappresenta una musa mentre lancia cornici in cielo.
Un invito a riflettere sul rapporto tra passato e presente, che si sviluppa nelle tre installazioni che occupano le sale del pianoterra: se A come Accademia I (2010-2023) l’artista combina riferimenti artistici (da Tiziano a De Chirico) e mitologici (il mito di Sisifo) in una costruzione densa di rimandi alla dimensione dell’artista come demiurgo, nella sala seguente Paolini propone A come Accademia II (2023), il capolavoro dell’intera mostra. Qui il rapporto con la classicità raggiunge i massimi vertici, in un discorso che parte dai frammenti in gesso della scultura femminile in gesso per proseguire sulle pareti, dove due esemplari della stessa scultura fuoriescono dal muro, come all’interno dell’atelier dell’artista, riproposto nella terza sala con A come Accademia (III) (2023) , dove il nitore dell’opera viene leggermente smorzato dalla presenza di un grande drappo, con la riproduzione fotografica dello studio di Paolini.
Il percorso prosegue nell’androne , dove l’artista ha collocato la quarta opera, In cornice (2023), in dialogo diretto con il portale di Borromini all’ingresso della rampa elicoidale che conduce ai piani superiori di palazzo Carpegna, per concludersi nel salone al piano nobile con Voyager (V) (1989-2023), che consiste in un tecnigrafo aperto e appeso al soffitto, da dove scendono una serie di fogli, di cui alcuni riproducono dettagli del salone stesso. La dimensione troppo leggera e, a mio avviso, eccessivamente precaria dell’opera appare meno efficace delle precedenti, mettendosi forse in dialogo con la bandiera sul balcone, quasi a voler concludere un itinerario nello spazio e nel tempo dove l’arte è in grado di rileggere la storia in termini non solo concettuali ma soprattutto simbolici: territorio dove Paolini è da sempre sommo maestro.