Ogni quartiere di Manhattan ha la sua fiera: Tribeca/Indipendent; Upper East Side/Tefaf; Harlem/1-54; Chelsea/Nada e Frieze. E se la regina dell’antico, qui nella sua veste più patinata e contemporanea, Tefaf, ha inaugurato l’Art Week l’11 maggio (con conseguente alzata di sipari sulle aste la sera stessa, la Evening di Christie’s con Il Grande Spettacolo di Basquiat da 67 milioni di dollari), Frieze (mercoledì 17) ha dato il via alle danze della sua Frieze Week con seguito anch’essa di aste multi milionarie, questa volta sponda Sotheby’s (e della Phillips ultra contemporanea nel pieno delle feste qui in fiera, alle 17 ora locale). Lo spettacolo che è andato in scena nel gran teatro dell’arte di NYC è stato una due settimane di incanti (una decina), fiere (almeno cinque di livello), eventi (infiniti), inaugurazioni no-stop che ha catalizzato l’attenzione del sistema dell’arte mondiale nell’isola più celebre al mondo (l’altra isola, Venezia, ha alzato il sipario sulla Biennale, quest’anno lato architettura, ovattata, in coda a New York), da sempre -e sempre di più- l’ombelico del mondo del mercato. Raffreddato e “in attesa”, sicuramente, dopo l’exploit dello scorso anno e la situazione internazionale perennemente incerta (guerre, crisi bancarie, instabilità politica, recessione) – le fiere, trasversalmente, hanno portato tutte così tra virgolette abbordabili, a prezzi anche ragionevoli. Si è voluto vendere, senza sparare cifre allucinanti; le aste, tiepide, hanno vissuto di fiammate milionarie, da record, come di lotti ritirati, non aggiudicati e sottostimati – un mercato dell’arte in transizione, se non in correzione, un ritorno alla realtà più che un’imminente depressione, come concordano i maggiori players del settore. Tempi di crisi, ma risposta comunque ancora brillante e dinamica, almeno nella Grande Mela – vedremo poi il benchmark Art Basel fra meno di un mese – con preview iper partecipate. La fila sulla 11th Avenue dell’altro ieri per entrare e sgomitare direzione The Shed, Hudson Yards, sede dell’undicesima edizione di Frieze (da tre anni a questa parte) era emblematica. Febbre d’arte, anche solo per un selfie, una sfilata e un’eccitazione elitaria (da sex-status symbol), parata tradizionale di collezionisti (da Lonti Ebers ai Rubell, dalla Brodsky a Komal Shah, e ancora gli Hort, i Rachofsky, Joyner e Agakawa). Risultato: vendite importanti per le 69 gallerie (il taglio dell’edizione americana è poche, selezionate, ma ottime, meglio delle dispersive edizioni a Randall’s Island Park, per non parlare del liberi tutti di Regent’s Park a Londra) che costellano le vetrate lucenti dei tre piani del centro culturale ad ovest di Manhattan, dove tramonta il sole sull’Hudson e termina l’High Line, per l’occasione addobbata dell’albero rosso fluo, simil-Spider della Bourgeois (record a 32,8 milioni il giovedì da Sotheby’s) e un reticolato sanguigno, di 7 metri della svizzera Pamela Rosenkranz, già Biennale 2015. Tornando allo Shed (la fiera si conclude il 21 maggio), qui il meglio visto in fiera, che a nostro parere risulta una delle edizioni meglio riuscite di questi undici anni.