Alessandro Bulgarini (1983), pittore post surrealista, fin da piccolo respira forma e colori, si formato frequentando la bottega dal nonno pittore di paesaggi Serafino Zanella, poi in autonomia ha studiato la storia dell’arte, la filosofia e l’esoterismo. Da oltre 17 anni espone in Italia e all’estero e incentra la sua personale ricerca visionaria intorno alla corrispondenza tra arte, sogno, realtà e finzione, in cui simbolo e allegoria sono convergenti. Con il tempo la pittura è diventata uno stile di vita che si accorda perfettamente con il suo modo di esplorare territori dell’immaginazione.
Secondo Bulgarini la pittura è strumento per realizzare quel principio neoplatonico emblematicamente racchiuso nel famoso motto di Marsilio Ficino IOCARI SERIO ET STUDIOSISSIME LUDERE (La vita ludica dell’arte).
La sua pittura è stata definita negli ultimi anni “filosofale”, è un’arte introspettiva e simbolica, legata allo studio del mondo immaginale e degli archetipi: filosofia e antropologia, psicologia ed esoterismo, che sono le sue fonti principali d’ispirazione per sviluppare una iconografia sincretica e surreale. Dipinge immagini concettuali inquietanti, che sovvertono il senso comune dei significati e ci interrogano sul mistero perturbante dell’arte, sulla ricerca del significato e la riscoperta del sacro con opere che analizzano le sfaccettature dell’esistenza e mirano al risveglio spirituale dell’individuo.
Ti consideri un erede di Italo Calvino, perché?
La storia dell’arte è attraversata trasversalmente da una componente visionaria e fantastica che da Hieronymus Bosch a William Blake, passando per Goya e Füssli ̶ per citare i più noti – arriva alla corrente ottocentesca del Simbolismo per giungere alle avanguardie novecentesche della Metafisica e del Surrealismo, per finire con la scuola viennese del Realismo Fantastico. La stessa componente è presente anche in tutta la storia della letteratura: limitandoci al Novecento, è il caso ad esempio di J.L. Borges e del nostro Italo Calvino, a partire dal suo interesse verso le fiabe e, per usare parole sue “l’infinita possibilità di metamorfosi di ciò che esiste.” Non so se sia legittimo parlare di eredità visto che i miei riferimenti attengono principalmente le arti visive; tuttavia se ci riferiamo al percorso di ricerca e la direzione da me intrapresa, certamente si è consolidata nel tempo la volontà di continuare ̶ soprattutto dopo l’incontro e la frequentazione del grande maestro visionario Ernst Fuchs ̶ quell’ambito di ricerca che è proprio appunto degli autori del fantastico e degli indagatori dell’immaginario. In particolare, riguardo alla mia “pittura filosofale” la scelta è stata quella di confrontarmi con lo studio del pensiero immaginale, analogico, che sta alla base dello sviluppo delle facoltà intuitive e si concretizza in un approccio sostanzialmente diverso, una modalità di pensiero ulteriore rispetto a quella esclusivamente logico-razionale, divenuta negli ultimi decenni il principale dogma della cultura occidentale.
Secondo te leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, le 5 categorie della modernità raccolte nel libro “Lezioni americane” (1988), nella nostra epoca connessa sono ancora attuali, come, dove e perché?
Le “Lezioni americane” di Calvino sono state palesemente profetiche nel delineare quelle che sarebbero state le caratteristiche necessarie all’Arte del nuovo millennio per potersi considerare un’arte completa, profonda, costruttiva e utile anche a livello pedagogico e quindi sociale. Tenendo già conto sorprendentemente delle dinamiche mediatiche, tecnologiche e di accelerazione che caratterizzano i nostri giorni. Le sue riflessioni sono sicuramente attuali come strumento di discernimento tra quell’arte pregnante che resterà e sarà amata anche dai posteri e quell’arte vuota destinata all’oblio in quanto figlia di mode passeggere e vittima della propria autoreferenzialità. In definitiva, un trattato d’importanza fondamentale per capire le necessità intrinseche per l’arte che vuol durare nel confronto con la postmodernità ed essere feconda per il futuro.
Il nuovo chatbot ChatGPT, strumento di intelligenza artificiale generativa, rapidamente adottato dagli studenti per creare composizioni liceali o addirittura saggi accademici, già da tempo utilizzato nell’ambito artistico con Dall-E, strumento di A.I capace di riprodurre immagini a partire da un testo scritto, suscitando non pochi problemi di autorialità, secondo lei, può contenere o superare le 5 categorie indicate da Calvino? Perché?
