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Atlante del cinema queer contemporaneo, in libreria

Atlante del cinema queer contemporaneo L'età acerba di André Téchiné (1994)
Atlante del cinema queer contemporaneo
L’età acerba di André Téchiné (1994)

Atlante del cinema queer contemporaneo. Cos’è il cinema queer? Dove sta andando? Chi sono i suoi protagonisti? In libreria il volume curato da Andrea Inzerillo

Una ricognizione critica sull’ultimo ventennio (che poi è il primo del nuovo millennio) di cinema queer in Europa: questo il progetto di Andrea Inzerillo, direttore artistico del Sicilia Queer filmfest. Proprio dal mondo dei festival, come riflessione sul loro ruolo e sul loro posizionamento all’interno del mercato culturale cinematografico, nasce Atlante del cinema queer contemporaneo (Meltemi), volume che raccoglie otto saggi, ognuno per un Paese europeo (Portogallo, Austria, Grecia, Germania, Gran  Bretagna, Spagna, Francia e Italia), firmati da altrettanti autori. «I festival cinematografici possono essere luoghi anomali di sopensione del tempo ordinario e di consumo, e hanno la capacità di costruirsi come luoghi di approfondimento (di incontro, di conoscenza e di relazioni autentiche) che guardano ben al di là dell’evento stesso», e questo libro, come spiega Inzerillo, nasce da un impedimento (la pandemia) e da un desiderio: «offrire un contributo più lento e ragionato su una trasformazione che stiamo attraversando». Da queste premesse prende forma questa analisi sul panorama europeo del cinema queer, partendo dall’ipotesi che vede gli anni 80 e 90 come i decenni del del cinema queer nord-americano, mentre i due immediatamente successivi come quelli di un nuovo, emergente, cinema queer europeo; è una domanda quella che Inzerillo si pone, assieme ad altre emerse in anni di Sicilia Queer e che hanno coinvolto professionisti diversi tra loro, dai critici ai selezionatori, dai distributori ai produttori. Il risultato è questa mappa, questo catalogo ragionato che raccoglie nomi, titoli, temi e discorsi emersi in questi ultimi 20 anni (di cui molti film passati proprio in cartellone al Sicilia Queer), 8 storie raccontate da 8 diversi autori, con i loro rispettivi punti di vista.

In questa ricognizione, che attraversa l’Europa occidentale e le trasformazioni attraverso cui è passato il cinema contemporaneo, emergono le diverse voci nazionali, le tangenze e le divergenze di queste filmografie. Particolarmente interessante può essere il raffronto tra il saggio francese, firmato da Didier Roth-Bettoni, giornalista e storico del cinema francese, e quello italiano, di Pier Maria Bocchi, critico cinematografico e firma di riviste come Cineforum e FilmTV.

Atlante del cinema queer contemporaneo
Les Garçons sauvages di Bertrand Mandico (2018)

Per il panorama francese si inizia facendo un distinguo tra cinema gay, legato a autori e protagonisti prettamente maschili e omosessuali (con personalità afferenti anche al mondo delle avanguardie), e cinema queer, con uno sguardo più ampio e impegnato nell’indagine di realtà e identità legate all’intersezionalità: non solo marginali, ma fluide e interconnesse tra loro – identità transessuali, straniere, socialmente subalterne. A fare da spartiacque per Roth-Bettoni, nel suo intervento “Cinema gay o cinema queer?”, c’è L’età acerba di André Téchiné (1994), un «film così personale e intimo, così fragile in molti dei suoi aspetti e il suo successo inatteso di pubblico e critica segnano un punto di svolta nel modo in cui il cinema francese aveva fino ad allora affrontato l’omosessualità. Meno militante di Race d’Ep di Lionel Soukaz (1979), meno scuro di L’uomo ferito (Patrice Chéreau, 1983), meno tragico de Le notti selvagge (Cyril Collard, 1992)». Il film di Téchiné, e dei giovani registi che arriveranno con e dopo di lui, non causano scandali, non suscitano scalpore: raccolgono consensi, partecipano a un processo di normalizzazione. Proprio in questo film debuttano anche due protagonisti del cinema LGBTQ+  che verrà negli anni seguenti: Gaël Morel (A tutta velocità, Le clan) e Jacque Nolot (La chatte à deux têtes, Avant que j’oublie). Nel 2016 Téchiné dirige una sorta di versione aggiornata di L’età acerba, Quando hai 17 anni, scritto assieme a Céline Sciamma, un’altra delle protagoniste emblematiche del cinema queer francese contemporaneo (Ritratto della giovane in fiamme, Tomboy). Tra i nomi emersi in questo arco di anni c’è anche François Ozon, artefice di un cinema popolare, che non sempre sbanca i botteghini, ma che riesce a navigare con costanza e dignità gli incassi e che «non smette di sterzare verso direzioni lontane delle norme lasciando entrare nei suoi film, nei modi più inattesi, la sua messa in questione dei generi e dell’eteronormatività».

