Per Elia Alunni Tullini, uomini e cose sono opere inconsapevoli in cerca di autore. Ne abbiamo discusso in questa diciassettesima puntata di Progetto (s)cultura.
Le tue sculture, come i Kouros greci, sono sovente in posizione stante, coi piedi uniti, le mani lungo i fianchi: l’astrazione ha la meglio sul reale…
Perdonami se mi permetto di puntualizzare alcuni concetti, ma so che è proprio questo lo scopo delle tue domande. In riferimento ai Kouros greci vorrei precisare due aspetti importanti: il primo è che avevano un volto, una riconoscibilità, un nome, quindi una dignità e la postura del capo eretta; il secondo è la posizione dei piedi, uno davanti all’altro simulando un passo, quindi un movimento. La mia Venere contemporanea, Involucro, ha la testa china, simbolo di una società remissiva, nichilista e appesantita per non dire manipolata, dal potere del denaro, dal consumismo, dai pochi che tentano costantemente di renderla schiava. Le motivazioni e le metodiche cambiano nel corso della storia, ma il potere ha sempre cercato di imbrigliare la libertà individuale. La postura è statica per rafforzare il concetto di vuoto spirituale e culturale a cui stiamo andando incontro, pericoloso e deleterio per il genere umano, il cui unico scopo dovrebbe essere piuttosto l’elevazione interiore. Questa staticità fisica vuole essere simbolicamente l’espressione del nichilismo della civiltà contemporanea, in netta contrapposizione al fermento culturale di periodi storici come il Rinascimento o l’Illuminismo, in cui l’immobilità – o, se preferisci, l’immobilismo – non era affatto una soluzione contemplata.
I multipli di Involucro, incorporando la base, sembrano giocatori di calcio balilla: suggerisci, se ho ben capito, che i tuoi soggetti sono tutti uguali e pronti all’uso.
L’Installazione Siamo solo multipli, vincitrice del premio ArtKeys 03, prende spunto dal film Tempi Moderni di Charlie Chaplin: una pellicola dei primi del ‘900, età in cui prendevano piede il lavoro a catena e la produzione massiva di beni di consumo che hanno dato il via alla globalizzazione e al consumismo odierni. Con questa installazione cerco di fare un passo in avanti, raccontando come la diffusione incontrollata di merci prive di aura e il costante abbandono dei vecchi e oramai obsoleti mestieri artigiani, abbiano portato l’uomo a divenire egli stesso un multiplo, un prodotto, determinando una mutazione dell’idea stessa di “bellezza”. Quest’ultimo concetto si ricollega fortemente allo svuotamento dell’interiorità delle nuove generazioni, che puntano soltanto ad omologare la propria estetica ai modelli fittizi divulgati dai social. Ecco che le emozioni umane non hanno più alcuna utilità culturale e spirituale, se non quelle legate alla compravendita, allo scambio commerciale, ponendo così l’uomo allo stesso livello degli oggetti acquistati col denaro. Da tali riflessioni nascono pure le sculture colorate dal titolo provocatorio Siamo solo prodotti. Il colore delle statuine è volutamente un rafforzativo del concetto di prodotto, il quale deve essere accattivante e attraente, possibilmente accostabile ad un oggetto di design o diventare, se vogliamo fare una forzatura, esso stesso design.
I colori accesi di alcuni lavori contrastano intenzionalmente il loro portamento remissivo. Un riferimento all’attitudine dell’arte di normalizzare il dolore, rendendolo tollerabile quando non desiderato?
Come farne a meno? Il dolore è e resta necessario: senza dolore non si cresce. Tuttavia, osservando l’umanità che mi circonda, mi rendo conto di come essa sia priva degli strumenti per affrontarlo e non sappia perciò trovare altra risposta che la fuga. Un dolore desiderato razionalmente non esiste; esiste, però, nella nostra anima, il desiderio profondo di far arrivare a noi ciò di cui abbiamo bisogno. Spesso abbiamo bisogno anche di soffrire, sebbene non tutti lo comprendano.
In altre sculture, la tua attenzione si concentra sul contrasto tra totalità e frammento, interno e superficie, pieno e vuoto. E, ciò che più conta, sulla fragilità della materia.
Il pieno ed il vuoto, come anche la disgregazione della materia, fanno costantemente riferimento alla natura umana costituita da un’anima che riempie un involucro organico destinato al deperimento. Intendo simbolicamente rappresentare questi concetti universali.
