Tra le Dolomiti la natura sboccia in primavera, l’arte in estate. Merito di SMACH, la Biennale di arte pubblica delle Dolomiti che dall’8 luglio al 10 settembre 2023 propone un’esposizione open air tra gli scenari montuosi della Val Badia.
SMACH, acronimo di San Martin Art, Culture and History, è stata ideata nel 2012 da Michael Moling e dal 2018 si è conformata come un’associazione culturale. A San Martino in Badia (Bz) è inoltre sempre aperto SMACH Val dl’Ert, il parco pubblico di 25 ettari che raccoglie la collezione permanente destinata ad arricchirsi ogni anno con le opere dell’edizione precedente.
Il tema – per cui sono giunte oltre 300 proposte da 38 paesi – di questa VI edizione è la parola Sprouting, che “indica l’azione in atto di germogliare, la nascita di una nuova potenziale vita vegetale, simbolo di fertilità e ricchezza ma anche germoglio da proteggere e curare. Sprouting è anche un termine utilizzato per indicare, nel campo della plasticità naturale, la capacità del sistema nervoso di modificare, in base all’esperienza, e a fini di apprendimento, i propri circuiti sia dal punto di vista strutturale che funzionale”.
L’organizzazione ne ha selezionate 10, considerando la sostenibilità dei progetti e la loro aderenza ai criteri tematici e culturali del bando. Sono state poi individuate altrettante location – in Val Badia tra i Parchi naturali Puez-Odle e Fanes-Senes-Braies ed in vari siti di Natura 2000 – dove installare le opere. Situate ad un’altitudine tra i 1.316 e i 2.465 metri, i lavori sono accessibili tramite percorsi di trekking dalla durata variabile. Il tragitto totale è di oltre 60 km per circa 20 ore, da affrontare da soli o in un tour organizzato.
Ecco le opere selezionate:
STEFANO CAIMI (Milano, Italia) | Fairy Ring | località Armentara
Nei prati dell’Armentara fiorisce l’anemone alpina chiamata in ladino stria, che significa strega, poiché in primavera produce un’infruttescenza che assomiglia a un ciuffo di bianchi capelli arruffati. L’opera prende spunto dal fenomeno naturale che, per secoli, ha alimentato le credenze popolari e le storie mistiche legate al cerchio delle streghe. Oggi sappiamo che il presunto percorso circolare tracciato durante le danze rituali è, in realtà, la fruttificazione dell’apparato sotterraneo di alcuni funghi. L’opera racconta così il territorio non solo attraverso i suoi elementi naturali, ma anche grazie alle sue leggende.
EGEON (Bolzano, Italia) | Explosion | località Pederü
Composta da soli materiali del luogo, l’installazione dialoga con il contesto facendo anche riferimento al suo passato bellico. A Pederü aveva sede, durante la Prima guerra mondiale, il villaggio militare della fanteria dell’esercito austro-ungarico. Visto da vicino, il cerchio di pietre sembra un mandala dolomitico o le rovine di un’antica struttura, ma da una visione sopraelevata prende invece le sembianze di esplosione. Riconducibile a una bomba, ma anche all’impronta delle spore dell’amanita muscaria, uno dei funghi più iconici. Explosion è quindi un omaggio alla storia del passato, un monito per il presente e una celebrazione del mondo naturale.
DELILAH FRIEDMAN (Colonia, Germania) | Nexus | località Pra de Pütia
Fin dal titolo, l’opera riporta all’universo di connessioni sotterranee tra piante, funghi, batteri, insetti, animali, ma anche al rapporto uomo-natura e alle sinapsi neuronali. L’artista ha annodato e lavorato all’uncinetto, tecnica molto usata nell’artigianato badiota, oltre tre chilometri di filo di sisal, una fibra naturale ottenuta dalle piante di agave sisalana. Questo groviglio di fili e nodi si arrampica sui tronchi degli alberi, collegandoli come una ragnatela. Tra opera e ambiente nasce un dialogo che sfuma i confini tra naturale e artificiale proponendo un approccio sensibile e sostenibile.
KG AUGESTERN: Christiane Prehn, Wolfgang Meyer (Sant’Antone Berlino, Germania) | The Flying Herd | località Ju de Sant’Antone
Il Passo Sant’Antonio è il punto di passaggio della transumanza. Un’antica fiaba ladina racconta la storia di un pastore nomade che, giunto in zona con la sua mandria, chiese il permesso di nutrire le sue bestie sui prati della valle. I locali, volendo sbarazzarsi di lui, lo mandarono su per i monti raccontandogli che lassù avrebbe trovato fertili pascoli. In quota, però, lui e i suoi animali stavano per morire di sete, quando apparve una Gana, lo spirito femminile delle acque, che magicamente creò una sorgente. L’installazione – che si trova lungo il sentiero che attraversa il pendio ghiaioso, e privo di ogni vegetazione, che porta al Passo di Sant’Antonio – richiama questa storia grazie alle campanelle che, mosse dal vento, richiamano il suono dei campanacci delle mucche.
