Per celebrare i cento anni dalla nascita di uno dei maggiori esponenti della Pop Art Americana, Parma dedica una mostra a Roy Lichtenstein (New York, 27 Ottobre 1923 – New York, 29 Settembre 1997) a Palazzo Tarasconi, in corso fino al 18 Giugno 2023, a cura di Gianni Mercurio, con il patrocinio del Comune di Parma e prodotta da GCR, General Service and Security, con la Direzione Artistica di WeAreBeside, per l’ideazione di MADEINART
Esposte cinquanta opere, in ordine per lo più cronologico, provenienti da collezioni americane ed europee, che mostrano l’evoluzione artistica di Lichtenstein, dall’utilizzo dei Ben Day Dots, che hanno caratterizzato la sua produzione a partire dagli anni Sessanta, quando l’artista iniziò a rappresentare soggetti tratti dalla stampa, dalla pubblicità, dai fumetti, ingrandendone alcuni particolari, come ad esempio i volti, rendendo iconiche quelle immagini, fino alle opere con il Rowlux e alle ultime degli anni Novanta.
Lichtenstein ha dedicato tutta la sua vita all’arte, studiandola a livello accademico, divenendo inoltre professore universitario e ciò gli permise di conoscere gli artisti del passato e approfondire diverse tecniche, in particolar modo legate al mondo della grafica, come testimoniano le prime xilografie del 1948, seguite poi a distanza di due anni dalle stampe all’acquaforte e acquatinta.
La sua arte, se in un primo momento può risultare semplice da interpretare, nasconde, in realtà, una scrupolosa osservazione della realtà e uno sguardo attento verso ogni tema selezionato per la sua trattazione, tanto da dedicarvi serie distinte di opere. Come sostenuto dallo stesso artista: «Mi interessa ritrarre una sorta di anti-sensibilità, che pervade la società e una sorta di grossolana semplificazione […]. Il Pop che si occupa dell’uso di argomenti commerciali, di solito sembra mancare di sensibilità, o almeno il tipo di argomenti che uso io. È quella sorta di anti-sensibilità e aspetto concettuale dell’opera che mi interessa ed è il mio soggetto».
L’artista riconosce la prevalenza delle immagini nella società e di come esse influiscano sulle persone, sul modo di apparire delle città senza la loro presenza. Ciò risulta coerente con quanto indicato da Gianni Mercurio: «L’arte di Roy Lichtenstein, basata sugli effetti della percezione visiva, è un’arte dello sguardo. È comprensibile come, in una società che a partire dagli anni Sessanta è stata progressivamente pervasa dal potere dell’immagine, essa abbia ancora una forte e perdurante influenza sui creativi della visione».
Il percorso espositivo si apre con le fotografie dello studio di Lichtenstein, scattate dal newyorkese Laurie Lambrecht, che testimoniano il processo creativo a lavorativo dell’artista, attraverso uno sguardo ravvicinato per poi proseguire con le prime opere grafiche pubblicate con Leo Castelli, in cui i protagonisti sono ripresi dai fumetti e i personaggi femminili vengono ripresi dalle pubblicità, mentre sono intenti alla cura del corpo e della casa. Protagonisti i Ben Day Dots, mezzo utilizzato per riprodurre l’effetto della stampa e non la perfetta risoluzione dell’immagine stampata nel suo complesso.
Ciò che si evince dall’osservazione delle opere di Lichtenstein è il concetto di riproducibilità e il suo interesse verso la serialità delle immagini stampate. Come indicato da Gianni Mercurio, l’artista, aveva fatto proprio il principio di Walter Benjamin secondo cui «L’opera d’arte riprodotta diventa in misura sempre maggiore la riproduzione di un’opera d’arte predisposta alla riproducibilità».
Dal 1963 l’artista, sempre con riproduzioni a stampa, inizia a reinterpretare i grandi maestri del Novecento, ridonando alle immagini una nuova veste contemporanea ed evidenziando, in tal modo, il legame presente tra la sua arte e quella delle Avanguardie, con la tradizione pittorica e della cultura americana.