Non credo che la cosiddetta intelligenza artificiale generativa, da sola, possa superare o trascendere le 5 caratteristiche delineate da Calvino, soprattutto ai fini e nelle intenzioni che lui si prefiggeva. Potenzialmente, certo, le contiene tutte e in tutte le combinazioni possibili, ma ne contiene anche gli opposti. Limitandoci a quelle che sono le applicazioni visive della suddetta tecnologia, sebbene sia probabile che diventi uno strumento utile di supporto al lavoro di molti artisti, manca dell’elemento del libero arbitrio e soprattutto della coscienza intesa come manifestazione dell’anima. Avendo la presunzione di poter contenere caoticamente tutto lo scibile e tutto il visibile, resta comunque soggetta anch’essa alla caratteristica fondamentale di quella che chiamiamo “realtà”, ovvero la dualità. Senza l’elemento umano e consapevole d’indirizzo e scelta, l’A.I. continuerà a produrre un’infinità d’immagini contrastanti: alcune rispecchieranno certamente il canone della leggerezza ma altre invece quello opposto della pesantezza, talune esatte rispetto ad un determinato tema o scopo, ma tante altre indefinite, imprecise, alcune visibili in forza della loro icasticità e bellezza altre rese invisibili dal loro eccesso in quantità, tutte certamente rapidissime nella loro genesi e diffusione e molteplici nella loro polivalenza, ma questo non è sempre un elemento desiderabile o sufficiente, soprattutto per lo stesso processo creativo e meditativo.
Come ho citato più volte e sottolineato in occasione dei cataloghi delle mostre Alta Fantasia (2017) e Iconosophia (2020) Calvino ci pone una fondamentale domanda per chiunque si occupi di fare arte: “Quale sarà il futuro dell’immaginazione individuale in quella che si usa chiamare la “civiltà dell’immagine”? […] Penso ad una possibile pedagogia dell’immaginazione che abitui a controllare la propria visione interiore senza soffocarla e senza d’altra parte lasciarla cadere in un confuso, labile fantasticare, ma permettendo che le immagini si cristallizzino in una forma ben definita, memorabile, autosufficiente, icastica.” Sembra ricollegarsi al pensiero del medico rinascimentale Paracelso secondo cui “l’immaginazione non è fantasia, la quale ultima è la pietra angolare della superstizione e della follia. L’immaginazione dell’uomo diviene pregnante attraverso il desiderio e fa nascere i fatti. Ognuno può regolare ed educare la propria immaginazione, e mediante essa venire in contatto con gli spiriti ed essere ammaestrato da essi. Gli spiriti che desiderano agire sull’uomo agiscono sulla sua immaginazione…” (Paracelso, “De virtute imaginativa”)
Secondo questo modo di vedere in cui mi riconosco completamente, la totalità delle immagini prodotte dall’A.I. è da collocare nel vastissimo ambito generico della fantasia, mentre ciò che attiene più specificamente all’immaginazione ne è un più circoscritto e ben definito sottoinsieme. Come ogni altro strumento tecnico mostrerà nel tempo la sua utilità e i suoi limiti, ma per quanto riguarda le sue applicazioni artistiche ritengo che sarà sempre e solo l’elemento umano, in definitiva, a darle consistenza (e qui arriviamo alla sesta lezione calviniana – quella incompiuta) in relazione al contesto in cui viene prodotta.
In una società come quella attuale ̶ dove, oltre alle identità sociali e individuali, anche le sovranità nazionali sono entrate in un processo di “liquefazione” e destrutturazione in nome di un neoliberismo dogmatico che non permette nemmeno al soggetto Stato di intervenire a correzione delle dinamiche perverse e speculative che interessano l’economia ̶ la mancanza di postulati di un’etica universalmente riconosciuta (soprattutto per tutti coloro i quali non si identificano più in alcuna religione o sistema filosofico) da collocare idealmente al di sopra di ogni decisione in merito al suo utilizzo, ci espone al grosso pericolo di un’evoluzione imprevedibile dell’A.I. che sfugga a qualunque tipo di controllo e orientamento verso il bene collettivo, come peraltro ci hanno già avvertito nei mesi recenti anche alcuni dei suoi stessi sviluppatori. Senza una struttura ben definita di pensiero e di valori di riferimento, l’A.I. lasciata a se stessa rischia di amplificare esponenzialmente quei processi di accecamento ed iper-accelerazione di cui Paul Virilio e Jean Baudrillard ci hanno regalato analisi altrettanto lucide e profetiche.