La personale che la Galleria 10 A.M. ART di Milano dedica a Felice Varini si compone di tre installazioni site-specific che giocano con realtà e illusione. Appuntamento dal 25 maggio al 28 luglio 2023.
Come ci sono artisti che scrivono, esistono anche scrittori che parlano di arte. Tra questi vi era Vladimir Nabokov, celebre ai più per il romanzo Lolita. Per lui l’artista, in qualsiasi ambito, deve possedere determinate caratteristiche per potersi dire tale. Tra queste, la più importante, è quella dell’incantatore. L’artista deve cioè essere in grado di generare un mondo fittizio così persuasivo da convincere chi ne fa esperienza che esso sia reale. Ed effettivamente tale meccanismo è evidente, soprattutto nelle opere più riuscite. Basti pensare che, quando un libro o un dipinto ci attraggono in modo particolare diciamo che “siamo totalmente dentro di loro“. Come fosse un mondo concreto che all’improvviso ci circonda. Su questa linea troviamo poi artisti capaci di esacerbare il concetto, intervenendo direttamente sul nostro spazio, sull’ambiente che già ci circonda, trasfigurandolo in una realtà altra e generando, in sostanza, nuovi mondi.
Tra questi c’è Felice Varini, un’artista che agisce sulla percezione, cambia il nostro modo di vedere le cose per cambiare, nella sostanza ma non nella materia, la natura delle cose. Ed ecco che i candidi spazi della Galleria 10 A.M. ART si trovano alterati da schegge rosse, ovali neri e frammentati tasselli gialli. Quel che sembra un precipitoso caos di forme, l’estrema deriva dell’entropia che tutto costantemente muove, cela al contrario un ampio complesso di calcoli, misurazioni, prospettive e, in ultimo, magia.
Il risultato è un ambiente alterato da elementi all’apparenza casuali, disposti secondo un ordine solo all’apparenza inesistente. Esiste invece un preciso punto di vista da cui l’irrisolvibile complessità trova la sua soluzione e un disegno ampio, coeso, finito, trova finalmente la sua via d’esistenza. In prima istanza c’è sicuramente da godere del gioco: muoversi per lo spazio, decifrare gli indizi, indagare prospettive e punti di vista. Ma poi, forse proprio dopo aver risolto l’enigma, subentra il momento di riflessione.
Ciò che sto vedendo è sempre esistito o ha iniziato ad esistere nel momento in cui l’ho guardato? Due ipotesi vere allo stesso modo, che conducono a un’analisi profonda di ciò che rappresenta la nostra realtà. Avrei potuto usare il termine “significa”, invece, non a caso, ho scelto “rappresenta”. Perché Varini ci dimostra, con la sua arte, proprio questo punto: il mondo è una rappresentazione, un allestimento scenico che non esiste senza una platea che lo guardi. I rimandi, in tal senso, corrono da Platone a Schopenhauer. Quest’ultimo, in particolare, affermava che “tutte le rappresentazioni sono oggetti del soggetto e tutti gli oggetti sono rappresentazioni“. Applicando tale principio alle installazioni di Varini ne deriva che il pubblico è il soggetto rappresentante e l’opera è l’oggetto rappresentato. Per far si che il meccanismo funzioni sono entrambi ugualmente necessari.
Ora non manca che vedere (meglio, decisamente meglio con i proprio occhi, dal vivo) la soluzione che l’artista ha trovato per applicare la sua poetica in questa precisa circostanza. Ovviamente le tre installazioni sono totalmente site-specific, come lo stesso Varini racconta: “Ciò che mi interessava era, per quanto concerne il progetto al piano terra, inglobare lo spazio nella sua totalità e generare un pezzo unico che mi permettesse di toccare l’ambiente complessivamente in tutte le sue caratteristiche, attraverso una doppia forma che incrociandosi generasse altre molteplici forme pittoriche. Mi premeva esaltare ancora di più questo luogo nella sua grandezza assoluta, attraverso un processo pittorico che evidenziando se stesso evidenziasse anche lo spazio in cui doveva essere accolto. Al piano inferiore, in uno spazio semplice pressoché monocromatico, sono presenti due lavori. Uno sulla parte architettonica più complessa di collegamento spaziale tra i due ambienti, l’altro sullo sfondo, che è quasi uno spazio dimenticato dove però la pittura può nascere, partendo dal rettangolo architettonico appena affermato dalla relazione spaziale di trave – pilastri laterali – pavimento, in cui si inscrivono tre ellissi concentriche. È una relazione diretta che la pittura ha con lo spazio, in una sorta di realtà astratta”.