Print Friendly and PDF

Il Sole allo Zenit #12: Domandare è lecito

Pino Pascali, 32 mq di mare circa, 1967, vasche di alluminio zincato e acqua colorata all’anilina, cm. 113 x 113 ciascuna
Domandare è lecito, e già come inizio non è poco. Anni fa lessi che nei colloqui di assunzione delle aziende americane oltre alle solite domande tipo “perché vorresti lavorare qui”, “cosa sai sulla nostra azienda” e “perché dovremmo assumere la tua figura” era molto frequente chiedere quale fosse il personaggio preferito della serie Games of Thrones. La questione mi colpì a tal punto che per dare una ventata d’attualità in galleria, agli aspiranti collaboratori decidemmo di porre la stessa domanda, pur non avendo mai visto nessun episodio della saga. Rimasi sorpreso dalla quantità di persone che conoscevano la serie e ricordo di aver provato anch’io ad approfondire quei fantastici personaggi, senza troppo appassionarmici.

Per quanto mi riguarda, iniziare da una domanda per conoscere la storia è sempre stato un fruttuoso punto di partenza. Non ricordo da cosa scaturì questa tendenza ma due episodi devono senz’altro averla favorita: quel professore all’università che mi chiedeva di ripercorrere l’alfabeto associando ciascuna lettera al nome di un artista nella categoria scelta. Ad esempio: artisti italiani del ‘900, a partire dalla prima lettera: Anselmo, Boetti, Calzolari, Dorazio e via fino alle “h” e le “w” difficili, che al tempo mi davano tantissimi grattacapi. E quella mitica scena di Woody Allen sdraiato sul divano di Manhattan che cerca qualche idea per un racconto sui Newyorkesi, contornati da problemi inutili e nevrotici, e che dirotta la questione su una domanda cruciale: “perché vale la pena di vivere?”. La sua risposta era un meraviglioso elenco che comprendeva il vecchio Groucho Marx, Joe DiMaggio, il secondo movimento della sinfonia Jupiter, l’incisione di Potato Head Blues di Louis Armstrong, i film svedesi, L’Educazione sentimentale di Flaubert, Marlon Brando, Frank Sinatra, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracy e quelle incredibili mele e pere dipinte da Cézanne.

Giacomo Balla, Poinsezie ardenti, 1952, olio su compensato, 85,5×65,5 cm

Ecco appunto. Restando in ambito, dovessi scegliere le mie tre nature morte preferite mi verrebbe da citare l’ovvia Canestra nell’Ambrosiana del Caravaggio e certi fiori dell’ultimo Balla che, nell’uscire dall’avanguardia e nel ritorno all’ordine, si riscopre maestro del colore. E tra i vari still life di suo pugno mi ricordo con piacere le Poinsezie ardenti che dominano la tela con il loro splendido rosso e il verde delle foglie che riprende il tono della ciotola posta sui fogli da lettera. E pensare che quelle poinsezie uscirono dalla casa di via Oslavia 39b per essere regalate al medico di fiducia che dell’anziano Balla si prendeva cura. Ma quale altra natura morta devo aggiungere per arrivare al terzo nome richiesto dall’elenco? Probabilmente una tra quelle di Jean-Baptiste-Siméon Chardin, considerato il re del genere. E quale fra le mille? Forse quella con pipa e tanto altro che si vede al Louvre. Con i colori chiari di tazza, brocca e coperchi, e quelli bruni della scatola e della pipa messa in diagonale. E «chi ha mai detto che si dipinge con i colori? I colori vengono sì impiegati, ma per dipingere ci vogliono i sentimenti» diceva proprio Jean Siméon, parlando della sua arte. Mentre dell’opera in questione, Diderot scrisse: “è difficile comprendere questa storia di magia. Spessi strati di colore sembrano gli uni sugli altri trasudare (…) avvicinatevi e tutto si confonde, allontanatevi e tutto si ricostruisce”.

