Da sempre evolvendosi le arti si copiano: gli architetti come la Hadid si fanno scultori, gli scultori come Bernini, pittori. Fabio Ricciardiello alterna indifferentemente e con reciproco vantaggio scultura e fotografia. Ne abbiamo discusso in questa sedicesima puntata di Progetto (s)cultura.
Come i polistrumentisti rock, sei contemporaneamente fotografo e scultore.
È una sorta di dualismo che mi porta a barcollare tra la tridimensionalità e la bidimensionalità!
Ho iniziato proprio come scultore, studiando Scultura all’Accademia di Belle Arti di Napoli per poi discutere la mia tesi in Fotografia. Ciononostante, dal 1999 al 2004 ho esposto esclusivamente come scultore ma nel 2004, per la mia prima personale alla Galleria l’Ariete di Bologna, curata da Silvia Evangelisti, ho iniziato a ‘mescolare’ i due linguaggi. Successivamente, arrivato a Milano, ho studiato Fotografia di moda alla Riccardo Bauer, intraprendendo la professione di fotografo di moda, facendo carriera con lo pseudonimo di Fabio Costì, continuando, però, la mia ricerca artistica, scultorea e fotografica, privatamente, senza mai esporre. Nel 2018, infine, ho lasciato la Fotografia di moda per dedicarmi esclusivamente all’Arte. Nel corso della mia carriera, infatti, mi sono reso conto che c’erano progetti che volevo rimanessero sola proiezione di un’idea, mentre altri necessitavano di una fisicità, tale da essere toccata.
Si potrebbe quasi dire che è stata la scultura a portarti alla fotografia.
È assolutamente corretto quanto affermi. In un certo senso, mi sono approcciato alla fotografia per necessità; quando ho iniziato ad esporre le mie sculture, mi venivano chieste delle immagini per i cataloghi, naturalmente. Inoltre, quando mi sono avvicinato alla fotografia il digitale era alle prime sperimentazioni, perciò, ho imparato a fotografare in analogico, con un grande maestro, Fabio Donato, al quale ho fatto da assistente. Fotografando le mie opere mi sono reso conto che, trasportate su pellicola, parlavano la stessa lingua ma con un accento diverso e che grazie alla luce potevano diventare altro… una sorte di ‘scoperta’ che ha dato il via ad una vera ricerca parallela e molte immagini che ho scattato delle mie opere, sono divenute opere a loro volta. Da questa visione, che è rimasta e maturata nel mio processo creativo, è nato il progetto fotografico What You Like To See, che è diventato un libro nel 2022, in collaborazione con Chippendale Studio di Luca Panaro e una videoinstallazione, presentata nel dicembre 2022 al Museo Temporaneo Navile di Bologna, con la curatela di Azzurra Immediato.
Nelle tue personali “Life Vest Under Your Seat”, tenutasi nel Museo Diocesano di Faenza, e “Life Vest Under Your Seat (capitolo secondo)” al Museo GASC di Villa Clerici a Milano, hai recuperato l’antica tecnica del pizzo ceramico. La scultura, come l’anima, si fa fragile, minaccia di rompersi al primo contraccolpo…
Avevo bisogno di riconnettermi con tutta una serie di cose. Il recupero di quella tecnica è stato, in un certo senso, il recupero delle mie origini. Avevo vissuto metà della mia vita, quella da ragazzo, a Napoli e l’altra metà, quella da adulto, a Milano. Lavorando nella moda, la mia ricerca era puramente estetica, e avevo tralasciato il contenuto, ritrovato poi nelle mie esperienze da ragazzo. Tutto era rimasto dov’era ed io riuscivo a guardarlo da spettatore. Sono andato ancora più indietro, a quando, da bambino, mi innamorai delle statuine di porcellana di Capodimonte che mia nonna collezionava. Mi impediva di toccarle perché erano ‘delicate’, fino a quando non imparai a toccarle davvero. È stato arduo riportare quella tecnica su grandi superfici e grazie ad una residenza a Faenza, affiancato da Aida Bertozzi, ci sono riuscito: quel pizzo ceramico è diventato una sorta di mia cifra stilistica. La mia scultura, come l’anima, è fragile ma imparando a toccarla è indistruttibile, e, come tu dicesti al telefono, quando ci siamo conosciuti, diventa una spina.
