Le sculture di Mario Velocci appaiono leggere e volte all’ascensione, nonostante siano composte di acciaio e altri metalli. Sensibili e disponibili al tocco, esse vibrano ed emettono suoni, stimola la spiritualità di ogni visitatore. Non a caso sono esposte alla Basilica di San Celso di Milano. Dal 30 giugno al 9 agosto 2023.
L’ingresso da Corso Italia si apre su di un giardino introdotto da una cancellata d’epoca in ferro battuto e delimitato ai lati da pareti scandite da lesene e archi adorni di capitelli e sculture romaniche e rinascimentali. É il passaggio che dalle strade di Milano conduce alla Basilica di San Celso, dove tra le piante del giardino e l’architettura della chiesa si scorgono le opere di Mario Velocci. Una selezione di sculture e bassorilievi dell’autore che scandiscono un racconto lirico e concettuale, dove ciò non si vede conta più di quel che si può toccare.
Un’espressione, quest’ultima, da intendersi in modo più letterale di quel che ci si potrebbe aspettare. Infatti, a differenza di tante volte, praticamente tutte, in questa occasione il visitatore è infatti a un contatto diretto con le opere, realizzate in modo da animarsi grazie al tocco dello spettatore. Che diviene dunque caldeggiato, se non necessario. Nel pieno solco dell’eredità relazionale e processuale, i lavori di Velocci appaiono come macchine dissezionate, meccanismi svelati, cuori pulsanti da sfiorare. Composti per lo più da metalli, essi assumono forme filiformi e vibratili, sensibili ad agitarsi emettendo suoni diversi a seconda della forza e dei movimenti impressi.
«Nelle opere di Mario Velocci – spiega il curatore Giorgio Verzotti – l’impressione è quella di vedere rivelata la struttura segreta di un meccanismo complesso ma estremamente ordinato, reso compatto dall’impiego di bulloni, viti a farfalla, tasselli e quant’altro; a osservare meglio si svela la loro funzione segreta perché sembrano proprio le strutture interne di strani strumenti musicali mancanti della loro cassa armonica».
Come l’opera, che dal cortile, introduce eloquentemente (e ironicamente) alla mostra: Colonna Sonora (2023). Una scultura alta quattro metri che ricorda delle spighe di grano esposte al vento, il quale accarezzandone i confini consente loro di animarsi. Al suo interno troviamo racchiuso quindi l’elemento sacro (lo slancio verso l’alto), quello naturale e quello musicale. Ma anche la cifra stilistica di Velocci, che come Melotti prima di lui sceglie materiali pesanti e li rende leggeri, ne espone il cuore vivo e lo restituisce nella sua essenza.
Uno spirito che in questo caso evidenzia il suo lato più sacro, che intreccia legami con l’aura (e l’architettura) religiosa del luogo. Libero Sonoro (1986) e Libro (1977) richiamano entrambe l’idea della tomba, riprendendo il tema delle lapidi che spesso emergono dalle pavimentazioni delle chiese. Ma se esse, solitamente, le immaginiamo gravose e pesanti, qui guadagnano la leggerezza di chi guarda all’anima e non al corpo, al cielo e non alla terra. Il ricordo di ciò che è stato e non è più torna in Pagine (1992). Opera plasmata in ferro e acciaio che lascia visibili dietro di sé le antiche lapidi poste sulle pareti della navata. Per avvicinarci all’impalpabile la strada da seguire, lo sappiamo, è una. Ce la indicano Spazio, Segno, Suono (1982), scultura in corten e acciaio alta quasi tre metri che – con la sua accentuata verticalità – chiude la navata destra proiettando la visita verso l’altare. Sopra l’altare in pietra, ai lati, come candelabri cerimoniali, tre opere che ribadiscono e amplificano la verticalità: a destra, Il Suono della Terra (1987) e a sinistra, accostate, due sculture intitolate entrambe Spazio Sonoro (2017).
Acciaio, ferro e corten, per ora declinati in forma scultorea, in Partitura sonora (2016) si uniscono al cartone componendo un ibrido di medium che idealmente, visto il luogo in cui si trova l’opera, assume il ruolo della Madonna nell’iconografia cristiana. Soprattutto perché ai suoi lati si trovano di due opere parietali (Coronarte, 2020) quadrangolari realizzate in carta, matita e pastello e disposte a lato dell’opera centrale. Una lettura favorita anche dalla Madonna di stile bizantino realizzata nel 1473 dal pittore lombardo Stefano Fedeli e ancora visibile sulle pareti della chiesa.
Con il medesimo meccanismo, dall’altra parte dalla struttura, un affresco ritraente una Madonna benedicente con bambino in trono, realizzato da un autore ignoto nel XV secolo, introduce a Partitura Sonora (2022). Un pentagramma in ferro e acciaio che nel modo più unitario offre la possibilità di essere suonato o manipolato, nella compostezza di un lavoro smontato da sovrastrutture o impalcature, ma pienamente libero di donarsi al visitatore e di stimolare il suo senso dell’altrove.
La mostra è occasione per presentare in anteprima il volume La Collina Sonora, con testi di Stefano Bucci, Giorgio Verzotti e fotografie di Lidia Bagnara, che documentano le opere dell’artista realizzate per la Fondazione Mastrantoni ed esposte in permanenza nel parco delle sculture di Atina, nella Valle di Comino, in provincia di Frosinone, presso l’Antica Tenuta Palombo. Un video in mostra racconta il progetto.