Jean-Baptiste-Siméon Chardin, Natura morta con pipa, 1737 circa, olio su tela, 32,5 x 42 cm

Ma proseguiamo devoti verso la strada intrapresa per una nuova domanda fatidica. Quali sono i tre migliori monaci pittori? Beato Angelico, Lorenzo Monaco e quel genio sfuggente, pittore di icone, a cui fu consacrato un film capolavoro di un maestro indiscusso che è poi Andrej Rubljov. E tra i cenacoli fiorentini, il terzetto preferito? Quello del Pietro Perugino a Sant’Onofrio di Foligno, quello di Andrea del Sarto a San Salvi e l’Ultima cena del Ghirlandaio a Ognissanti. E per fortuna esiste lo splendido libro di Luisa Vertova che ci rinfresca la memoria.

Nicola De Stael, The Seine at Ivry, 1952, olio su tavola

I paesaggi più incantevoli? Quelli di Nicolas de Staël, in certi tardi piccoli scorci, malinconici e segreti, come la Senna a Ivry, un Giardino di campagna con girasoli di Gustav Klimt e i magnifici paesaggi ideali di Claude Lorrain che “rappresentò in modo meraviglioso i raggi del sole all’alba e al tramonto sulla campagna”, come recita l’epitaffio sulla sua tomba. Ma più divertente ancora è complicare le questioni aggiungendo dettagli più specifici. Ad esempio: quali sarebbero le tre opere scelte che giacciono a pavimento?

I 32 mq di mare circa di quel genio precoce di Pino Pascali che racchiude acqua colorata con blu di metilene in vasche quadrate di alluminio zincato; i pavimenti di Carl Andre che sono a tutti gli effetti sculture calpestabili, e una delle opere più poetiche e dolci che la storia recente ci riporta, ovvero le caramelle di Felix Gonzales-Torres, che si possono persino raccogliere e mangiare con gioia.

Edvard Munch, Hand, 1878, disegno su carta

E ancora: Le “mani giovanili” meglio eseguite? Quelle note del Parmigianino nell’autoritratto, quelle disegnate su carta da Edvard Munch nel 1878 e, se si è considerati giovani anche a 25, mettiamoci quegli studi conservati nel Cabinet des dessins per le mani di Erasmo da Rotterdam scrivente che Holbein il giovane si è impegnato poi a dipingere. Tre ritratti misteriosi? Quello di Louis Pascal realizzato da Toulouse-Lautrec che dal 1893 guarda con un fare da divo qualcosa che non decifro. Con il bastone da passeggio sorretto tra il pollice e il braccio, con il sigaro in bocca sotto il baffo arricciato, il guanto in tasca e quel cilindro alto colpito da una luce zigzagata che illumina la scena.

Toulouse-Lautrec, Ritratto di Louis Pacal, 1893, olio su carta, 77×53 cm

Ma senz’altro sul podio ci mettiamo anche Lorenzo Lotto con il suo Ritratto d’uomo visto per tre lati che suscita molti interrogativi. Non si sa del resto chi sia il soggetto nonostante la forma del viso venga rivelata meglio che in qualunque altro dipinto, poiché l’uomo è visto di profilo, frontale e di tre quarti ruotato, come in uno scatto segnaletico. Dalla scatola che regge in mano pare essere un orafo e proprio dal libro spese del pittore un orafo trevigiano di nome Bartolomeo Carpan viene elencato, dando vita a quella possibile trama che svela un gioco di parole che collega i “tre visi” con il nome della sua città d’origine: Treviso, non a caso. Infine un ultimo irrisolto magico ritratto potrebbe essere il Gentiluomo con Tricorno di Fra Galgario, indeciso tra orgoglio e indifferenza, noia e desiderio, e chi può mai saperlo. Ma con question ponendo sfinirei un reggimento e quindi taglio corto, senza farvi venir voglia di mettere la testa nel forno. Che ci eravamo già convinti al ciao, come come disse Dorothy a Jerry McGuire.

Nicola Mafessoni è gallerista (Loom Gallery, Milano) e amante di libri (ben scritti). Convinto che l’arte sia sempre concettuale, tira le fila del suo studiare. E scrive per ricordarle. IG: nicolamafessoni

Commenta con Facebook