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The collectors. Incontro con Patrizia Sandretto Re Rebaudengo

Patrizia Sandretto Re Rebaudengo
Si conclude in bellezza, con l’intervista a Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, il mio primo round di interviste a collezionisti di arte contemporanea per Artslife. Naturalmente la protagonista di questa intervista non ha bisogno di presentazioni e, leggendo questa intervista, il profilo si delinea ancora più chiaro. Quello che segue è un dialogo intenso, fatto di risposte accurate e notizie interessanti, in cui soprattutto emergono aspetti profondi dell’arte del collezionare.

Come nasce la sua passione per l’arte? C’è stato un incontro con un’opera particolare che lei ricorda?
Mi sono avvicinata all’arte contemporanea a Londra nel 1992, nella stagione degli Young British Artists, la nuova generazione che si affacciava allora sulla scena artistica. Incontrare un’artista come Rachel Whiteread, conversare con lei, in mezzo alle opere, mi ha fatto capire la straordinaria possibilità che l’arte contemporanea ci offre: conoscere il mondo e le sue complessità attraverso la visione di creativi che vivono il nostro stesso tempo. Ho scoperto l’arte contemporanea attraverso l’esperienza e la visione di una cara amica più grande di me: Rosangela Cochrane. Rosangela ed io siamo andate a Londra insieme e mi ha portato alla Lisson Gallery, da Nicholas Logsdail. Con Nicholas abbiamo visitato gli studi di alcuni dei suoi artisti. La mia prima studio visit fu da Anish Kapoor. Mi ricordo tutto di quel giorno: il cielo grigio, la giornata piovosa di maggio, l’ora in auto per arrivare allo studio di Kapoor e finalmente l’ingresso in un luogo sorprendente, incredibile. Nel loft immenso, mi apparve una moltitudine di opere disposte a terra: un’infilata di tante piccole sculture ricoperte da pigmenti blu, rossi, gialli. I colori primari davano alle loro forme un effetto vellutato e profondo. È stata un’emozione indimenticabile. Le sculture facevano parte del ciclo 1000 Names e le ho ancora impresse negli occhi. Poi Anish ha iniziato a raccontarle e mentre parlava, sembrava quasi che levitasse. La sua energia era forte, palpabile. Lo studio di Kapoor è stata una rivelazione. I colori e le forme delle sue opere sembrano passaggi che danno accesso a un altro mondo: un tondo nero è come una voragine. In quel preciso momento ho deciso di diventare collezionista. Così è iniziata la mia settimana di incontri con gli artisti a Londra e la mia vita dedicata all’arte. Ho deciso di collezionare opere di arte contemporanea perché sono nostre coetanee, sono state concepite da artisti e artiste che vivono il nostro stesso tempo. Parlano di noi e del nostro stare al mondo. Senza dubbio non lo fanno in modo semplice, non usano le formule dirette della pubblicità e del marketing, non fanno parte della categoria dell’intrattenimento e hanno una profondità spesso nascosta sotto la superficie. La maggior parte delle opere contemporanee richiede tempo per essere comprese, non sono immediate. La mia definizione di arte contemporanea ha quindi a che fare con due qualità che considero molto preziose: la profondità e la lentezza. L’arte ci chiede tempo e attenzione.

Anish Kapoor, 1000 Names, polistirolo, cemento, terra e pigmento, 35 x 30 x 48 cm, 1983

