Incanti meravigliosi, e lattiginosi. Tra i risultati d’asta incredibili realizzati in questa prima parte dell’anno, si segnala quello di un vaso coreano Moon Jar in porcellana bianca venduto per $ 4.560.000, che ha stabilito il nuovo record per un esempio di questa categoria di ceramica coreana. È stato venduto lo scorso 21 marzo durante l’asta “Japanese and Korean Art” di Christie’s e si tratta di un raffinato esempio di vaso lunare del XVIII secolo, oggetti estremamente rari che sporadicamente passano sul mercato
I Moon Jar sono stati chiamati così per via del loro aspetto, caratterizzato da una forma rotonda e una superficie bianca lucente, che richiama quello della luna piena.
Da Christie’s, nella scheda di approfondimento del lotto, viene descritto con un oggetto in grado di trasmettere la storia dell’identità coreana. Durante i cinque secoli della dinastia Joseon (1392-1897), quando l’esempio in asta è stato realizzato, la Corea ha seguito il sistema di credenze neoconfuciane. La semplice porcellana bianca dominava la produzione ceramica della regione, ma nel XVIII secolo – quando l’élite del Paese stava coltivando una nuova identità distintamente coreana – queste ceramiche cominciarono ad assumere l’importanza che hanno oggi, in quanto rappresentavano proprio questa identità confuciana, soprattutto quando assumevano la forma del vaso di luna (dal-hang-ari).
La popolarità dei “moon jar” è cresciuta per diversi motivi, ma gran parte della loro importanza derivava dal fatto che incarnavano gli ideali confuciani fondamentali. La loro superficie bianca e anonima trasmetteva un senso di purezza, mentre la decisione di non decorarle dimostrava la moderazione dell’artista, che non voleva riempire la superficie di immagini. Per questo motivo, avevano il duplice scopo di essere un oggetto cerimoniale e utilitario.
Il loro luminoso colore bianco deriva dall’uso di un’argilla caolinica bianca particolarmente raffinata con poco o nessun ossido di ferro, denominata baekja. Anche un po’ di ferro, come dimostrato in stili come la porcellana celadon della dinastia Goryeo (918-1392), produce una tinta blu o verde. Il caolino utilizzato nei Moon Jar, tuttavia, richiede una temperatura di cottura molto più elevata, pari ad almeno 1300°C.
A causa della quantità di calore richiesta, i forni dovevano spostarsi ogni dieci anni circa, per via dell’esaurimento delle riserve locali di legna da ardere.
I complessi ceramici in cui venivano prodotti erano un’impresa industriale, spesso con più di 100 forni in funzione alla volta. I vasai formavano ogni metà della giara su grandi ruote, costruendo le pareti a mano e usando i piedi per muovere le ruote. Le giare più antiche hanno un’apertura compressa e più arrotondata nella parte superiore, mentre quelle più recenti hanno un’imboccatura più dritta e più alta.
Essendo un processo in due parti, queste metà venivano accuratamente unite al centro e poi lasciate asciugare, spesso sottoposte a un riscaldamento iniziale a una temperatura più bassa prima di essere smaltate e cotte completamente.
Parte del fascino della loro forma derivava da questo processo interamente manuale, che di solito portava a leggere deviazioni da una forma perfettamente circolare. Ma i cambiamenti imprevedibili prodotti dalla cottura – come le macchie gialle o rosate sulla superficie a seconda del flusso d’aria, delle impurità nello smalto o delle leggere differenze di temperatura – completavano la loro attraente asimmetria strutturale. La parola coreana yobyeon, che significa “cambiamento nel forno”, evoca l’imprevedibilità dell’interazione tra elementi come la terra e il fuoco, soprattutto in questi forni densamente affollati.
È stato solo nel XX secolo, quando studiosi e collezionisti giapponesi hanno iniziato ad apprezzarne la bellezza al di là della loro utilità, che i Moon Jar sono diventati pezzi d’arte molto ricercati. Essendo stati originariamente realizzati per essere tanto utili quanto decorativi, questi vasi assunsero un nuovo valore, che aumentò solo quando il mercato dell’arte si rese conto della loro rarità.
Con questa maggiore attenzione, anche gli artisti contemporanei iniziarono a trarne ispirazione, come Kim Whanki (1913-1974), che spesso li ritraeva o vi alludeva nei suoi dipinti. Kim è anche l’artista a cui si deve il nome di “vasi di luna”, un termine usato per esaltare la bellezza sfuggente di questa forma di ceramica che ricorda la forma della luna nel cielo notturno. Prima di allora erano conosciute semplicemente come baekja daeho, “grandi giare bianche”.
«Senza dubbio i Moon Jar più ricercati dai collezionisti sono quelli del periodo Joseon, perché ci sono solo 30 opere esistenti al mondo – assicurano nella scheda critica di Christie’s -In quanto simboli dell’identità coreana, i vasi lunari incarnano più della semplice pratica spirituale di un periodo storico. Il loro colore parla dell’importanza del bianco nel corso della storia della Corea e le imperfezioni risultanti dalla loro produzione, riflettono i sottili cambiamenti tra gli oggetti trovati in natura. Questo, a sua volta, li fa sembrare più simili alla luna in continua evoluzione di quanto farebbe mai un cerchio perfetto. Aumentano e diminuiscono, e osservandoli potremmo benissimo non vedere mai la stessa forma due volte».