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Il magnifico caos di Jean-Paul Riopelle in una grande mostra alla Fondazione Maeght di Saint-Paul de Vence

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Jean-Paul Riopelle, Grande Chute, 1967
Nell’anno del centenario della nascita, la Fondation Maeght di Saint-Paul de Vence (Francia) presenta una mostra monografica dedicata a Jean Paul Riopelle. In esposizione 180 opere tra dipinti astratti e figurativi, ma anche le sculture, le ceramiche e le incisioni. Dall’1 luglio a 12 novembre 2023.

Multiforme, caleidoscopico, di vulcanica, dirompente vitalità. Jean-Paul Riopelle (1923-2002) era solito ripetere “Ogni lavoro è nuovo di zecca, e se non lo è, è un fallimento”. Una continua reinvenzione della realtà che sembra richiamare a quanto descritto dallo psicoanalista e storico dell’arte Ernst Kris, fra i primi a intuire e teorizzare che l’opera d’arte non è espressione e diretta trasposizione di contenuti inconsci, né semplice imitazione, poiché l’artista non rappresenta la natura, né la imita: la ri-crea.

 «Quando disegna, dipinge o incide ciò che il suo occhio ha carpito e la sua immaginazione fa riaffiorare, egli si dà a una attività che ha un duplice significato. Ogni linea, ogni tratto di cesello è una semplificazione, una riduzione della realtà. Il significato inconscio di questo processo è il bisogno di dominare le cose a costo di distruggerle. Ma la distruzione della realtà si fonde con la costruzione della sua immagine: quando le linee si riuniscono in forme, quando la nuova figura nasce, non ci troviamo davanti ad una copia della realtà. Indipendentemente dal grado di somiglianza, la natura è stata ricreata“.

 

E. Kris

La sua ricerca, accanita e infinita, insieme alla diversità del suo lavoro fanno di Riopelle uno degli artisti più multiformi e produttivi della seconda metà del ‘900. Sulla sua impressionante forza creatrice, sulla sua incredibile capacità di coordinare simultaneamente le tecniche più disparate piegando la materia alla sua debordante energia fisica e intellettuale si concentra la grande mostra che la Fondazione Maeght dedica all’artista canadese nell’anniversario dei cento anni dalla nascita. O almeno questa è l’ambizione che anima l’esposizione composta da più di 100, tra figurazione e astrattismo, che coprono un arco di 50 anni e abbracciano l’insieme delle discipline delle arti plastiche, con incursioni nella grafica e nelle arti decorative.

Jean-Paul Riopelle, Hibou II, 1970

Un’esplorazione realizzata attraverso l’utilizzo di tutti i medium possibili, al servizio delle sue domande interiori e di quanto attinge da tutto ciò che lo circonda. In una favolosa pluralità dei fenomeni del mondo che non finisce mai di farli mutare e li relaziona con sé stessi per rilanciarli di nuovo e in maniera diversa nel flusso di un’esistenza vissuta al massimo. L’arte, la poesia, la caccia, la pesca, le automobili: tutto lo stimola e lo appassiona. Per Riopelle essere artista non consiste mai nel riprodurre banalmente il visibile, ma nel far nascere nuovi spazi, dipingere ciò che non si vede, ciò che nasce dalle sue visioni interiori siano essi il movimento, i colori o la loro fusione, i legami che si stabiliscono tra forme, assemblaggi, texture.

In cinquant’anni di attività ininterrotta, quasi sempre in viaggio a bordo del suo veliero Le Serica o alla guida della sua Bugatti, a lavorare con accanimento fra gli ateliers sparsi i su due continenti (ne ebbe diversi, a Vanves, Vétheuil, Meudon, Sait-Cyr en Arthies, nel Sud della Francia, a Saint Marguerite du lac Masson nel Quebec) l’artista ha utilizzato tutte le tecniche e tutti i processi possibili: pittura, scultura, ceramica, disegno, inchiostro, acquerello, gouache, carboncino, pastello, sanguigna. Perché per lui la completezza non esiste. Rapimento ed elaborazione, la sua ricerca è infinita, tutto è esperienza, immaginario, intuizione, materia, colori, formato, si rifiuta di sottomettersi a qualsiasi forma di ripetizione e questa mostra, che testimonia il suo enorme bisogno di spazio e di libertà, ne è la prova.

Una sorridente e ironica foto che raffigura l’artista con al guinzaglio il suo fox terrier in bronzo accoglie i visitatori all’ingresso della Fondazione, seguono nelle vetrine rari acquerelli datati anni ’40. Le prime sale sono dedicate a tematiche come la fascinazione per la natura e la curiosità dell’artista canadese per i popoli autoctoni, siano essi gli Inuit o gli amerindi. Segue la serie dedicata a Le Rois de Thulé, ispirato all’opera di Matisse Une fete en Cimmerie. Della sua attenzione per i popoli e i paesaggi del Nord fanno parte gli Icebergs (1977) e i disegni alla punta d’argento, che rappresentano maschere e totem della comunità amerinda. In Salle Mirò si impongono i cartoni delle grandi tappezzerie realizzate dalle gloriose manifatture Gobelins, seguiti dai Giochi di corde, anche questi espressione del suo interesse per le culture autoctone.

Jean-Paul-Riopelle-Chevreuse-1954-301-x-391-cm-Huile-sur-toile-Collection-Musee-Natinal-dArt-Moderne-Centre-Georges-Pompidou-©-ADAGP-Paris-2023-copie-scaled
Jean-Paul Riopelle, Chevreuse, 1954

È del ’72 la serie Suite, 17 litografie di gran formato. Il tutto punteggiato da sculture realizzate con un approccio diretto, istintivo, che dà loro un aspetto di movimento, di elasticità e non finito. Influenzato dall’amicizia con Zao Wou-Ki, raffinato interprete dell’invisibile, nel ’69 crea Paravento, un raro oggetto-scultura in litografia originale impresso su seta e composto di 5 pannelli (160x 300cm) in cui introduce la nuova estetica dell’assemblage. Ampio spazio viene riservato alle litografie e acqueforti realizzate nella tipografia Arte della famiglia Maeght, essenzialmente dedicate al suo favoloso bestiario fra cui i famosi Hiboux.

Si ricorda la teatrale installazione Le Mur-Hiboux, polittico di 63 elementi, bassorilievi e sculture legate da corde, presentato per la prima volta nei giardini della Fondazione nel 1980-81. Opere-sintesi, come la Joute, che ci pongono dinanzi a un macrocosmo estremamente vario e inquietante. Il percorso dell’ultima sala è dominata dall’esplosione di colori della monumentale Chevreuse, 301x 391 cm, realizzata nel 1954, uscita per la prima volta dal Centre Pompidou dopo essere stata acquistata dallo Stato francese nel 1960. Per finire con Champs 1990 di Joan Mitchell, a ricordo della compagna che l’artista incontrò a Parigi in un caffè di Saint Germain.

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