Alle Gallerie dell’Accademia di Venezia, è in corso una piccola mostra che vuole mettere in luce i primi passi di Tiziano con 17 opere autografe del maestro in dialogo con dipinti, incisioni e disegni di autori a lui contemporanei come Giorgione, Sebastiano del Piombo e Albrecht Dürer
Se il Cinquecento è da sempre considerato il secolo d’oro della pittura veneta, Tiziano Vecellio ne è indubbiamente considerato il principale promotore nonché artefice. Ma quando inizia la parabola della sua “luminosa carriera”? E in che modo? La piccola mostra dossier allestita alle Gallerie dell’Accademia di Venezia vuole andare alla ricerca dell’arché, della radice di questo sviluppo. Ed ecco che i tre curatori individuano all’unisono il 1508 come l’anno di svolta che avrebbe cambiato per sempre le sorti della pittura veneta. La mostra vuole in particolare dimostrare che, a quest’altezza cronologica, come già aveva affermato Giorgio Vasari, Tiziano era riuscito già, tutt’altro che timidamente, ad affermarsi sulla scena pittorica del tempo realizzando importanti opere e ottenendo il suo primo e prestigioso incarico pubblico.
Il breve ma suggestivo percorso espositivo mira, inoltre, a mostrare al visitatore come l’artista cadorino abbia saputo assimilare precocemente componenti culturali e artistiche tra loro differenti per poi elaborare un suo personalissimo linguaggio pittorico senza precedenti. Al momento del suo trasferimento a Venezia, infatti, il giovane Tiziano si è imbattuto in un panorama artistico di quanto più florido gli potesse capitare, dominato da vecchi maestri affermati come Giovanni Bellini e da giovani pittori rivoluzionari come Giorgione. Il 1508 è dunque un anno cruciale che mostra già, in nuce, come l’abilità del maestro cadorino avrebbe superato, per fama, talento e innovazione, i suoi predecessori e modelli, diventando, nel giro di pochi anni, il pittore della Serenissima e un punto di riferimento imprescindibile per la storia dell’arte dei secoli successivi.
Il percorso espositivo si apre all’insegna del rapporto con Giorgione, individuato come il punto di partenza della carriera del giovane Tiziano. Le opere esposte in mostra dei due maestri, tra cui due Sacre conversazioni e la Tempesta, mostrano come i due condividessero l’interesse per la rappresentazione naturalistica. Ma questa propensione gli era stata suggerita anche da altre sperimentazioni: tra il 1505 e il 1507, infatti, aveva soggiornato a Venezia Albrecht Dürer che, con la sua potenza espressiva, non aveva potuto non influenzare i pittori locali. La mostra offre un pertinente confronto tra alcune incisioni del maestro tedesco e alcuni disegni del giovane Tiziano, come il San Gerolamo che legge del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (poi tradotto in stampa da Marcantonio Raimondi), in cui viva ed evidente è una la loro condivisa attenzione al dato naturalistico. Si tratta di un interesse che Tiziano non abbandonerà mai, dai suoi esordi fino alle sue ultime audaci sperimentazioni pittoriche.
Uno dei pezzi protagonisti è il frammento dell’Angelo con tamburello della Galleria Doria Pamphilj di Roma. Si tratta di un frammento di una pala d’altare realizzata per la Chiesa di Santa Maria dei Servi a Ferrara e smembrata nel 1613. Le recenti indagini diagnostiche hanno permesso di svelare alcuni importanti dettagli dell’opera rimasti occultati dalla ridipintura seicentesca, come la presenza di una mano di San Francesco, che ha permesso l’accostamento della tavola con il pannello centrale raffigurante una Madonna con Bambino in trono conservato oggi al Museo Pushkin di Mosca e con un San Francesco di un museo francese. Poco studiata e considerata negli studi sul maestro cadorino, quest’opera viene esposta per la prima volta a una mostra e annoverata nel corpus giovanile dell’artista.
Un altro incontro fondamentale per Tiziano sarà quello con Michelangelo: il disegno toscano contro il colorito veneziano. Eppure, i due si toccano. Le sperimentazioni michelangiolesche dei primi anni del Cinquecento hanno sollecitato nel giovane Tiziano un nuovo interesse per la monumentalità, in particolare nei corpi nudi. Tale interesse si riscontra in primis nell’Arcangelo Raffaele e Tobia (Gallerie dell’Accademia) del 1508, che si distingue per una possanza dei corpi di netta ispirazione michelangiolesca, ma soprattutto nel coevo frammento della Giuditta realizzato per il nuovo Fondaco dei Tedeschi.