Non fai mistero di praticare, a volte, tecniche di riproduzione digitale. Quale è il tuo rapporto con la tecnologia?
Siamo in un’epoca dallo sviluppo tecnologico velocissimo, che ha reso la nostra vita nevrotica e allo stesso tempo involuta spiritualmente. Ritengo che la tecnologia al servizio della creatività umana sia un vantaggio immenso in tutti i settori, primo fra tutti quello scientifico/medico, ma senza trascurare il campo artistico. Il problema non sta nella tecnologia in sé, ma nella nostra capacità di gestirla. Detto questo, mi sforzo quotidianamente di vivere una vita incentrata sull’ampliamento del pensiero, della riflessione, della conoscenza di sé e della creazione: aspetti della crescita che richiedono tempistiche molto soggettive e in linea di massima lente, quasi sempre distanti dalla velocità con cui si muove il tempo nelle società “tecnologicamente squilibrate”.
Di recente un fotografo ha rifiutato un premio perché l’opera con cui concorreva era stata realizzata da un’intelligenza artificiale. Tu faresti altrettanto?
Se si è sentito tagliato fuori dall’atto creativo, ha fatto bene. Mi sembra tuttavia un comportamento confuso. Io, al suo posto, non mi sarei iscritto al premio. Intendo dire che dal momento in cui partecipo a una competizione, mettendoci la “faccia”, dò per assodato che la paternità del lavoro con cui concorro sia la mia. Probabilmente ha solo lanciato una banale provocazione.
Parliamo un po’ del processo. Come vengono alla luce i tuoi lavori?
Devo molto alla maestria degli artigiani presso i quali ho potuto umilmente imparare le antiche tecniche di fonderia e formatura. In un certo senso ho alchemicamente tramutato il loro processo: loro replicavano le opere di altri, io la realtà che mi circonda. Credo che la più grande ed ineguagliabile forma d’arte sia quella che la natura in tutti i suoi elementi, uomo compreso, ci dona. Perciò utilizzo forme, elementi naturali, persone, prodotti industriali come materia da cui creare una simbologia contemporanea, considerando essi stessi opere inconsapevoli in cerca d’autore.
Chi sono i tuoi maestri, i tuoi riferimenti?
Padroneggiare la tecnica fino a utilizzarla senza pensare ha gettato delle basi solide su cui costruire la mia ricerca attuale, consentendomi così di dedicare molte più energie allo studio dell’operato dei più grandi artisti e maestri dell’arte moderna e contemporanea e lasciando campo libero alla loro influenza. L’autore che porto sempre con me come modello di genio infinito ed immortale è Marcel Duchamp: proprio per la visione concettuale dell’opera già creata, già esistente e pronta a divenire icona, il ready made. Fortunatamente il ‘900 ci ha donato menti eccezionali anche in Italia, le cui influenze mi hanno letteralmente travolto. Il riferimento per me più importante è senza dubbio Lucio Fontana: la sensazione espressa nelle Attese, quel tentativo di andare oltre la tela bianca, nel mio caso lo stampo vuoto, la ritrovo ogni qual volta mi appresto all’atto creativo. Non posso poi non citare Piero Manzoni e Alberto Burri; il primo per il coraggio con cui ha interpretato il suo ruolo sociale di artista, il secondo per il rispetto che ha sempre dimostrato per la natura che, nelle sue plastiche bruciate o nei suoi Cretti in argilla che lavorano, si ritraggono e si spaccano indipendentemente dalla mano di colui che li ha creati, vive un processo di trasformazione autonomo e assoluto.
Quali materiali prediligi?
Non voglio impormi limiti per quanto riguarda l’uso dei materiali, ma devo ammettere che la materia derivante dalla madre terra mi trasmette una vibrazione ed una poesia maggiore rispetto ai miscelati chimici prodotti dalle industrie del petrolio. Anche da questo punto di vista reputo l’elemento proveniente dalla natura bisognoso di rispetto ora più che mai, poiché l’estrazione e la raffinazione compiuta nei secoli da parte dell’uomo, “il prendi”, ha provocato lacerazioni indelebili all’ecosistema terrestre e le continue ed efferate azioni/distruzioni industriali appaiono come veri e propri stupri. Per queste motivazioni nel tentativo di rappresentare un simbolo e realizzare una creazione plastica cerco con tutto me stesso di ridonare dignità alla materia violata. La materia che mi attrae maggiormente è il cemento per le sue capacità di resistenza alle sollecitazioni, il colore, la sua duttilità. Questo dal punto di vista manuale. Da quello concettuale invece, credo che esso rappresenti egregiamente l’epoca contemporanea per il suo impiego generalizzato in campo edile; un utilizzo che l’ha reso ai nostri occhi estremamente familiare. Non da meno è la ceramica, con la sua tradizione millenaria ed il suo pregio artistico, anche se, secondo me, essa non rappresenta così bene la nostra epoca in quanto richiede delle tempistiche di lavorazione molto lunghe, quasi inconciliabili con la velocità con cui si muove la società contemporanea. A calare, per i motivi appena elencati, il bronzo e il marmo.