La trasformazione, che viene sottolineata, coinvolge l’attenzione degli autori che si concentra non più sull’identità “gay”, ma sulle identità “eccentriche”, in mutamento. A mettere in scena queste storie ci sono registi come Christophe Honoré (Homme au bain, Métamorphoses), Bertrand Mandico (Les Garçons sauvages, After Blue), Sébastien Lifshitz (Wild Side, Les invisibles), Yann Gonzalez (Les rencontres d’après minuit, Un couteau dans le cœur) e Alain Guiraudie (Lo sconosciuto del lago, L’innamorato, l’arabo e la passeggiatrice): con loro le identità diventano mobili, le alterità si intersecano, le storie non sono più cronache, ma contemporaneamente riflessi del passato, del presente e del futuro. Il cinema queer francese è un cinema che apre a nuove possibilità: «che si confonda con il cinema gay o che e ne liberi, il cinema queer francese è una realtà appassionante e complessa, che attraversa tutti i ivelli della produione e a cui si aaffiancano o fanno eco opere e autori che sembrano apparentemente non averci nulla a cher fare. È questa estrema varietà che determina a ricchezza del queer a la francause e e rende quasi indescrivibile», conclude il critico francese.

Atlante del cinema queer contemporaneo
La bocca del lupo di Pietro Marcello (2009)

Altrettanto indescrivibile sembra essere anche l’orizzonte cinema queer italiano, non per ricchezza però ma, al contrario, come mesto contraltare, per povertà, per carenza. «Queer culture e politica sembrano recuperare preoccupazioni di trenta, quaranta, cinquant’anni fa, legittimità e parità, genere o onore», sottolinea Bocchi in apertura del suo saggio “Alla ricerca del cinema queer italiano”; ne consegue quindi un cinema queer «che crede ancora nelle favole», che usa le immagini come illustrazioni e non come armi, che si limita a rappresentare e non a proporre, che fissa e non sposta, che perde l’occasione di essere eccentrico, risultando quindi sempre più conforme (ovvero, non queer). Come scrive Jude Ellison Sady Doyle a proposito di tutt’altro «un mostro è un corpo che avrebbe dovuto essere sottomesso, ma che è diventato una smisurata minaccia», il cinema queer dovrebbe quindi essere, in questa accezione, mostruoso, quello italiano si limita invece a essere sognante. «In Italia, insomma, il cinema queer lo si vuole ancora una volta specchio di una realtà problematica, e non strumento con il quale intervenire sul cinema stesso», ci ritroviamo quindi con un immaginario sterile, un sistema compresso dalle ingerenze dei canali ufficiali, con prodotti cinematografici sempre più indistinguibili da quelli televisivi, con target che si sovrappongono in forma innaturale. Drammatica la situazione lato commedia, comica la situazione lato dramma. Gli autori che emergono sono pochi: ovviamente Ferzan Özpetek (Le fate ignoranti, Mine vaganti) «seguito fedelmente dai gay ma apprezzato particolarmente dagli etero» (e qualcosa vorrà pur dire), Luca Guadagnino (Io sono l’amore, Chiamami col tuo nome), che gioca però un campionato a parte di immagini consapevolmente votate alla nostalgia.

In Italia, spiega Bocchi, il tema si impone sulla forza delle immagine, che restano schiacciate dagli intenti, dalla voglia di adesione; faceva ben sperare La Bocca del Lupo, di Pietro Marcello, vincitore al Torino Film Festival nel 2009, per l’uso lucido e nuovo delle immagini, stavolta a discapito (in positivo) di temi e resoconti. Ma resta un caso più unico che raro. Quello che ne emerge – purtroppo per noi – è un panorama senza autori, senza sguardi nuovi, senza idee, senza fantasia. Non aiuta l’infrastruttura statale, che sostiene e foraggia solo il cinema delle Pro loco, non aiutano i Festival, distratti dall’impegno in partite internazionali, politiche e autoriali, non aiuta il pubblico, disabituato alla sorpresa.

Così, da questi ritratti raccolti in Atlante del cinema queer contemporaneo, si configura un itinerario prezioso che permette di capire con più chiarezza cosa è successo nel cinema queer (o in quello che dovrebbe essere tale, individuato come tale nel suo divenire nel corso degli anni) nell’alba del nuovo secolo, di come l’industria ha saputo intercettare (o no) le interferenze, le urgenze e gli scossoni della nostra storia sociale, sessuale e culturale. Il raffronto tra le cinematografie delle diverse nazioni diventa così uno spunto – ma anche un percorso, in parte tracciato e in parte suggerito – per riflettere sull’immediato futuro, che appare molto incerto (soprattutto nel caso nostrano), ma in cui non mancano voci (siano esse deputate alla messa in scena che, piuttosto, alla lettura dei fenomeni). La vera sfida per gli per i registi queer (che vogliano esserlo per definizione o che lo siano per aspirazione) non sarà quella di intercettare la contemporaneità, tanto meno quella di diventare “al passo con i tempi”, l’obiettivo più ambizioso – ma anche più ontologicamente legato alla natura del cinema stesso – è quello di proiettare un nuovo futuro, prossimo e venturo, modellato su nuove immagini, su identità sempre più inafferrabili, incomprensibili, oltraggiose, perché il potere del cinema è questo: spostare il centro.

Atlante del cinema queer contemporaneo

 

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