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Ecosistema di cultura: il sertão brasiliano nella sua sesta Biennale

Rafael Amorim, Dois rapazes de mãos dadas, 2021, fotografia su carta, ph. credit THE WSS

Sullo scacchiere geopolitico internazionale, così come quello legato all’arte contemporanea, il Brasile si sta posizionando con una forza sempre maggiore e, siamo pronti a scommetterci, sarà uno dei Paesi in distacco alla prossima Biennale d’Arte di Venezia, a partire proprio dalla nomina del curatore generale, Adriano Pedrosa – direttore al MASP di San Paolo – fino alla Svizzera, che ha già schierato il suo artista, brasiliano di casa oltralpe: Guerreiro do Divino Amor.

In base a queste semplici ma essenziali premesse, abbiamo deciso di realizzare una nuova rubrica per ArtsLife, “Fala Brasil”, Parla Brasile, in presa diretta dall’emisfero sud, come un avvicinamento a quello che potremmo scoprire tra qualche mese proprio alle nostre latitudini.

Iniziamo, come vi avevamo annunciato, da una delle tre Biennali che si stanno svolgendo in contemporanea nel Paese sudamericano: la sesta Bienal do Sertão, dal titolo “Educar a paisagem”.

Travessia é una delle più speciali parole della lingua portoghese, in grado di riassumere in sé tutte le sfumature di quello che è l’attraversamento di una vastissima porzione di acqua (l’oceano, certo) o una vasta landa di terra (l’interior brasileiro, appunto). Travessia é anche la parola che chiude e che si incontra in molteplici passaggi del romanzo Grande Sertão: Veredas, composto da uno dei più riconosciuti autori brasiliani di ogni tempo, Guimarães Rosa.

Travessia accompagna la storia delle grandi navigazioni e delle scoperte delle terre oltremare; è il viaggio sfinente e debilitante che da sempre accompagna i migranti, tanto quelli che scelgono di attraversare l’acqua tanto degli antichi retirantes che abbandonavano a piedi il sertão a causa delle secche e della difficoltà di lavorare la terra nelle zone più aride del Paese; travessia è il movimento che accompagnò i nostri trisnonni e bisnonni emigrati nell’America del Sud per tentare un’altra vita oltre i confini della patria italiana; la travessia fu imposta alle popolazioni africane all’epoca dello schiavismo e, in fondo, la travessia è metaforicamente il nostro passaggio sulla terra, dalla nascita alla morte.

Arrivare al Sertão é, ancora oggi, una travessia: significa percorrere intere ore di paesaggio quasi incontaminato, talmente vasto da considerare per la prima volta l’idea di infinito.

Quando ho incontrato per la prima volta Denilson Santana, ideatore della Biennale del Sertão nel 2012 che da allora ha visto svolgersi cinque edizioni in vari stati attraversati dalla caatinga (nome specifico del bioma secco/arido tipicamente brasiliano, specie degli stati del nordest e centrali) mi sono chiesto che cosa potessi portare con la mia esperienza da queste parti (per il sottoscritto aree squisitamente letterarie e cinematografiche), e la risposta è arrivata dal titolo: “Educare al paesaggio”. Una contingenza ben marcata con le prime due edizioni di BienNoLo, che proprio in relazione al paesaggio urbano e nello specifico milanese avevano lavorato.

Certo, qui siamo dall’altra parte del globo e le peculiarità di una città europea sono ben lontane, eppure la necessità di entrare nel paesaggio come presenza da tutelare, come essere vivo, come ecosistema non solo a livello biologico ma di visioni, tradizioni e desideri di cambiamento è la medesima.

Di fatto, verità innegabile, il deserto ha una profonda anima e non è per il suo essere secco o complesso nello svilupparsi quotidiano della vita umana che il suo valore viene meno, anzi. Il sertão, insomma, sarebbe da intendersi propriamente come un’entità che ci attraversa e pervade. Il suo paesaggio è palco e allo stesso tempo protagonista, spettatore e attore dei cambiamenti in atto, innesco di possibilità di pensiero che vanno ben oltre le sue migliaia di chilometri quadrati.

Sarà anche per questo che nella open call della Biennale del Sertão quest’anno sono arrivate oltre 500 candidature da tutto il globo, perché il sertão – come scrive sempre Rosa – ha le dimensioni del mondo.

