La grande mostra della National Gallery di Londra focalizza il ruolo nodale avuto dall’Impressionismo per gli sviluppi delle avanguardie del novecento
La prima mostra dei pittori impressionisti si tenne nel 1874 nello studio del fotografo Nadar, a Parigi. Vi partecipavano una trentina di artisti con oltre sessanta opere fra dipinti, acquarelli, pastelli e disegni. Fra i nomi presenti quelli di Monet, Renoir, Cézanne, Degas, Sisley, Pissarro, Berthe Morisot. Non c’era Edouard Manet, che non partecipò mai alle esposizioni di gruppo dell’Impressionismo, pur aderendovi convintamente. Era infatti convinto che la loro battaglia per il rinnovamento dell’arte si dovesse combattere soltanto nell’ambito di istituzioni ufficiali.
Nei dodici anni che videro il gruppo impressionista attivo come nucleo propulsivo di una nuova direzione per le arti visive, le mostre da questo organizzate – con crescente ostilità dei conservatori – furono otto. L’ultima si tenne dunque nel 1886, sempre a Parigi, in rue Lafitte. Vi partecipavano alcuni dei fondatori, come Degas e Pissarro, con altri artisti avvicinatisi negli anni al gruppo, da Seurat a Gauguin, a Signac. 1886: è da questa data che prende il via l’approccio della grande mostra After Impressionism: Inventing Modern Art, allestita fino al 13 agosto alla National Gallery di Londra.
Fondamentali innovazioni
Inventare l’arte moderna. Uno statement forte, persino coraggioso. Visto che l’Impressionismo, se gode di immutabile popolarità presso il grande pubblico, spesso non trova pari apprezzamento dalla critica contemporanea. Che con grande miopia ne addita una supposta naïveté, trascurando il contesto nel quale maturarono le fondamentali innovazioni proposte dal movimento. Che sul finire dell’Ottocento avvertì l’esigenza di svecchiare i canoni “ufficiali”, ben sapendo che avrebbe incontrato la resistenza che infatti per anni lo tenne ai margini del milieu culturale.
Ora molti sembrano dare per acquisiti progressi che invece vanno accreditati proprio a quel gruppo che scelse di sacrificarsi per il progresso delle arti. Giovani artisti che si vedevano sbarrato l’accesso ai Salon, in quel momento canale fondamentale per sperare nella visibilità e anche nelle vendite. A loro si deve il superamento di tanti “ismi” che frenavano lo sbocciare di idee nuove, sempre con Parigi come scenario naturale. Uno scenario dove imperavano tardo Romanticismo, Pompierismo, Realismo variamente declinato. E pure un Simbolismo che tardava a sintetizzare le proprie forme (come avrebbe fatto invece in area austro-tedesca), rischiando di scivolare in un troppo autoreferenziale grafismo.
Libertà espressiva
Se quindi l’Impressionismo diventa nodale nel superamento di stilemi ormai antiquati, si pone anche come movimento germinale per tante avanguardie che tali stilemi si apprestavano a rivoluzionare. Ed il pregio della mostra londinese è proprio quello di rimarcare questi profondi e virtuosi legami. Gli impressionisti – ed i più ortodossi dei post-impressionisti – introdussero un modo nuovo di vedere e rappresentare il mondo, aprendo la strada a una decisa libertà espressiva. Trascurando l’aderenza dell’opera alla realtà, in favore di un ruolo centrale della luce e dei colori. È evidente quanto questo troverà poi riscontro in molti dei nascenti gruppi d’avanguardia.
Come poteva nascere il Cubismo, senza la scomposizione dei piani attuata da Cézanne? O l’Astrattismo, se non fosse stato anticipato dalla sintesi proposta da Monet? Quanto il Divisionismo deve ad artisti come Seurat e Signac? E come dimenticare l’influenza avuta sui Fauves da pittori come Gauguin e lo stesso Cézanne? “Sulla scia delle innovazioni dell’Impressionismo è apparsa una miriade di artisti con una prospettiva più radicale che ha ridisegnato il paesaggio estetico in Europa attorno al 1900”, ha puntualizzato il direttore della National Gallery Gabriele Finaldi, che trovate anche nella nostra intervista video. “La mostra esplora in modo ampio questa straordinaria generazione attraverso una superba selezione di opere d’arte prestate da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, molte delle quali visitano il Regno Unito per la prima volta“.
Gettare le basi
E sono un centinaio le opere con cui la mostra, curata da MaryAnne Stevens e Christopher Riopelle, tratteggia gli sfumati ma cruciali passaggi. Con una strutturata scansione delle diverse sezioni, che da Parigi ampliano lo sguardo agli altri centri più vitali, Barcellona, Berlino, Bruxelles, Vienna. “Cerchiamo di esplorare le complessità di un periodo artistico che può rivendicare di aver rotto i legami con la tradizione e gettato le basi per l’arte del XX e XXI secolo”, sottolinea Stevens. Tanti gli esempi – vedere il nostro video – di giustapposizioni che rimarcano i passaggi generazionali. The Talisman, di Paul Sérusier, reclama la sua primogenitura su temperie che dall’Astrattismo passeranno fin all’Informale. L’Estaque, di André Derain, sembra uno specchio di tanti Kandinsky.
Nota a margine: spiace constatare l’assenza di un artista come Gustave Caillebotte. Certo, le date lo portano un po’ fuori dall’approccio scelto, essendo morto nel 1894. Eppure avrebbe meritato menzione il ruolo centrale che egli ebbe non solo come pittore, ma come mecenate e strenuo difensore dei dettami impressionisti. Erede di un’agiatissima famiglia altoborghese, li sposò nella sua attività pittorica, come noto. Ma li sostenne economicamente arrivando ad accumulare una collezione con pochi eguali al mondo. Possedeva fra l’altro cinque Cézanne, quattordici Monet, dieci Renoir, sette Degas, e ben diciannove Pissarro. E nel suo testamento lasciò tutti allo stato francese, pretendendo però che le opere fossero esposte al Louvre. Visibili da tutti…