“A chi ama l’arte non sarà sfuggito un fatto tanto eclatante quanto poco dibattuto: l’assenza nelle gallerie e nei musei di arte contemporanea di opere genuinamente religiose, in cui il sentimento religioso non sia inquinato, cioè, da ironia o irriverenza”. Così la quarta di copertina di Lo strano posto della religione nell’arte contemporanea di James Elkins, pubblicato lo scorso anno da Johan & Levi. Pensi che l’osservazione sia applicabile ai tuoi soggetti religiosi, dai crocefissi fioriti alle corone di spine su cui posano farfalle?
Affrontare il tema del sacro è un’impresa ardua! Quando nel 2019 ho realizzato le opere del progetto espositivo ‘Life Vest Under Your Seat’ non avevo considerato tutta una serie di cose, focalizzandomi, al contrario, solo sul messaggio che intendevo lanciare. La resurrezione! Non capivo perché, superata la fase medievale dell’immagine di Cristo, l’umanità non avesse cambiato registro, godendosi il vero miracolo: ritornare in vita. Ho guardato a tutto questo da uomo laico, ma, per rendere chiara l’idea, ho preso in prestito il simbolo più utilizzato che ci sia. Una grande apertura, poi, c’è stata da parte di chi gestisce quei luoghi espositivi legati alla Chiesa che hai citato: Giovanni Gardini, vicedirettore del Museo Diocesano di Faenza ha curato la mostra di Faenza e Luigi Codemo, direttore della GASC (Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei) mi ha accolto a braccia aperte, permettendomi di esporre in una chiesa, parte del complesso museale, mai utilizzata prima come luogo espositivo. In fondo, mi ha sempre affascinato il senso di miracolo, e il mio lavoro è incentrato su quel concetto, anche quando non ci sono Cristi o corone di spine. Senza dubbio, alla luce di tali esperienze, posso affermare che il ‘sistema arte’ al di fuori del circuito ecclesiastico, ha ugualmente subito una sorta di fascinazione da queste opere.
Hai partecipato all’edizione di quest’anno della Milano Design Week con due progetti, Parthenope e Lascivi. Il primo, correggimi se sbaglio, nasce da illustrazioni che sono poi divenute sculture.
La Milano Design Week è stata una grande sfida. Ho partecipato ad un evento intitolato Labò Cultural Project, curato da Francois Leblanc di Cicillia ed Elsa Lamarignier presso la Fondazione Rodolfo Ferrari diretta da Alisee Matta, in collaborazione con Le French Design. L’organizzazione voleva valorizzare principalmente la figura del creativo e dell’artista e così hanno trovato il mio lavoro adatto alla manifestazione. Il progetto Parthenope ha radici nel 2010 e, nel 2022 le illustrazioni sono state raccolte in un piccolo volume editoriale omonimo, in copie limitate, numerate e uniche per alcuni miei interventi, con narrazione critica di Azzurra Immediato, per un progetto di Edizioni Esperidi affidato alla cura di Carmelo Cipriani. Nello stesso anno ho provato a rendere tridimensionali le mie illustrazioni (è un vizio!) e da lì sono nate una serie di teste afferenti al mito di Sirena.
Il secondo muove invece dalla tua passione per i bestiari medioevali, dove venivano descritti e illustrati animali fantastici. Da qui la creazione di sculture ibride, tra opera d’arte e oggetto d’uso.