Successivamente, dal 1964, inizia la serie dei Landscape, caratterizzata dalla presenza di un nuovo materiale, il Rowlux, una tipologia di plastica lenticolare, che conferisce all’opera un senso di movimento. Lo stesso artista afferma: «Il Rowlux è un materiale interessante, ha una qualità riflettente in grado di simulare il cielo, o l’acqua, sia l’uno sia l’altro, poiché è amorfo. È una specie di natura già pronta. Sembra avere profondità, il che lo rende simile all’acqua vera o al cielo reale. Siccome cattura la luce, si ottengono riflessi brillanti che lo rendono più simile a un paesaggio reale che a una superficie dipinta… come una vera acqua che riflette la vera luce del sole. Un ottimo espediente per produrre un cielo o acqua».
Dal 1965 produce alcuni Brushstrokes, le cui protagoniste sono delle fluide pennellate di colore, che richiamano il gesto archetipo e astratto della pittura, ma che Lichtenstein riesce a trasformare in uno stereotipo industriale.
Anche per Lichtenstein, gli oggetti, la cui poetica ha contraddistinto la Pop Art, a partire dall’inizio degli anni Settanta, hanno rivestito un ruolo fondamentale, divenendo soggetto di rappresentazione. Ciò si evince nella serie Still Life, in cui la scelta stilistica dell’artista non si è fermata solo agli oggetti, ma sul colore, che permeando talmente tanto il soggetto, diviene l’oggetto stesso della rappresentazione. Le nature morte sono arricchite da richiami all’arte di Matisse, al Cubismo e alla tradizione americana e ciò consente di apprezzare i differenti punti di ispirazione dell’artista.
Il percorso espositivo prosegue con la serie degli Interiors (1990), caratterizzati dalla rappresentazione di mobili, ambienti domestici, permeati da un forte senso di astrazione, che rende quanto raffigurato immerso in un’atmosfera sospesa e metafisica. Lichtenstein ha da sempre mostrato interesse nei confronti dell’arredamento, rendendolo protagonista in molte delle sue opere e ispirandosi ai disegni degli architetti, in particolar modo del de Stijl.
Nella serie Reflections riprende alcune sue opere precedenti e vi inserisce degli elementi che vi apportano l’effetto dei riflessi, da cui l’artista è sempre stato attratto. Ciò se conferisce alla composizione la frammentazione delle figure, apporta una particolare luminosità all’intera composizione data dalla riflessione della luce sulla sua superficie.
Nei Nudi (1994-1995) Lichtenstein tratta per la prima volta questo argomento. I personaggi femminili sono ritratti con linee morbide, in una sfera intima, intente al dialogo o alla lettura. Inizia, inoltre, l’uso del computer per la creazione della composizione e per la definizione delle differenti gradazioni dei puntini, che continuano a rivestire un ruolo fondamentale nella sua arte. Come dichiarato dall’artista stesso: «I miei nudi sono in parte luce e in parte ombra, così come gli sfondi, in cui i puntini definiscono le sagome. I puntini sono disposti in scala, dai più grandi ai più piccoli, il che di solito suggerisce nella mente delle persone l’idea della tridimensionalità, ma non è quello che accade in queste figure. Non so davvero perché ho scelto i nudi. Non avevo mai realizzati prima, quindi forse è stato questo il motivo, ma ho anche pensato che il chiaroscuro avrebbe avuto un bell’effetto su un corpo. E i miei nudi non rappresentano quasi per nulla la carnalità del corpo o le tonalità della pelle, non sono per nulla realistici».
Il percorso espositivo si conclude con l’omaggio di Lichtenstein alla musica, che lo ha accompagnato lungo tutta la vita. Le note ritratte richiamano i suoni e la musica sempre presente di sottofondo nel suo studio, ma anche quella da lui riprodotta suonando il flauto e il sax alto, in età adulta. A completare la mostra, un video in cui viene ritratto lo stesso artista durante la creazione delle opere e a corredo un catalogo con i testi del curatore, di Roy Lichtenstein e della scrittrice e storica dell’arte Avis Berman.