In occasione della mostra Riguardare forme chiamate arte contemporanea abbiamo dialogato con Roberto Martino e Angelo Bianco Chiaromonte – direttore e direttore artistico di Fondazione SoutHeritage – per approfondire e indagare più da vicino la nascita, l’evoluzione e le dinamiche interne di una realtà sita a Matera, unica nel suo genere.
Fondazione SoutHeritage dal 2003 si occupa di diffondere e promuovere l’arte contemporanea e, nel contempo, di recuperare l’eredità storica di luoghi emblematici della città di Matera spesso inagibili o dimenticati. Come è evoluta la vostra pratica negli anni e in che misura ha influito il radicale cambiamento della città di Matera in seguito alla sua proclamazione come Capitale Europea della Cultura 2019?
Roberto Martino: Il progetto istituzionale, come hai giustamente precisato, nasce dal concept fondativo della SoutHeritage come “fondazione espansa” che, nei suoi anni di attività itinerante sul territorio lucano, ha ideato e proposto percorsi espositivi per attualizzare, in chiave contemporanea, significativi spazi del patrimonio architettonico della Basilicata. Un’operazione particolare in termini di apparato espositivo in un momento storico in cui è ampio il dibattito sui luoghi dedicati all’arte del presente, intesi sempre più come spazi di progettazione e di sperimentazione piuttosto che semplici contenitori. Questa modalità ci ha permesso negli anni di creare, non solo progetti culturali o mostre, ma vere e proprie “eterotopie” e “eterocromie”, cioè luoghi che mettono in comunicazione spazi diversi in cui i tempi si sovrappongono nella complessità del presente e nella contemporaneità della storia. La Fondazione, eludendo la necessità di possedere un ambiente “fisso” e orientando la propria mission alla ricerca e alla promozione di progetti artistici in riferimento a nuovi modelli curatoriali e meccanismi fruitivi, punta a focalizzare l’attenzione sul rapporto (passato, futuro o presente) tra atti artistici e spazi espositivi, sottolineando la potenzialità di rinnovamento insita non tanto nei progetti site-specific, quanto nelle relazioni tra luoghi e atti. Questo perché la città di Matera – come tutto il nostro Paese d’altronde – è importante non solo perché ha un’alta percentuale di beni artistici, ma anche perché questi beni hanno un’eccezionale estensione, sincronica e diacronica in cui il “bello”, come elemento di coappartenenza ideale delle sue forme, va al di là dal tempo.
Angelo Bianco Chiaromonte: La Fondazione, fin dalla sua istituzione, si è dovuta confrontare con una città aperta verso linguaggi nuovi e sperimentali ma con un carico storico non indifferente. Matera, con i suoi storici Rioni Sassi (iscritti nel 1993 nella World Heritage List UNESCO) ha rappresentato, e continua rappresentare, il palcoscenico perfetto per un confronto fra storia e contemporaneità in cui il territorio è inteso attraverso i secoli, dal neolitico fino ai giorni nostri, come una grande fabbrica di sperimentazione (basti pensare alla “Matera del moderno” per quanto riguarda l’architettura e gli esperimenti urbanistici realizzati sulle istanze di Adriano Olivetti). Perciò, possiamo affermare che la sperimentazione nella città di Matera è stata “sempre di casa” e la nomina a “Capitale Europea della Cultura 2019” non ha fatto altro che consacrare questo particolare e unico mood territoriale. Su queste linee di sperimentazione la Fondazione ha portato avanti una prima fase di sviluppo più analitica, cioè dedicata a un’analisi formale e contenutistica sull’idea di spazio espositivo, sviluppando nel mentre progetti con artisti le cui ricerche sono volte a interrogare il concetto stesso di spazio espositivo e la sua necessaria ridefinizione (es: Philippe Rahm, Peter Downsbrough, Dan Graham, Laurence Weiner, Stanley Brown, Andrea Fraser, etc.). Nella prima fase di strutturazione dell’istituzione ci siamo inseriti in quello spazio dell’arte che va sotto il nome della cosiddetta “Institutional Critique”, realizzando una serie di progetti espositivi aventi come punto di riferimento la nostra situazione attuale. Oggi la Fondazione è un ente strutturato e aperto a diverse possibilità, non più legato alla necessità di autodefinirsi; in quanto direttore dei programmi espositivi continuo, affiancato dalla preziosa collaborazione dello staff, a