Che cosa pensi della scultura oggi in Italia?
Cosa penso della scultura in Italia… Penso che stia perdendo di concetto e sempre più diventando un prodotto consumistico, acquistato con l’unico scopo di arredare i propri spazi lavorativi o abitativi al fine ultimo di ostentare opulenza. Un’arte fatta esclusivamente per stupire.
E del sistema dell’arte, tra fiere e gallerie?
L’esistenza di un “mercato” impone in modo indiscutibile all’artista di sviluppare una buona attitudine imprenditoriale, che in genere è molto sopita, se non inesistente, in chi lavora con le emozioni. A me sembra comunque che esso funzioni come qualsiasi altro mercato e ci sia spazio per tutti, e cioè per ogni artista che manifesti una passione travolgente per il proprio mestiere; credo infatti che il denaro si muova, per legge di attrazione, verso colui che non lo desidera con attaccamento, ma che al contrario diffonda attorno a sé l’energia alchemica della creazione, in modo puro e sincero. Allora sì tutto funziona, e trova la via per fluire. La parte fondamentale, per quanto mi riguarda, è la scelta dei compromessi più funzionali alla mia integrità artistica e individuale. In aggiunta a quanto detto vorrei esprimere la mia smisurata stima verso tutte le figure professionali che lavorano con grande dedizione nel sistema poiché credo fortemente nella collaborazione tra specialisti: a ognuno il suo ruolo.
Per uno scultore, la consacrazione non viene solo dai musei: hai mai realizzato un monumento?
L’installazione monumentale, per la forza comunicativa e la fruibilità che trova nella sua collocazione, è la vera essenza del nostro mestiere. Il monumento riesce infatti a sorprendere il passante che, intento nella sua marcia quotidiana, ha la possibilità in modo gratuito di distogliersi dai propri ridondanti pensieri e di entrare anche solo per un attimo in una dimensione nuova, che potrebbe alimentare il suo motore interiore. Nelle mie tre esperienze monumentali, la prima ad Assisi nel 2015, la seconda in Finlandia nel 2017, la terza nel 2022 a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, ho potuto osservare con grande meraviglia quanto un monumento possa essere attrattivo. È In queste occasioni che noi artisti percepiamo fortemente il nostro ruolo nella società, che è quello di assorbire, interpretare, elaborare ed infine donare al pubblico l’Aura creata nel processo creativo, tenendo per noi “soltanto” la crescita interiore che ne scaturisce.
Oggi più che mai i monumenti sono presi di mira: che futuro vedi per queste opere pubbliche nell’epoca dell’anti politica e dell’antimateria?
I monumenti sono sempre stati presi di mira nei momenti di decadenza culturale, è qualcosa di inevitabile e che appartiene ai processi ciclici di cambiamento delle civiltà. Quando i costumi, le tradizioni e i valori si corrompono può accadere che un popolo abbia la necessità di abbattere alcuni simboli: personalmente non condivido questi gesti, che anzi provocano in me un senso di indignazione, ma li comprendo, come comprendo il nostro irrazionale desiderio di autodistruzione.
A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Attualmente sento sempre più urgente l’esigenza di sensibilizzare la società a prendere coscienza della sua attuale direzione, ossia l’autoannientamento interiore; non parlo di autoestinzione biologica poiché credo che essa ne sia una diretta conseguenza. Pertanto ho iniziato un nuovo ciclo di lavori che racconta la civiltà contemporanea con una visione catapultata nel futuro e che mette a fuoco il nostro mondo guardandolo in modo retrospettivo, dando cioè una suggestione archeologica a ciò che stiamo lasciando ai nostri posteri.
.