Dal 28 ottobre 2023 al 12 maggio 2024, il MUSEC | Museo delle Culture di Lugano (Svizzera) ospita la prima personale di Luca Pignatelli (Milano, 1962) incentrata esclusivamente sulla sua ricerca astratta, a cui si è dedicato nell’ultimo decennio di attività.
Quando si analizza l’arte astratta sembrano sempre mancare le parole. Luca Pignatelli, per questo, ce ne fornisce almeno undici: persona, ricordo, memoria, impronta, frammento, relitto, abisso, grotta, spiaggia, terra, origine. Termini che sono guide, accessi al criptico mistero delle 49 opere esposte, per lo più inedite, di grandi dimensioni. Ad ogni parola una sala, una tappa di un percorso che prende le forma di una mostra, ma che nasce da un dialogo Francesco Paolo Campione, curatore e direttore del MUSEC, e si declinerà in altre esposizioni, cataloghi, libri. Sempre dai libri, insieme a fotografie e ad altri oggetti che riempiono e animano l’atelier di Pignatelli, si è mosso il discorso dialettico tra artista e curatore, denso di ricordi e riflessioni, oggi condensato nella selezione di lavori proposta. Si tratta di larghe porzioni di teloni ferroviari dismessi, giuntati, cuciti, forati, bruciati, e poi dipinti e lavorati con inserti di diversa natura. Una materia esausta e ulteriormente ridotta ai minimi termini per restituire, secondo le modalità espressive dell’astrazione, il sapore di un universo costruito da una molteplicità di significati. Alcuni di questi sono evocati dai testi poetici che, in linea con la tappa-parola del percorso, introducono il visitatore allo stato emotivo della sala, cercano di influenzarne la disposizione di spirito. “La ricerca di Luca Pignatelli – sottolinea Francesco Paolo Campione – permette infatti di comprendere come l’arte, prima di essere rappresentazione e decoro, sia tensione fondamentale verso il mondo spirituale, strumento primario di conoscenza che procede dal tutto verso le sue parti, compagna fedele dell’esercizio mitopoietico che traduce agli uomini la complessa struttura del cosmo, dando loro l’illusoria certezza di essere padroni del proprio destino”. Inevitabile, in questa prospettiva, che l’artista abbia guardato principalmente in sé stesso, allargando poi la prospettiva verso un’universalità frutto dell’espansione della propria coscienza. Non a caso, i vincoli alla realtà, lungo il percorso, sono rappresentati da tavoli, sedie, poltrone, divani e carrelli sopra o accanto ai quali, esattamente come nello studio del pittore, da cui appunto provengono, si trovano fotografie, carte, disegni, immagini ritagliate dai giornali, telai, mucchi di teloni ferroviari, cocci, chiodi, barrette di metallo, cordame, pennelli e latte di pittura. Per questo, anche quando le opere paiono intercettare questioni antropologiche e sociali (soprattutto grazie alla linea interpretativa dettata dal titolo), esse rimangono sempre allusive, diluite ma non indebolite nella visione dell’artista che rimane preponderante, eloquente, ricca di elementi per formare una grammatica in grado di farsi linguaggio. Certo, esso non parla la lingua dei grafemi, nemmeno quella del verbo. L’arte di Pignatelli comunica esclusivamente per immagini, dunque si rivolge alle parte del nostro animo dove sono rimasti impigliati brandelli di ricordi, sensazioni, forse anche intuizioni. Per assorbirle non serve tanto osservare i dipinto, quanto più fornirgli un varco per lo spirito.