Riflettori puntati su Spoleto, sede del “Festival dei Due Mondi“, arrivato quest’anno alla 66° edizione sotto la direzione di Monique Veaute. Quest’anno nella città umbra sono arrivate nuove energie legate all’arte contemporanea, che la spingono verso una visione del presente e del futuro che si aggiunge agli spettacoli di Alessandro Baricco, Silvia Costa o Laetitia Casta, proposti con passione e professionalità dalla Veaute.
Sempre a Spoleto, è stato nominato da pochi mesi alla direzione dei Musei Comunali il curatore Saverio Verini, classe 1985, che ha proposto un carnet di mostre di artisti italiani di diverse generazioni, con una spiccata attenzione verso gli emergenti, protagonisti della collettiva La sostanza agitata, ospitata in undici sale al pianterreno di palazzo Collicola. Ad ogni artista Verini ha assegnato una sala che ospita un’opera di carattere installativo, spesso di notevole impatto visivo. “La scelta di proporre una serie di artisti che oggi riflettono sul linguaggio scultoreo e la sua eredità intende richiamare la tradizione artistica di Spoleto, indissolubilmente legata alla dimensione plastica, a partire dall’esperienza di Sculture nella Città (1962)” puntualizza il curatore.
Tra le opere più interessanti di questa stimolante collettiva, che possiamo considerare una sorta di laboratorio delle ricerche della generazione under 35, spiccano l’installazione tentacolare di Binta Diaw (1995), la scultura in feltro fluorescente di Giovanni De Cataldo (1990), la serie di opere in terracotta di Lucia Cantò (1995), la tigre in cera d’api del mongolo Bekhbaatar Enkhtur (1994), la scultura in ferro dal carattere simbolico e minimale di Lulù Nuti (1988) oltre all’intervento di Davide Sgambaro (1989), con un provocatorio carattere performativo.
L’appartamento nobile al primo piano dello stesso edificio, caratterizzano da ambienti fortemente connotati dalla presenza di arredi e dipinti legati alla storia del palazzo , è stato letteralmente riconfigurato da “Intervallo”, l’impeccabile antologica di Flavio Favelli (1967), capace di rileggere la componente domestica – spesso con accenti quasi viscontiani – dell’abitare borghese italiano negli ultimi due secoli. Con un pizzico di ironia e una buona dose di empatia con il gusto decadente e retrò dell’aristocrazia di provincia, l’artista inserisce le sue opere nei salotti settecenteschi come presenze distopiche, in dialogo con pale d’altare, ritratti di antenati, consolle e candelabri. “Questa galassia di oggetti – che conserva un rapporto con la memoria e l’identità italiana, sottolineando le tensioni tra lo spazio privato della casa e quello pubblico della strada – viene ricombinata per dar luogo a opere stranianti, riconoscibili ma tutt’altro che rassicuranti” spiega Verini.
Con una sapiente unione tra eleganza e folklore, gusto e tradizione, Favelli costruisce un itinerario che va da installazioni monumentali, realizzate con materiali diversi-cancellate metalliche o luminarie – ad interventi più mimetici, che si confondono con gli arredi delle sale, fino alla teca dove l’artista ha collocato una serie di cartoline d’epoca, legate alla celebre trasmissione della Rai, intitolata appunto Intervallo. Da palazzo Collicola l’ondata di contemporaneo si sposta nei suggestivi ambienti della casa romana, impreziositi da mosaici pavimentali policromi, che ospitano Dreamhouse, l’intervento sonoro di Alice Paltrinieri (1987) curato da Spazio Taverna e legato all’universo onirico più intimo delle persone, per poi spostarsi all’interno della chiesa di San Giovanni e Paolo, dove Paolo Icaro (1936) ha presentato Anacronismo, un’installazione giocata sul rapporto con gli affreschi sulle pareti. Nel museo del Tessuto, inaugurato da poco, Verini ha presentato Teatrino, un’installazione di Adelaide Cioni (1976) composta da tre costumi realizzati dall’artista in occasione di una mostra a Londra, nello spazio Mimosa House.
All’incontro tra archeologia, arte, matematica e Intelligenza Artificiale è dedicata Tutto è Numero, l’installazione di Gabriele Gianni proposta nel suggestivo spazio del battistero della Manna d’Oro dalla fondazione Carla Fendi, in occasione del suo quindicesimo anniversario . “Mia zia Carla ha creato l’omonima istituzione nel 2007 – ricorda Maria Teresa Venturini Fendi, attuale presidente della fondazione – con uno spirito di puro mecenatismo, per promuovere le arti. Inizia invitando per la prima volta a Spoleto Riccardo Muti, che dedica un concerto alla città. Sempre per la prima volta, arrivano artisti come Antonio Pappano e poi ancora Peter Greenway che, con Sandro Chia, realizza il progetto Genesi e Apocalisse”. Quest’anno l’opera di Gianni , incentrata sulla relazione tra numero e atto creativo, è stata realizzata con gli strumenti dell’intelligenza artificiale generativa, per dare vita ad uno spazio rinascimentale aumentato, popolato da statue in pietra che si trasformano in una narrazione fluida e ricca di suggestioni, legate ad alcune domande che l’AI pone a se stessa, mettendo in questione l’evoluzione di un mondo dominato dagli algoritmi. “Oggi l’arte si avvale sempre di più di tutte le tecnologie, dall’Intelligenza Artificiale alla realtà aumentata, e gli artisti danno vita a creazioni molto interessanti. La tecnologia è entrata a far parte della nostra vita, per cui è stato abbastanza naturale che la Fondazione si aprisse a questo linguaggio” conclude la presidente, per ribadire l’interesse per le contaminazioni tra discipline artistiche e scientifiche.