E la passione per il collezionare?
Credo che collezionare faccia parte del mio DNA. L’arte è stata parte della mia vita fin da quando ero bambina. Sono cresciuta in mezzo a dipinti e oggetti di arte antica. Mia mamma amava collezionare porcellane di Sèvres e Meissen e già da bambina io collezionavo piccole scatoline portapillole, tutte catalogate e numerate in un quadernino. Fin dall’inizio della mia esperienza di collezionista, ho capito che l’arte contemporanea non si limita a una funzione formale, estetica, legata alla bellezza, ma svolge anche un ruolo culturale, sociale, critico e politico. Inizialmente ho dato alla collezione una struttura molto precisa, circoscrivendo una serie di filoni d’interesse: l’arte italiana, la fotografia, l’arte delle donne, la scena britannica e poi quella californiana. Ho tratto questo approccio sistematico dalla mia formazione, con gli studi universitari in economia. Nel tempo, la griglia si è attenuata e poi sciolta a favore di un ventaglio più ampio di interessi, determinato dal corso dell’arte stessa, dal sensibile allargamento della platea artistica, sempre più aperta e globale. Ho deciso di iniziare a collezionare opere d’arte contemporanea con in mente un’idea molto precisa. Non volevo solo possedere delle opere, ma costruire una collezione, organizzata in modo chiaro e con obiettivi precisi. La mia collezione è fondata su un dialogo diretto con gli artisti e sulla conoscenza approfondita della loro ricerca. Parallelamente, a partire dagli anni Ottanta, ho iniziato a collezionare American Costume Jewelry, bijoux realizzati a partire dagli anni ’20 del secolo scorso. La collezione si compone di circa mille pezzi tra spille, collane, orecchini e bracciali. Li ho collezionati nel tempo e provengono dagli Stati Uniti. Questi gioielli raccontano una storia di creativi che hanno reagito alla Grande Depressione del 1929 e poi ai difficili anni della Seconda guerra mondiale, disegnando e realizzando gioielli di fantasia con materiali eclettici e non preziosi. In questo modo diedero impulso a una straordinaria sperimentazione nel campo del design artigianale. Sono oggetti attraverso i quali esprimo la mia estrosità. Nelle occasioni importanti, solitamente prima scelgo la spilla o la collana e poi l’abito viene di conseguenza. Le opere d’arte che amo hanno sempre il potere di raccontare delle storie, di innescare delle riflessioni e hanno un forte impatto su di me ogni volta che le guardo. Lo stesso i miei gioielli, che ho l’abitudine di indossare e di scegliere in base allo stato d’animo, all’occasione, alla stagione e all’abbigliamento. Costituiscono una collezione viva, in continua crescita, che riscopro ogni giorno attraverso emozioni nuove.

Qual è stata la prima opera acquistata?
A Londra trent’anni fa ho acquistato un insieme di opere, tra le quali c’erano Blood Stone e due delle sculture dei 1000 Names di Kapoor, un’installazione European Culture Myth, Annunciation, e una scultura Minster di Tony Cragg, una serie di dipinti della serie Imagine you are driving… e sculture Imagine you are driving (Sculpture 2) – In order to cut glass it is necessary to score a line one molecule deep I di Julian Opie e un’installazione Plaster Surrogates di Allan McCollum.

Michael Armitage’s paintings shown at Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Turin, Italy, March 2019.
© Giorgio Perottino

E le ultime?
Le ultime opere entrate in collezione sono In ognuno la traccia di ognuno, di Marinella Senatore, installata presso il Parco d’Arte sulla Collina San Licerio a Guarene e Ghost 0: Too much consciousness to be held by such a vulnerable entity, di Jota Mombaça, visibile fino al 15 ottobre in Fondazione nella mostra “The Butterfly Affect”. Altre due opere che considero particolarmente importanti tra le ultime acquisizioni sono GONOGO di Goshka MacugaUntitled di Simone Leigh. In entrambi i casi, si tratta di opere che sperimentano il mezzo della scultura, la sua scala, i suoi materiali e persino la sua iconografia. In entrambi i casi, le opere sono radicate in un’importante relazione tra presente, passato e futuro.

