La mia indifendibile pigrizia, il caldo torrido e la scivolosità del tema mi avevano indotto a non dire la mia sull’increscioso incendio della Venere. Visto il profluvio di autorevoli opinioni ho cambiato parere.
Va da sé, mi unisco al lacrimevole coro degli indignati permanenti del “signora mia, che orrore!”.
Curioso come nel nostro mondo totalmente desacralizzato, dove lo sberleffo sacrilego ai danni di qualsivoglia pensiero religioso, ad esclusione dell’Islam, sia normalmente accettato e persino condiviso, un sentimento devozionale riaffiori più forte che pria quando si parla di Arte, qualsiasi cosa significhi oggi questo sostantivo.
Ed è così che la Venere degli stracci, nata nei fab sixties da avanguardistici intenti iconoclasti, è diventata una sorta di Madonna Pellegrina che cambia senso e significato à la carte, a seconda dei contesti.
Quello che poteva avere un senso nei lontani anni ’60 ha perduto la carica sovversiva, posto che la rivoluzione, con il senno di poi, fosse così fab come si credeva. La Venere degli stracci o Flambée è, uso il presente perché ne esiste sicuramente un’altra pronta alla bisogna, un’opera retorica, trombona e pure brutta. Un pupazzone over size che al netto degli stracci non sfigurerebbe in un giardinetto kitsch di qualche villetta di provincia. L’Arte intimamente legata a l’air du temp e che perde di vista il trascendente è destinata a perire con esso. Gli rimane una second life, come modaiolo vintage.
Ah, dimenticavo. In un primo tempo, in un delirio sociologo, si è incolpata l’immancabile camorra, il degrado di questa società, il rogo dei libri, Heine…, per poi scoprire che l’incendio è stato appiccato da un povero disgraziato, un homeless, di quelli tanto amati – not in my garden of course – dai difensori degli umili e dell’arte engagé. Nemesi, stracci agli stracci…
Incendiari saluti
L.d.R.