portare avanti un progetto di revisione dei formati espositivi, modus operandi della fondazione e modalità in cui lo spazio – citando André Malraux – viene concepito come “dispositivo gassoso” in grado di generare relazioni. Malraux, nel suo “museo immaginario”, ci riporta a pensare allo spazio per l’arte come a una sorta di dispositivo in grado di neutralizzare gli oggetti collocati al suo interno. Egli riflette, ad esempio, su come un crocifisso romanico non era in principio una scultura e la Madonna di Cimabue non era un quadro e ambedue erano stati creati per contesti diversi. Lo spazio per l’arte dunque, nonostante sia un’invenzione recente della storia europea moderna (che non ha conosciuto una sua diffusione ovunque), ha caratterizzato e caratterizza il nostro pensiero a tal punto da pregiudicare la funzione primigenia di determinati oggetti inseriti all’interno di una cornice istituzionale che, in qualche modo, ne pregiudica la loro riconoscibilità. Partendo da queste visioni si generano mescolanze e interazioni fra elementi culturali eterogenei che conducono a una visione differente del territorio e dell’architettura, percepiti così non più come località geografiche o contesti espositivi, bensì come mezzi espressivi e soggetto/oggetto del programma culturale.
Gli approcci ideati al fine di facilitare e invogliare il pubblico “non educato” all’arte contemporanea si sono rivelati essere efficaci come modalità alternativa di fruizione? Quanto è mutato il pubblico negli ultimi anni e come siete riusciti a creare una sorta di fidelizzazione in una città apparentemente restia alle novità e al cambiamento?
R.M. / Leggere l’arte contemporanea, purtroppo, non è facile. Essa assomiglia sempre di più a un terreno minato dove, senza una mediazione, una spiegazione, un approfondimento, è impossibile inoltrarsi.
Essendo l’arte contemporanea una convenzione che scaturisce da paradigmi di apprendimento, spesso la condizione dello spettatore dell’arte è paragonabile a quella dello spettatore che, completamente ignaro delle regole del gioco degli scacchi, vede nei giocatori soltanto due persone che si divertono a spostare delle figurine scolpite su una tavoletta di legno. Tuttavia, questo stato dell’arte non è propriamente una criticità ma una qualità che deve necessariamente essere spiegata; ed è proprio in questo ambito che la Fondazione ha sviluppato nuovi modi di coinvolgere i pubblici, sia giovani sia adulti, che incoraggiano il dialogo, il pensiero critico e la creatività. Attraverso il nostro public program denominato “Le (d)istanze del pubblico”, ci rivolgiamo a gruppi scolastici, famiglie, adulti, anziani, e gruppi di persone appartenenti a comunità sottorappresentate con disabilità (mentali e fisiche). Alcuni dei nostri programmi sono creati in collaborazione con artisti ed esperti dell’integrazione sociale. Ad esempio, un progetto recente è stato ideato per gruppi di adulti con disabilità affiancati dai loro tutori al fine di dare loro l’opportunità di godere di momenti di creatività e benessere all’interno dei progetti espositivi presentati.
A.B.C. / Uno degli obiettivi della Fondazione è stato quello di proporsi ai pubblici come un “set della contemporaneità”, un luogo dove alcune forze del nostro tempo potessero incontrarsi creando valore e riverberandosi sulla collettività e sul territorio, con progetti culturali che potessero accrescere responsabilità e consapevolezza sociale. L’arte contemporanea è caratterizzata da una frattura tra iniziati e profani, una frattura riguardante anche categorie cognitive; accettare che alcuni oggetti siano arte spesso significa fare una revisione teorica più che una rivoluzione del gusto. In questa prospettiva il public program di SoutHeritage prevede approcci diversi aventi gli stessi obiettivi. Il modo in cui la fondazione affronta e promuove la creatività e la storia dell’arte tra bambini, ragazzi o adulti differisce dunque insieme ai linguaggi e alle metodologie di interpretazione e narrazione che possono prevedere racconti, laboratori o solo scambi di idee. Attraverso questa metodologia siamo riusciti a catalizzare gli interessi di una vasta comunità sparsa in un bacino territoriale che va dalla Puglia alla Campania, dalla Calabria alla Basilicata. Una community eterogenea che ha voglia di cultura e contemporaneità.