È noto quanto ogni artista che si approccia alla ceramica tema, per prima cosa, di essere definito come ceramista! Nulla contro i ceramisti ma, piuttosto, a dividerci sono le competenze: a me mancano le competenze di un ceramista di professione e sarebbe un vero affronto per tutti loro! L’artista, è altrettanto noto, affronta la materia in maniera completamente diversa. Dunque, per tornare alla tua domanda, ciò che mi interessava, anche e proprio a partire da quelle raffigurazioni di bestiari medievali, di quelle illustrazioni fantastiche di creature mitologiche e leggendarie, era creare delle forme capaci di contenere (senza che fossero necessariamente dei vasi o delle ciotole) ed è quindi così che ho pensato ad animali fantastici, in realtà le stesse Sirene lo sono, rifacendomi a quel linguaggio, a quei codici e ai molti racconti sopravvissuti ai secoli.
Come nascono i tuoi lavori dall’idea, al primo abbozzo alla realizzazione finale?
Solitamente passo direttamente dall’idea all’opera finita. Lascio maturare l’idea molto a lungo e, molto spesso, essa muta nella forma durante le fasi di realizzazione dell’opera, restando però fedele all’idea iniziale.
Che rapporto intrattieni con la committenza, pubblica e privata?
Ammetto che, ad oggi, non mi è stato mai commissionato un lavoro, tuttavia, sia il pubblico che il privato, hanno acquistato pezzi già esistenti. Detto ciò, mi piacerebbe molto intraprendere una simile sfida, ed elaborare opere sulla base di una committenza, confrontarmi con altre visioni e desideri che, per l’appunto, ho visto invece nascere con lavori ed opere già creati.
Chi sono i tuoi maestri, gli artisti cui ti ispiri?
Berlinde De Bruyckere, David Altmejd e Anish Kapoor sono gli artisti che mi hanno sempre affascinato per la scultura e, in generale, per il rapporto che hanno sviluppato tra la materia, lo spazio e l’opera; per quanto riguarda la fotografia ho sempre amato molto Eugen Atget.
Che cosa pensi della scultura italiana contemporanea?
Pensando all’Arte in generale, sono convinto che abbia bisogno di più contenuti. Troppa superficialità travestita da estetica, priva del gancio filosofico necessario! A Napoli si dice: è bell’ ma n’abball’! (è bella ma non balla, ovvero bella ma inutile).
E del nostro sistema di musei e gallerie?
È un sistema complesso e articolato che va compreso bene. Sono più di vent’anni che lavoro nell’arte e il sistema è in continuo movimento. Viviamo in un momento storico in cui i vecchi schemi a volte non funzionano e dove si fa sentire sempre di più l’esigenza di un rinnovato sistema dell’arte.
Si è molto dibattuto in questi giorni sulla commercializzazione del patrimonio culturale. Ti sembra giusto sfruttare a scopi pubblicitari i capolavori del passato, dalla Venere di Botticelli al David di Michelangelo?
Innanzi tutto, ti ringrazio per non avermi chiesto cosa ne penso, nello specifico, dell’ultima campagna in questione. Per rispondere alla tua domanda, anni nella Fotografia di Moda mi hanno insegnato che ogni soggetto deve essere contestualizzato e lanciare un messaggio, mirato, consapevole, teso a favorire o la nascita di un desiderio o il suo esaudimento. Questo significa che esaltare il valore del patrimonio culturale italiano è necessario, dalle opere dell’antico, fino all’Arte dei nostri giorni. Le operazioni di marketing culturale, se condotte in maniera colta e visionaria, hanno un potenziale senza pari!
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Il 6 settembre ci sarà una mia personale a Bologna, negli incredibili spazi di Adiacenze a cura di Azzurra Immediato. Sto lavorando a questo progetto espositivo da quasi tre anni, sin dalla chiusura della mia ultima personale a Milano. Sono molto emozionato perché presenterò solo opere inedite, frutto di una riflessione sul corpo, sulla materia e sulla trasparenza dei pensieri. Appuntamento a Bologna!