Paolo Pellegrin, reporter di guerra e artista, è il protagonista dell’esposizione L’orizzonte degli eventi, organizzata da Le Stanze della Fotografia di Venezia dal 30 agosto 2023 al 7 gennaio 2024.
Una mostra fuori dalla retorica, che rimane sul tema senza deviare, senza guardare ad altro o ripetere se stessa, capace di essere dinamica e varia, in grado di mutare forma, senza stridere, da espressioni creative purissime a un’arte documentaristica e brutale. Questo e altro è L’orizzonte degli eventi, esposizione che Le Stanze della Fotografia dedica a Paolo Pellegrin (Roma, 1964), uno dei più importanti fotografi internazionali. Autore che, prima di essere artista è un uomo di campo, con i servizi realizzati nelle zone di drammatici conflitti, come in Iraq e a Gaza, a quelli dedicati alle tragedie ambientali, come lo tsunami in Giappone e gli incendi in Australia, fino alle fotografie che immortalano i cambiamenti climatici in corso. Di questi scatti (più una sezione dedicata al ritiro in Svizzera, dove l’artista risiede, durante il periodo del Covid-19) si compone la mostra, alternandoli in un continuum che non crea contrasti. Uniformità bianco e nera che non viene scalfita nemmeno dal cambio di formato o supporti, che al contrario consente ad ogni nucleo tematico di sviluppare una profondità propria pur rimanendo coerente nel contesto.
300 le opere che parlano all’osservatore in maniera schietta e brutale, ma con stile raffinato e persuasivo. Una manovra non certo ingannevole, ma piuttosto abile a creare le condizioni ideali per attivare un processo di scambio emotivo tra il soggetto e chi guarda. D’altra parte, dice Pellegrin, si tratta spesso di “momenti di sofferenza estrema, di ingiustizia patita, che non possono andare perduti per sempre“. Per questo devono essere salvati, trasportati nelle dimensione fotografica così da salvaguardarne la sacralità. Ad avvicinare ulteriormente questo dolore lontano è l’assenza-presenza di Pellegrin, che dietro l’obiettivo si rende prossimo a contesti drammatici, a volte infernali, e ne diventa testimone, artefice della loro sopravvivenza oltre l’inevitabile transitorietà della loro natura.
Questo sentimento, per noi solo immaginabile, è ben esemplificato da Annalisa D’Angelo, che con Denis Curti ha curato la mostra e nel suo testo critico, rivelando anche il senso del titolo, scrive: «L’orizzonte degli eventi, nella fisica, è la zona teorica che circonda un buco nero, un confine oltre il quale anche la luce perde la sua capacità di fuga: una volta attraversato, un corpo non può più andarsene, se oltrepassa quel limite scompare del tutto dalla nostra vista. Nella sua lunga carriera di fotografo, Pellegrin tenta più volte di oltrepassare l’orizzonte, di entrare nel buco nero della storia, provando a superare gli ostacoli. E il suo mezzo per oltrepassare l’orizzonte e uscire idealmente dal buco nero è la fotografia, intesa come tramite, come un ponte ideale in un rapporto in cui lo spettatore gioca un ruolo fondamentale».
Ad assorbire tali suggestioni e a restituirle visivamente è, e non poteva essere altrimenti, l’immagine che apre la mostra: Angelina gioca a casa di sua nonna Sevia. Angelina è una bambina di etnia rom con cui Pellegrin entra in contatto a Roma, qui fotografata di spalle mentre entra in una porta che pare condurre al nulla. Non sappiamo cosa ci sia realmente dopo di essa, all’interno della casa; come non sappiamo quali storie, quali dolori si celano nella vita di ognuno. L’unico ad approssimarsi, in questo caso, è il fotografo. Ecco altri casi in cui Pellegrin ha compiuto questo stesso liminare gesto.