Tra tutti i progetti sviluppati negli anni, quale si è rivelato essere IL progetto? Quell’evento che vi ha portato ad acquisire consapevolezza circa il vostro lavoro?
R.M. / Sicuramente il progetto “Matera 2019 – Capitale Europea della Cultura” ha rappresentato un’esperienza centrale nello sviluppo e nell’evoluzione della Fondazione SoutHeritage visto anche il nostro contributo come project leader per lo sviluppo delle linee progettuali ufficiali di candidatura della città orientate, non verso grandi progetti culturali “attrattori”, ma verso un’idea di programma che fungesse da “booster culturale” per un’attività continua a medio e lungo termine, potenzialmente accrescitrice di responsabilità e consapevolezza sociale. Una bella storia per il Mezzogiorno!
A.B.C. / Il progetto Matera2019, che ha saputo introiettare le dinamiche culturali già presenti sul territorio, è stata un’esperienza che ha contribuito a consolidare i processi e i formati della fondazione. Ad esempio, ritornando sull’argomento dei “pubblici”, della “mediazione culturale” e della “presentazione” tutti i progetti realizzati dal palinsesto Matera2019 hanno spaziato nelle modalità di produzione, di display e di rapporto con il pubblico; da formati più tradizionali, come concerti e spettacoli dal vivo in cui gli artisti hanno eseguito le loro performances dal palco e gli spettatori hanno assistito dalla platea, a pratiche che hanno cercato di invertire completamente questo rapporto verticale e binario. Sono stati introdotti a tal fine momenti di coinvolgimento e co-creazione in linea con una visione partecipativa estesa ed estensiva percepita come co-responsabilizzazione nei processi di produzione culturale e momento fondante di una nuova idea di cittadinanza culturale. Per Matera2019 tutta la città, come nel concept fondativo della Fondazione SoutHeritage, è diventata un grande spazio espositivo, teatro, cinema e palcoscenico mettendo a disposizione 150 spazi mai utilizzati, accrescendone così il valore.
La Fondazione si occupa di tutto, dall’ideazione della mostra alla comunicazione e dalla curatela fino alla gestione amministrativa e burocratica. Ci sono mai stati momenti di sconforto causati da fattori esterni in cui avete creduto di dover abbandonare tutto?
R.M. / Ovviamente la Basilicata, come tutto il Sud, ha i suoi problemi nella gestione delle cose ma è anche un luogo unico per estro e creatività. Il ruolo pionieristico della Fondazione SoutHeritage non è certo semplice e la ripresa di un territorio come quello di Matera, nonostante il recente boom, porta con sé i problemi di una regione affetta da disagi strutturali; lo spopolamento, la difficoltà nella comunicazione e la folklorizzazione della sua immagine ne sono un esempio. È un contesto complesso e imperfetto, inevitabilmente soggetto a criticità da affrontare sempre come una sfida nonostante la non felice congiuntura economica che dal post pandemia ci ha portato a ridimensionare i programmi e le azioni per far fronte all’aumento di spese di gestione, logistica, etc.
A.B.C. / All’interno del nostro gruppo di lavoro discutiamo spesso dei problemi che ci pone il contesto in cui agiamo. La regione Basilicata potrebbe essere raccontata in modo differente tenendo conto del suo attuale ruolo nel panorama italiano ed europeo. La nostra terra è la regione dell’energia ma ciò che trapela e viene comunicato riguarda esclusivamente la cultura gastronomica ormai anch’essa privata della sua autenticità. Tutta l’Italia sa fare qualcosa, tutto il mondo sa fare qualcosa. Quindi è abbastanza scontato che anche i lucani sappiano fare altro. Ma la contemporaneità dov’è? E come viene affrontata? Questa è una criticità riguardante molti territori italiani. Da Matera a Ragusa, da Bari a Trapani, tutte le città del sud vengono dipinte come paesotti felici e soleggiati, con gente costantemente seduta a tavola, possibilmente all’aperto e accanto al mare. Sembra non esserci altro da raccontare. Il Sud diventa così semplice scenario difficile da distinguere. Credo sia necessario restituire a questo luogo la propria insita complessità, abbandonando una volta per tutte questa idea provinciale e paternalista del Mezzogiorno.
