Un viaggio nella pittura dell’artista protagonista di un’antologica visibile fino al 1 ottobre a Ferrara a Palazzo dei Diamanti. Titolo: Thesauros…
È da ormai qualche decennio che capita di ascoltare gli immotivati lai sulla trista sorte della pittura in Italia. A memoria, e del tutto empiricamente, potrei farli originare dalla (bellissima) mostra “Apocalittici e integrati”, allestita nel 2007 al Maxxi “prima versione”. Nella quale Paolo Colombo – uno dei migliori critici italiani, non per caso “emigrato” (per non dire fuggito) in Turchia – fotografava una generazione di giovani artisti italiani tendenzialmente allineati ad un post/concettual/minimalismo di matrice anglosassone assai lontano dalla – pur fumosa – identità italiana. E per questo debole, perché privo di fibra nelle basi.
Più o meno da quegli anni partì la “crociata” per salvare la pittura. Che come ogni mozione generata da una forzatura teoretica, condusse a risultati forse ancor peggiori del “male” che si intendeva scongiurare. Ostinato – ma orgoglioso – boomer nell’arte attuale, ne ho osservato il periodico fluire che credeva di rispondere alla crescente domanda dei tanti che attendevano quindi che la pittura “battesse un colpo”. Ci fu un velleitario periodo di “pittori delle periferie urbane”, ci fu – c’è ancora, con esiti in qualche caso ottimi – un periodo dei variamente declinati post-surrealisti. C’è un irrefrenabile dilagare di street artists alquanto grossier negli esiti.
Pontifex
Ma i pittori capaci di dire qualcosa di profondo e duraturo non accettano di ascriversi a queste categorie. Fra questi c’è di certo Agostino Arrivabene, ora protagonista dell’antologica intitolata Thesauros visibile a Ferrara a Palazzo dei Diamanti. Per certi versi, anzi, egli ne è il campione, stante l’aureo isolamento – mentale, più che fisico – da egli scelto rispetto a uno status quo che muta troppo velocemente in risposta a sollecitazioni che lui non ascolta. Un isolamento che risponde di certo ad una necessità di fedeltà assoluta ai propri principi ispiratori, alla sua inscalfibile visione del mondo nella consapevolezza storica. Ma che diventa anche un’inopinata petitio principii rispetto proprio alla “società pittorica”: io sono questo, ho questa “missione”, la devo e la voglio compiere.
E qual è la “missione” di Arrivabene? Farsi “Pontifex”, rivela nell’intervista che trovate in questa pagina. Farsi Pontefice, creare ponti, portare la storia dell’arte nell’attualità della creazione contemporanea, ma senza emulare i grandi artisti. Indifferente alle istanze comunicative, come al predominio del mercato, studia i Maestri del passato per metabolizzarne la lezione. Van Eyck, Leonardo, Michelangelo, Dürer, Rembrandt. Ne riconosce la grandezza, ne eredita i modi. A cominciare dalle tecniche: l’imprimitura delle tele, la preparazione dei colori con preziosi pigmenti, la scelta dei pennelli giusti.
Asincronia
Cose “vecchie”? Qualcuno prova una sensazione di retroguardia davanti a questi dipinti? Significa che Arrivabene ha raggiunto il suo climax. “L’avanguardia tende ad essere nella dimensione del voler fare il nuovo a tutti i costi”, dice ancora nella nostra intervista. Lui invece vuole la Storia dell’Arte nella sua opera. Citazionismo? Non ci sarebbe errore più grave: egli non cita, mai. Semmai evoca. E guai anche a tirare in ballo l’Anacronismo: la vera arte non è né può mai essere lontana dal tempo che la vede nascere. Semmai Agostino è asincrono, che è cosa diversa: felicemente asincrono, direi, distante dal relativismo che pervade tanta pittura attuale.
Sì, carica le sue complesse partiture di profondi significati, di richiami mitologici, di complessi simbolismi che costruiscono diversi e crescenti livelli di lettura. Come tanta arte antica faceva, da Piero della Francesca in avanti. Ma le sue opere reclamano un altro livello di percezione. Formalmente – è innegabile – c’è una tensione al bello: ma sarebbe esercizio sterile pensare ad un nuovo Neoclassicismo, o ad un tormentato Romanticismo: qui la Bellezza è una conquista. Arrivabene conosce bene anche il Brutto, conosce Bosch, conosce Bacon, gli artisti che rompono il reale. Ma lui lo recupera, sublimandolo nel suo territorio di nessuno abitato da aridissime rocce (molto “ferraresi”, peraltro), da rigogliose ma importune erbe, da voluttuose ma tristissime Dee.
Ti fermi, guardi con cura, ti interroghi, prosegui, poi torni a cercare un senso. Il risultato ora è perfetto: nell’era del consumo veloce, Arrivabene cerca – e ci riesce! – di farci rallentare. Ci dice che ci sono cose nella vita che non sempre sono quello che sembrano. Che i tesori (Thesauros) non sempre assomigliano ai Diamanti (come quelli del Palazzo che avete attorno). E che da ragazzi è necessario leggere Lewis Carroll…