Che ruolo può svolgere oggi una fondazione di arte contemporanea sul territorio e in relazione alla comunità sociale che la ospita?
Le istituzioni possono elaborare strumenti e metodologie per fare dell’arte contemporanea un motore di educazione e un fattore importante nei processi di community building. L’arte contemporanea può rivestire un ruolo determinante nel processo di estensione del diritto alla cittadinanza culturale e dunque è per me un valore tangibile, una ricchezza per la vita delle persone e della nostra società. Sono fermamente convinta che l’arte e la cultura detengano un ruolo decisivo nella vita democratica e quindi nella crescita del Paese. La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo punta sui valori positivi che l’arte contemporanea veicola anche attraverso un’attenzione particolare alle giovani generazioni e al valore dell’arte come dispositivo per fare rete, per scoprire e per condividere. In questa direzione penso a Verso, un progetto presentato nel 2021 e conclusosi a luglio 2022. Si tratta di un programma di mostre, workshop, incontri, visite e conferenze dedicato ai giovani e alle giovani dai 15 ai 29 anni, curato e prodotto insieme all’Assessorato alle Politiche Giovanili della Regione Piemonte, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale. Crescita, inoltre, significa formazione. Dal 2007 la Fondazione promuove lo Young Curators Residency Programme, grazie al quale ogni anno tre giovani e promettenti curatori, provenienti dalle migliori scuole specialistiche del mondo, fanno un lungo viaggio in Italia accompagnati da un nostro tutor. Il viaggio permette loro di conoscere direttamente i giovani artisti e la scena creativa italiana, i suoi protagonisti, i musei, le fondazioni, le gallerie, gli spazi non profit. La residenza si conclude con una mostra di artisti italiani alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, pensata e curata dai giovani curatori internazionali coinvolti nella residenza. Grazie a questo progetto l’arte italiana entra in contatto con gli sguardi dei giovani curatori stranieri, molti dei quali intraprendono una brillante carriera e continuano a coinvolgere gli artisti italiani conosciuti durante la residenza anche dopo la sua conclusione. Su questo modello, nel 2012 abbiamo concepito Campo, un corso in studi e pratiche curatoriali, rivolto ad aspiranti curatrici e curatori italiani. Un corso specialistico post-laurea, che offre una preparazione teorica nell’ambito dei Curatorial Studies, un’esperienza diretta del funzionamento del museo e un’ampia conoscenza del mondo dell’arte contemporanea in Italia, grazie alla formula della residenza in viaggio. Campo è un itinerario: parte dal museo, base operativa per la formazione, e si sviluppa con un percorso di ricerca in movimento, tramite un ricco calendario di visite di studio nelle principali istituzioni artistiche italiane, negli spazi no-profit, nelle gallerie e negli studi degli artisti.

Mi fa due o tre nomi di talenti su cui puntare oggi secondo lei? (Intendo puntare nel senso di acquistare, collezionare, seguire. Possono essere italiani o stranieri.)
Seguo con attenzione la pittura di Michael Armitage e di Lynette Yiadom Boakye e il lavoro di Andra Ursuta, Marguerite Humeau, Katja Novitskova, Tauba Auerbach e Lawrence Abu Hamdan sui diversi formati della scultura e dell’installazione. Tra gli italiani Marco Giordano e Benni Bosetto.

Tra gli artisti italiani mid career, secondo lei, ce n’è qualcuno da seguire con particolare attenzione?
Trovo molto interessante il percorso che stanno facendo Ludovica Carbotta, Giulia Cenci e Adelita Husni-Bey.

Lei si fida più del suo istinto o del suggerimento degli esperti?
Mi sono fatta accompagnare da “guide” autorevoli. Artisti, galleristi, collezionisti e curatori mi permettono di orientarmi all’interno della scena contemporanea.  Da subito il mio collezionismo ha avuto un’impronta generazionale e Francesco Bonami è stato un interprete perfetto di questo indirizzo. Al di là del confronto, le mie decisioni hanno sempre giocato un ruolo essenziale, non delegabile ad altri.

Goshka Macuga, GONOGO, resina, acciaio, plastiche, pellicola, vernice, 15 x 8 x 5 m, 2023

C’è un’opera della sua collezione legata a qualche evento o aneddoto particolare che la rende ancora più preziosa, emotivamente, ai suoi occhi?
Scelgo una delle ultime acquisizioni: GONOGO di Goshka Macuga è un razzo metallico alto 15 metri che poggia su una struttura blu fluorescente. La sua acquisizione deriva da una commissione a Macuga per la futura sede della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, l’isola di San Giacomo a Venezia. L’opera è già stata presentata nel cortile di Palazzo Strozzi a Firenze, in occasione della mostra “Reaching for the Stars” che ha celebrato i 30 anni della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, inaugurata all’inizio di marzo 2023. Una volta posizionata a San Giacomo, l’opera diventerà un importante simbolo della fragilità ecologica della laguna, così tragicamente minacciata dall’innalzamento dei mari dovuto alla crisi climatica. Il razzo si innalza verso il cielo, come le numerose torri che punteggiano Venezia e ne rappresentano l’antica potenza. Ma è anche un ironico riferimento alla fuga dal sistema Terra di fronte all’apocalisse, una tecnologia avanzata che osserviamo riflettendo sul nostro incerto futuro.

Se dovesse dare un titolo complessivo alla sua collezione ad oggi, quale potrebbe essere?
“Reaching for the Stars”, il titolo della mostra a Palazzo Strozzi, è perfetto. Vedo uniti lo stemma della nostra famiglia, il logo della Fondazione e una costellazione.

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