Catturare il visitatore coinvolgendolo in un’esperienza totalizzante e non passiva è uno dei vostri obiettivi principali. Ogni vostro progetto si presenta non come una mera esposizione di opere d’arte fine e sé stesse, bensì come un’opportunità di crescita collettiva, un momento in cui lasciare che il confronto e la curiosità fungano da collanti con il mondo dell’arte. Come superare quel gap che si genera in automatico ogni qual volta si tenta di approcciarsi all’arte contemporanea?
R.M. / Hai notato quanti termini usiamo noi addetti ai lavori per descrivere il pubblico della cultura? Raramente però usiamo il termine “persone”, nonostante oggi si parli tanto di audience development. Anche la stessa Unione Europea nei suoi indirizzi generali per la cultura pone questo elemento come obiettivo da perseguire per contrastare limiti e fragilità dei settori culturali. In questo quadro, la fondazione, essendo una fondazione d’impresa, si è posta il problema della propria “rilevanza sociale” con una approfondita riflessione sulla propria social responsability che si è concretizzata negli anni nel prestare grande attenzione all’analisi della società e del contesto in cui opera, alla qualità della comunicazione, alla mediazione dei contenuti e al potenziale educativo e trasformativo che l’arte e la cultura contemporanea possono rappresentare.
A.B.C. / In quest’ottica, come gruppo di lavoro ci siamo sempre posti il problema di quale potesse essere la forma ideale di un evento artistico che dovrebbe permettere al “fruitore” di costruire una propria storia a partire dal materiale offerto. Che si tratti di una videoproiezione o di una scultura, come membro del pubblico vorrei poter analizzare la relazione tra “quello che è successo” e la sua rappresentazione; in questo caso tra produttore e audience non esiste nessun gap, poiché ognuno è a conoscenza di qualcosa che l’altro non sa. Il ruolo di un’opera d’arte o di un progetto curatoriale è provare che non c’è bisogno di colmare nessun divario e che questa condizione non è un fattore da correggere, bensì un elemento che può consentire ai partecipanti (artisti e pubblico) di condividere la conoscenza allo stesso livello e in modo reciprocamente vantaggioso. Certo, mettere in pratica ciò non è facile e il curatore dovrebbe essere costantemente impegnato nella creazione di progetti interdipendenti che riguardino il pubblico, gli artisti, le opere e i media, e in cui i pubblici possano avere un reale e complesso ruolo sui contenuti. Noi, attraverso i progetti espositivi promossi dalla fondazione, tentiamo di sperimentare e “stressare” pratiche e formati. Consideriamo la mostra uno strumento culturale che legge le cose in modo differente rispetto a sensibilità mainstream e siamo consci del fatto che la partecipazione avviene nel momento in cui si ha la libertà di aggiungere qualcosa alla narrazione offerta da un’opera o da una mostra. Nei progetti della fondazione cerchiamo di invitare lo spettatore a una co-lettura attraverso cornici curatoriali senza che ci sia la necessità di trasmettere al visitatore qualcosa che assuma il valore di dichiarazioni. Su queste linee la fondazione ha proposto mostre senza titolo, mostre in cui il titolo è stato dato alla fine dell’esposizione in quanto scelto dal pubblico durante il periodo espositivo, mostre con tre titoli a seconda dell’interpretazione curatoriale di tre diversi curatori o ancora, mostre che mirano a divenire momenti di riflessione e di informazione.
L’attenzione riposta nei confronti di un pubblico che presenta difficoltà cognitive, visive o uditive si concretizza attraverso differenti modalità di fruizione e mediazione. Come nasce questa sensibilità non scontata, che difficilmente viene adottata da luoghi di cultura teoricamente accessibili per tutti?
R.M. / La mission della fondazione è progettare interventi che spaziano dall’arte alla rivitalizzazione del territorio, perché la valorizzazione del patrimonio storico e artistico è strettamente connessa alla possibilità di consentire al maggior numero di individui di fruirlo. Su queste linee guida la Fondazione ha sempre lavorato e lavora in modo sinergico e proficuo con varie Istituzioni rafforzando e promuovendo l’arte e la cultura contemporanea presso un pubblico vasto e diversificato, tentando di coinvolgere non solo gli appassionati, ma anche chi all’arte deve ancora avvicinarsi. Uno degli obiettivi non è infatti quello di immergere il visitatore in un contesto da interpretare, ma è quello di informare. Il pubblico contemporaneo è alla ricerca di esperienze estetiche ricollegate alla sua cultura e al suo immaginario forgiato dal cinema, dalla televisione e da internet e con i progetti SoutHeritage può vedere in parte appagato il proprio desiderio primario di informazione e documentazione su alcuni aspetti dell’”incomprensibile Arte Contemporanea”.