ANTHONY KO (Hong Kong, HK) | Disintegration | località La Crusc
Baite, malghe e masi sono testimonianze architettoniche della secolare vita dell’uomo in montagna, già frequentate 8000 anni fa. L’artista trae ispirazione dai capanni, in ladino i tablà, che conservavano il fieno e gli attrezzi. Strutture che oggi sono spesso abbandonate. L’opera vuole ridare loro valore costruendone uno che, però, è sollevato da terra ed è realizzato in materiale specchiante. Anche qui subentra però il concetto di decadenza e abbandono, con la scultura gonfiabile che gradualmente si sta disintegrando.
Collettivo LIDRIIS: Luigina Gressani, Giuseppe Iob, Paolo Muzzi e Carlo Vidoni (Tredicesimo UD, Italia) | Anelli di crescita | località Forcela de Furcia
Germogliare, germinare, gemmare sono processi reiterati, di cui le piante hanno memoria. Questo rinnovamento ciclico è esempio di resilienza basato sull’adattamento e sulla assimilazione. La stessa forza che ha Giuseppe, uno dei membri del collettivo LIDRIIS, che dal 2019 è paraplegico a causa di un incidente in montagna. La sua colonna vertebrale conserva, come gli anelli di crescita degli alberi, traccia dell’evento traumatico che lo ha costretto a riorganizzare e rinnovare la sua vita. La rinascita è inscritta nel segno del nuovo anello che ogni primavera porta con sé e che, con le sue mutazioni, racconterà il passato e lo supererà.
LOCI: Wolfgang Gruber, Herwig Pichler, Allegra Stucki, Jaco Trebo (Salisburgo, Vienna, Austria – Zurigo, Svizzera) | Head in the clouds | località Fanes
Il toponimo Fanes riporta probabilmente alla parola “fani”, di origine gotica, che nella lingua romancia della Svizzera significa ancora oggi “pantano, palude”. L’opera è una denuncia contro lo scorretto utilizzo delle risorse. L’opera crea una nuvola e gioca con la doppia lettura dell’“avere la testa tra le nuvole”. Questo modo di dire, da un lato, si riferisce alla capacità di sognare, di immaginare un mondo migliore. Dall’altro indica la sbadataggine e l’insensibilità che molte persone hanno verso le tematiche della crisi climatica e dell’utilizzo e ridistribuzione delle risorse.
megx (Margherita Burcini) (Fratte Rosa PU, Italia) | Il popolo della corteccia | località Chi Jus
Cosa accadrebbe se l’umanità riuscisse a evolversi nell’armonia e nella comprensione con la natura? Cosa accadrebbe se le leggende narrate da molte popolazioni, comprese quelle ladine, in cui si racconta di umani che possono trasformarsi in alberi, in pioggia o marmotte, fossero vere? “Il popolo della corteccia” può trasformarsi in ogni organismo del regno vegetale e ne conosce ogni potere ed emozione.
MICHELA LONGONE (Milano, Italia) | I think | località Runch – Val Valacia
Nella celebre pagina di diario in cui Charles Darwin disegnò per la prima volta l’albero della vita, il naturalista inglese appuntò: “I think”, io penso. La teoria dell’evoluzione delle specie è uno dei pilastri della biologia moderna e tolse l’umanità dal centro della natura. Nel corso dei secoli, l’uomo ha ripreso la sua centralità sul pianeta: costruendo, sfruttando, inquinando. L’incursione artistica, a un primo sguardo, sembra un prato fiorito, osservandola più da vicino, troviamo però degli intrusi. Ogni piccolo germoglio, realizzato in resina di pino naturale, contiene tracce del nostro passaggio. Dopo tutto, l’uomo è l’unico animale che inquina e distrugge il proprio habitat.
ANUAR PORTUGAL (Città del Messico, Messico) | An Ark | località: Lago di Rina
Il Lago di Rina è una zona di raccordo tra la Valle Isarco, la Val Pusteria e la Val Badia. Un luogo che rappresenta il metaforico confine tra il ladino e il tedesco. L’opera posizionata qui richiama l’arca di Noè: una barca che contiene le piante della vegetazione circostante. La natura stessa, così com’è, a indicare che il pianeta germoglierà ancora e gli esseri umani, se continueranno in questa direzione, non saranno presenti per poterlo vedere. L’arca non ha bisogno di nessun Noè. UN forte monito laddove i semi di culture e lingue differenti hanno fatto germogliare una comunità che da secoli convive e si arricchisce delle reciproche differenze.