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Diamanti, rubini e smeraldi: il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi

DIAMANTI RUBINI E SMERALDI Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi Ritratto di Eleonora di Toledo (Agnolo Bronzino, 1543 - particolare)
DIAMANTI RUBINI E SMERALDI Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi
Ritratto di Eleonora di Toledo (Agnolo Bronzino, 1543 – particolare)

Diamanti, rubini e smeraldi – Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi, in libreria il volume di Silvia Malaguzzi sull’alfabeto segreto dei gioielli nei quadri del museo fiorentino

Simboli di ricchezza e potere, pegni d’amore, amuleti o codici sociali: pietre preziose e gioielli nell’arco della storia dell’umanità hanno da sempre costituito un sistema di significati estremamente complesso che nell’arco del secoli si è evoluto, adattato e trasformato. “È il linguaggio del gioiello – spiega Eike D. Schmidt, Direttore degli Uffizi, nell’introduzione del volume Diamanti, rubini e smeraldi: il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi di Silvia Malaguzzi (in libreria con Nomos) – La conferma viene anche dall’antropologia, che riconosce ai gioielli la capacità di essere catalizzatori di simboliche diverse. L’elenco di queste simboliche primarie va dal significato dei minerali a quello dei colori, dalle forme geometriche ai numeri, dai vegetali agli animali, dal simbolismo astrale dei segni zodiacali a quello associato al corpo umano. La lista si arricchisce dei valori rituali riconosciuti a particolari ornamenti, come ad esempio l’anello. La nozione stessa di preziosità trascende l’aspetto economico e si estende alle relazioni sociali, spingendosi sul piano giuridico, religioso, estetico ed emotivo e incutendo rispetto, timore, interesse, attaccamento, orgoglio”,

La letteratura, fin dai tempi antichi, è ricca di fonti su notizie legate al mondo dei gioielli e dei monili, su come venissero scelti e indossati. Proprio in epoca classica ha visto la luce un filone letterario dedicato proprio alle gemme: i lapidari, poi ripresi anche dalle enciclopedie medievali e riscoperti nel Rinascimento. È la pittura però che ci permette di cogliere il grande grado di complessità del linguaggio legato al mondo dei gioielli.

In questo volume, Silvia Malaguzzi svolge un’indagine approfondita su mezzo millennio di gioielleria dipinta nelle opere delle Gallerie degli Uffizi. Si parte dal Trecento, ammantato da cascami tardo-antichi, si prosegue con il Quattrocento, con un realismo pittorico che trasmette in maniera sempre più accurata i dettagli della gioielleria. Il Sei e il Settecento chiudono questo viaggio, segnando un cambio di tendenza: “la compattezza del lessico del gioiello comincia lentamente a sfaldarsi, insieme alla sua efficacia semantica”. L’eredità della cultura classica si indebolisce e lascia spazio a una visione più scientifica, legata agli studi di mineralogia, viene così a mutare anche il modo in cui le pietre preziose vengono percepite: “la scienza gradualmente s’insinua nel mondo magico delle gemme togliendo forza alle credenze e alle superstizioni sulle quali si reggeva il linguaggio simbolico delle pietre preziose, mentre sul piano sociale cresce l’attenzione per il gioiello come strumento di ostentazione del potere”.

Rabano Mauro (784 circa – 856) nel suo De gemmis del De Universo parla del rapporto stringente tra qualità cristiane e le gemme in base ai colori dei cristalli, mentre la luminosità è metafora di luce divina e condizione necessaria per far emergere i colori-virtù. Questa associazione ha un impatto impatto fondamentale sulla pittura occidentale che trova riscontro (oltre che nelle opere stesse realizzate nel corso dei secoli) nel Trattato dell’arte de la pittura del 1584 di testimoniata da Giovan Paolo Lomazzo (1538-1600), che elogia le pietre per il colore, la trasparenza e l’incorruttibilità e le consiglia ai pittori per esprimere le virtù angeliche e tutte le altre. Gli esempi sono innumerevoli.

DIAMANTI RUBINI E SMERALDI Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi
Bronzino, Sacra Famiglia con san Giovannino (particolare)

Nella Sacra Famiglia con san Giovannino del Bronzino la veste purpurea della Madonna è arricchita da un fermaglio con zaffiro: “La gemma à cabochon dipinta con polvere di lapislazzuli segnala qui la virtù della pudicizia: questo è infatti il valore simbolico del fermaglio, oggetto che chiude e dunque protegge, così come dello zaffiro, ma il suo riverbero luminoso al centro fa pensare a una “pietra stellata”. Questa caratteristica, presente soprattutto nei rubini e negli zaffiri consiste in un effetto ottico di rifrazione della luce che simula la presenza di una stella al centro della pietra. Plinio descrive il fenomeno a proposito della gemma che chiama asteria (denominazione attuale per i corindoni stellati) come una luce, una specie di pupilla racchiusa all’interno della pietra. Questa luce, continua Plinio, sembra spostarsi proiettando il suo bagliore in direzioni diverse a seconda dell’inclinazione; quando è opposta al sole, la gemma rimanda raggi bianchi a mo’ di stella, una peculiarità dalla quale ha desunto il nome”.