A.B.C. / La fondazione, fin dalla sua istituzione, oltre a porre al centro della sua azione un accesso esteso alla cultura con l’ingresso gratuito ad ogni progetto o attività proposta, si è dotata anche di una “Carta dei Valori” iin cui gli eventi espositivi promossi o i luoghi in cui si svolgono, sono considerati e trattati come importanti strumenti di inclusione, di conoscenza e di consapevolezza delle diversità, poiché trattare “eventi per tutti” significa considerare “l’evento” in una prospettiva diversa osservandolo dal punto di vista del fruitore, considerato come figura complessa e con esigenze diverse e diversificate. L’obiettivo di questa Carta dei Valori è proprio quello di fornire ai membri dello staff della Fondazione e ai suoi collaboratori esterni, alcune direttive-indicazioni per consentire la piena partecipazione di persone con esigenze specifiche, in modo autonomo (ove possibile), sicuro, comodo e piacevole, attraverso una diffusa e ampia accessibilità. La capacità inclusiva di un evento, la sua accessibilità e la fruibilità, contemplano la possibilità di arrivare, accedere e fruire delle sue attività ma anche di viverlo e goderlo con soddisfazione da parte di qualsiasi persona, senza limitazioni e con possibilità di essere spettatori o attori dell’evento.
Riguardare forme chiamate arte contemporanea è dedicata – come leggo nel vostro comunicato stampa – “a questionare il ruolo delle opere e del pubblico dell’arte contemporanea”. Quali misure sono state adottate a livello curatoriale al fine di rendere l’intera esposizione un momento esperienziale e non meramente estetico?
A.B.C. / Al di là della storia lineare dell’arte, le opere in mostra sono riunite oltre che per la loro capacità di evocazione e di suggestione in grado di parlare un proprio linguaggio, anche e soprattutto per il loro medium espressivo. Infatti i lavori, attraverso un concetto di campionatura di alcune forme di visualizzazione alla base di numerose produzioni artistiche contemporanee (disegno, pittura, installazione, performance), hanno permesso la strutturazione di una mostra non solo intesa come ostensione di opere ma anche come riflessione (con il pubblico) su alcuni linguaggi/medium del contemporaneo. Con la rinuncia curatoriale a stabilire un metodo di lettura univoco e predefinito alla ricerca di connessioni tematiche, stilistiche o cronologiche tra i lavori in mostra, il progetto espositivo si presenta come una piattaforma che, partendo da alcune opere-testimonianza già rubricate e storicizzate, diventa il terreno collettivo per promuovere una maggiore comprensione dell’arte e un rapporto con un pubblico che necessita di essere documentato sui linguaggi del contemporaneo e che in questo quadro prevede ad esempio, in alternativa al flusso di informazioni verticale sulle opere in mostra, l’organizzazione di un programma di mediazione e di accompagnamento del pubblico (non guida) che in chiave performativa cerca di adattare modi e dialoghi sull’esposizione interpretando i diversi interessi e tensioni del pubblico.
R.M. / Le mostre prodotte dalla Fondazione in un’ottica di critica culturale più che di critica d’arte, sono progetti che vogliono riflettere sul “formato mostra” come organizzazione di un’esperienza informativa-formativa per il pubblico. Un’esperienza di “osservazione partecipante”, di autoformazione del pubblico che rimanda ad una visione più aperta e consapevole della proposta culturale, accresciuta fruendo del public program della fondazione che prevede una serie di incontri-attività di mediazione e conversazioni pubbliche con artisti, filosofi, critici, ricercatori, scrittori e attori. Questi interventi hanno come obiettivo quello di metodi e fornire strumenti adatti ad approfondire alcuni aspetti fondamentali delle opere in rassegna completate da specifici apparati di didascalie ragionate (provviste anche di hashtag e mention) e fogli di sala che arricchiscono e accompagnano i visitatori nell’offerta informativa, promuovendo così una maggiore comprensione dell’arte.