Una Biennale, insomma, che pur mantenendo un approccio ben attuale e, si potrebbe dire, ben politico, mette in primo piano l’esperienza dell’opera come oggetto-tramite, anziché sbattere in mostra il vissuto dell’artista, i suoi traumi e i suoi personali punti di vista, come noiosamente accade in centinaia di manifestazioni in ogni parte del globo.

Alla fine gli artisti scelti sono stati 39, di cui 9 stranieri e una trentina provenienti da vari stati brasiliani, da Rio de Janeiro al Pará, da Bahia al Paraíba, ognuno a portare i propri sertões (perché il sertão é uno, ma sono infiniti i pezzi che lo compongono).

KÂO, Interação Sinergética: Fontes de sofrimento que escorrem escondidos, 2023, pittura espansa

E, infatti, la molteplicità – anche delle tecniche – la fa da padrone: ci sono pitture installative, come nel grande dipinto dell’artista KÂO, i ricami di Nita MonteiroVika Teixeira, le fotografie di Rafael de Almeida, realizzate principalmente grazie all’aiuto di funghi che hanno “lavorato” su pellicole 35mm per vari mesi, restituendoci una serie di notturni decisamente in linea con l’atmosfera del far-west che si respira attraversando questi dintorni, e che attraversano anche le presenze umane stampate su pietra di Anna Menezes.

Intervalo-Fórum de Arte – Lia Krucken, Muito Tempo Traficado, 2023, ph. credit THE WSS

Lo hanno interpretato bene anche le artiste che compongono il trio Intervalo-Fórum de arte, di Salvador (BA) che hanno proposto al team della Biennale la volontà di realizzare una micro-residenza di tre giorni all’interno del Museo Paleontologico di Santana do Cariri, luogo di scavi e di antichi saccheggi di innumerevoli fossili, producendo un lavoro installativo fatto di mappe, misuratori, terre e leggende, a tracciare il profilo vivo di un altro tempo.

Marcos Martins, Recuperar paisagem, 2023 – installazione e performance (dettaglio), ph. credit THE WSS

Ci sono poi le astratte mappe per attraversare il dolore, come registra l’opera di JeisEkê de Lundu, e paesaggi fotografici oscuri in cui entrare, come succede con l’intervento di Rao Godinho, e c’è anche il sertão che diventa un paesaggio post-reale nella video animazione al limite del surreale di Rafael Vilarouca, che fa parte di quella coscienza desiderosa di guardare al futuro ma senza essere acritica nei confronti del presente, anzi. E poi, da segnalare, le performance di Marcos Martins, Messias Souza, Robson Xavier e Yasmin Formiga che hanno accompagnato l’opening (avvenuto lo scorso 3 ottobre), trascinando gli spettatori in un vortice in cui ancestralità e contemporaneità si sono riunite sotto il cielo di Juazeiro do Norte, nello stato del Ceará, dove la Biennale è visibile fino al prossimo 31 ottobre prima di partire per la sua prossima travessia, solcando – appunto – nuovamente il sertão, stavolta arrivando a Brasilia a luglio 2024.

Sesta Bienal do Sertão de Artes Visuais
Centro Cultural Banco do Nordeste, Juazeiro do Norte (CE)
a cura di Denilson Santana, Matteo Bergamini, Lucas Dilacerda, Renata Lima

Artisti partecipanti: Anna Menezes, Anna Moraes, Ateliê Vivo, Diego Dionísio, Felipe Ferreira, Guilherme Borsatto, Helô Bahia, Igor Oliveira, Jane Batista, JeisiEkê de Lundu, KAÔ, Larissa Rachel Gomes Silva, Larissa Batalha, Leandro Nerefuh, Lucas Alves, Marcenaria Olinda, Marcos Martins, Sérgio Adriano H, Messias Souza, Milena Ferreira, Nen Cardin, Nita Monteiro, Rafael Amorim, Rafael de Almeida, Rafael Vilarouca, Rao Godinho, Robson Xavier, Thiago Modesto, Vika Teixeira, Yasmin Formiga, Intervalo-fórum de arte (Inês Linke, Laura Benevides e Lia Krucken)

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