Ci sono poi gioielli storici e araldici, vessilli di casate nobiliari e segno di riconoscimento tra i potenti: “Nei documenti figurativi, quando il linguaggio dei monili si intreccia a quello dell’araldica, entrambi ne ricavano un reciproco potenziamento”. Anche i quadri più famosi, letti e decifrati attraverso questa lente, possono ancora rivelare novità destinate a sa svelare alcune pagine misteriose della Storia dell’Arte. Lo scorpione che adorna la “lenza” dipinta da Raffaello nel ritratto di Elisabetta Gonzaga è emblema delle doti intellettuali della duchessa; le gemme dei gioielli di Battista Sforza nel ritratto di Piero della Francesca sono simboli delle sue virtù, raffigurate anche come personaggi femminili nel Trionfo dipinto sul retro della tavola. I tre diamanti sul coperchio del vaso dei Magi nell’Adorazione di Filippino Lippi sono qui per la prima volta interpretati come un riferimento araldico ai Medici, e persino nella studiatissima Primavera di Botticelli sono stati svelati messaggi finora rimasti segreti: il pendente con foglie di rovere di una delle Grazie rimanderebbe infatti alla pace tra Firenze e Roma, interpretazione che confermerebbe anche la datazione dell’opera (o almeno la sua conclusione) al 1482. E, sempre su, Botticelli, l’identificazione della figura femminile – Minerva o Camilla – nella Pallade e il centauro può trovare la sua risoluzione attraverso l’identificazione di una pietra preziosa, il diamante, legato simbolicamente alla dea Atena in quanto simbolo della ragione. Un intero capitolo del libro è dedicato alle perle, simbolo di casta fertilità, per le spose e madri devote che venivano associate alla Madonna, un altro ancora tutto agli anelli e al loro linguaggio in codice.

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Ritratto di Elisabetta Gonzaga (Raffaello Sanzio, 1504-1505 – particolare)

La pittura fiamminga con la sua attenzione maniacale ai particolari più minuti e preziosi non lascia dubbi sull’importanza di ogni dettaglio, la presenza degli anelli alle dita dei personaggi ritratti non può quindi che essere rilevante ai fini della lettura dell’opera. Ne è un esempio il Ritratto d’uomo con paesaggio di Hans Memling: il prtagonitsa “indossa nella mano destra due anelli: uno all’indice e uno alla seconda falange del mignolo. Si tratta con ogni probabilità di un mercante straniero che lavorava a Bruges […]. Di certo il collo di lince che rifinisce l’abito attesta che si tratta di una persona facoltosa, così come gli anelli, in particolare evidenza sulla mano”. Ma non è una semplice esaltazione di ricchezza, un’ostentazione: il gioiello, come abbiamo visto, è veicolo di messaggi, di codici, di significati: “La piatta gemma rossa richiama la funzione sigillare e conferma che il personaggio è un uomo con molte proprietà e responsabilità […]. Certamente la posizione alla seconda falange del dito mignolo, in accordo con la moda dell’epoca, rendendo il monile ben visibile ne suggerisce altresì una funzione attiva nel dialogo con il riguardante, nonché verosimilmente protettiva. Dietro al vezzo di ornare tutte le falangi vi era infatti l’idea di rendere le mani inadatte al lavoro manuale, dimostrando così l’appartenenza ai ranghi sociali superiori, quelli impegnati solo in attività mercantili, direttive o intellettuali la posizione degli anelli è dunque già di per sé un segno di distinzione”. In questo complesso vocabolario, il turchese era una pietra considerata apotropaica, in grado di rivelare in anticipo circostanze avverse e di impallidire o rompersi in pezzi in caso di infortunio, sostituendosi così al suo proprietario.

Diamanti, rubini e smeraldi si rivela un volume ricchissimo e prezioso, l’autrice riesce a muoversi nel fiume carsico della Storia dell’Arte grazie a documenti, fonti e felici intuizioni: ne risulta un avventura incredibilmente densa, curiosa e appassionante, fatta di pietre preziose, personaggi storici e molte pagine di letteratura. Doppio slurp!

DIAMANTI RUBINI E SMERALDI Il linguaggio dei gioielli nei dipinti degli Uffizi

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