Quali sono i vostri progetti futuri?
A.B.C. / La specificità della storia e della posizione geografica di Matera ci offre quotidianamente un terreno più che fertile per una piattaforma di discussioni e idee fra regionalismo e globalità. Proprio partendo da queste basi ogni anno costruiamo un calendario di progetti che tiene conto di questo confronto proponendo l’alternanza di programmi dedicati alle espressioni più rappresentative e all’informazione sui linguaggi creativi del presente. Non grandi progetti, ma un’attività continua non centrata sulla logica dell’evento ma sul concetto di percorso che, attraverso un attento lavoro sul territorio, approda a temi di più ampio respiro. Con questo spirito cerchiamo di portare in Basilicata il meglio dell’arte contemporanea e in particolare di mostrare ciò che altrimenti – senza la fondazione SoutHeritage – non si vedrebbe. Quindi tendiamo spesso a scegliere artisti stranieri – non per esterofilia – ma per portare nel territorio ciò che manca. Oltre al progetto espositivo presso il padiglione SoutHeritage (sito in un’architettura del XVI secolo di grande fascino, ubicata nell’antico centro economico, sociale e religioso della città di Matera) con i lavori di Laure Provost, Ian Wilson, Leonardo Sinisgalli, Nathalie Rao, tra i prossimi appuntamenti ci saranno delle attività laboratoriali in partnership con: Centro Itard Lombardia – Casa degli Artisti / Milano, Carico Massimo / Livorno, Studio Amatoriale / Milano, Progetto A>Monte / Matera-Milano. Si tratta di un prototipo di infrastruttura di ricerca artistica pluridisciplinare che pone al centro delle sue attività lo studio della relazione tra pratiche artistiche, territorialità e sfera pubblica e sarà presentato a settembre nell’ambito della “BienalSur 2023 – IV Biennale internazionale di arte contemporanea del Sud / Buenos Aires”. Per l’occasione, la fondazione SoutHeritage è stata selezionata come centro italiano della sua struttura multipolare in dialogo con musei e centri culturali dei 5 continenti a partire da un’agenda transnazionale che coinvolge più di 120 sedi di 50 città in 23 paesi. In programma anche una speciale mostra nell’ambito del programma “GENIUS LOCI” volto a riscoprire e portare l’attenzione di operatori del settore, di collezionisti e del grande pubblico su artisti storici attivi in regione il cui lavoro è oggi particolarmente significativo per affinità con le pratiche artistiche più contemporanee. La mostra, in un ambito di ricognizioni di protagonisti e vicende tra le più significative per la storia artistica del territorio lucano, presenterà alcuni lavori di Riccardo Dalisi, artista, designer e architetto di fama internazionale, e Salvatore Sebaste pittore, scultore e incisore. Entrambi saranno riuniti in una doppia personale con esposizione di pezzi storici o appositamente realizzati per l’occasione.
R.M. / Mi ricollego con quanto detto dal mio collega aggiungendo le attività del public program della fondazione con i calendari del progetto “ARTforming” in collaborazione con il Liceo Artistico della città di Matera e il DiCEM – Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università degli Studi della Basilicata. Una serie di giornate formative in cui gruppi di studenti vengono coinvolti in attività di studio e pratica diretta su varie discipline: storia dell’arte, allestimento, curatela, comunicazione, a stretto contatto con lo staff della fondazione e che si propone di dare un contributo originale ai percorsi di apprendimento degli studenti lucani del triennio delle scuole secondarie di II grado e dell’università. O ancora gli appuntamenti del calendario “LABoral”, un calendario di incontri aperti al pubblico dedicati a interviste e presentazioni editoriali attinenti al campo della cultura contemporanea. Immersi nello splendido scenario paesaggistico che si gode dal terrazzo panoramico di Palazzo Viceconte, sede della fondazione, sono previste a partire da giugno le presentazioni di Vincenzo Santarcangelo (filosofo del linguaggio e traduttore di “Strani strumenti”. L’arte e la natura umana” del filosofo Alva Noë) e Anna Delia (docente e critico d’arte, autrice del libro “Arte per il pianeta”). Comunque, per rimanere aggiornati sulle attività della fondazione basta visitare il nostro sito o seguire i canali social della fondazione.
Questo contenuto è stato realizzato da Alessia Pietropinto per Forme Uniche.
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