Situato a Rialto, il Fondaco dei Tedeschi era il cuore commerciale della città lagunare che, nel 1505, venne completamente distrutto da un incendio. Nel momento in cui il Senato della Serenissima decise di “refar[lo] presto e bellissimo”, decise di ingaggiare i pittori più affermati sulla scena veneziana del tempo per decorarlo e renderlo grandioso. Giorgione e il giovane Tiziano vennero così chiamati a realizzare una decorazione ad affresco delle pareti esterne dell’edificio. È questa la riprova che, all’altezza del 1508, Tiziano godeva già di una tale fama da aver sollecitato l’attenzione delle più prestigiose cariche della Repubblica. Non è stato possibile ricostruirne il programma iconografico, che è ancora oggi oggetto di dibattito da parte della critica; già Vasari non riusciva ad averne un quadro preciso, poiché i dipinti, già a fine Cinquecento, erano deperiti a causa dell’umidità. Certo è che nella decorazione del Fondaco i due maestri si cimentano, forse per la prima volta, con una pittura di dimensioni monumentali e con un linguaggio marcatamente classico nella composizione delle figure e della loro impaginazione nello spazio con tinte molto accese e vivaci. A guardarle con una rapida occhiata sembra di rintracciare in queste loro opere l’arte pittorica romana, specie quella pompeiana, che tuttavia nel Cinquecento ancora non era stata portata alla luce. Sorge dunque spontaneo domandarsi quali fossero i modelli antichi a cui i due attingevano, se non alla scultura, filtrata forse dall’impaginazione monumentale di maestri del Quattro e Cinquecento come Donatello e Michelangelo.
La Nuda di Giorgione e la Giuditta di Tiziano, entrambe gravemente lacunose, vengono qui affiancate, com’erano in origine. Le incisioni di Zanetti presentate in mostra ci offrono un quadro più completo della decorazione originaria, mettendo in luce al contempo un diverso temperamento dei due artisti: se l’immagine di Giorgione è più congelata, statica e composta, quella di Tiziano, invece, mette in scena un corpo possente in movimento che troneggia nello spazio con imponenza e maestosità. Non bisogna dimenticare che siamo negli stessi anni della decorazione della Cappella Sistina di Michelangelo e delle Stanze Vaticane di Raffaello: tutti i grandi artisti del tempo, in varie regioni nella penisola italiana, stavano mettendo a punto la cosiddetta “maniera moderna” di fare pittura, ognuno con le proprie declinazioni. Se queste opere si fossero conservate in maniera più ottimale, sarebbero con ogni probabilità da annoverare tra i principali capolavori della pittura italiana di primo Cinquecento accanto alle opere romane.
Questa mostra permette, inoltre, al visitatore di confrontare gli affreschi del Fondaco con l’opera, coeva, di un altro grande maestro locale, Sebastiano del Piombo, un pittore fortemente sottovalutato dalla critica, forse proprio a causa del confronto con altri maestri veneti. Domina in posizione di rilievo il capolavoro del maestro veneto, le ante esterne dell’organo raffiguranti i Santi Ludovico di Tolosa e Sinibaldo, Bartolomeo e Sebastiano, non sufficientemente valorizzato nell’esposizione permanente delle Gallerie dell’Accademia. L’opera è stata realizzata per la Chiesa di San Bartolomeo, non distante dal Fondaco; si tratta di una delle rare opere pubbliche dipinte dall’artista prima della partenza per Roma nel 1511.
Davanti al dialogo ravvicinato di questi tre dipinti, in questa lotta tra corpi monumentali e possenti, ecco che questa inferiorità dell’artista viene meno. Ecco la risposta magniloquente di Sebastiano del Piombo all’incarico pubblico che non lo aveva coinvolto. Osservando con attenzione l’opera, non si può, infatti, non essere magneticamente attratti dai colori, così vigorosi, dell’opera: dai fondi dorati, al nero così profondo, al rosso della veste di Ludovico. È proprio in questo punto che si può facilmente notare come la tecnica usata dal maestro sia a tutti gli effetti proto-impressionistica, realizzata con ampie e rapide pennellate di colore, che solo da lontano acquistano un senso. Un linguaggio, del resto, ampiamente condiviso dalle sperimentazioni pittoriche dell’ultimo Tiziano.
Più debole l’ultima sezione della mostra, dedicata agli anni padovani, funzionale tuttavia a mettere in luce come l’impegno di Tiziano nella pittura ad affresco, di cui oggi non rimane pressoché nulla, non si sia esaurita con l’impresa del Fondaco e sia stata una parentesi non irrilevante della sua produzione artistica. Negli anni subito successivi alla Giuditta, infatti, tra il 1510 e il 1511, egli realizza nella Scuola del Santo di Padova tre scene raffiguranti i miracoli di Sant’Antonio, di cui è esposto un bozzetto grafico. Si tratta della prima grande impresa del tutto autonoma del pittore cadorino, che segna l’ingresso in una nuova fase della sua carriera, ormai pienamente matura e consapevole, ormai ampiamente emancipata dalle influenze giorgionesche (Giorgione muore proprio nel 1510). Tiziano è quindi ora pronto per mettere a punto il suo personale linguaggio pittorico, del tutto nuovo e del tutto unico, che sarà in grado a sua volta di fare scuola e ispirare gli altri grandi maestri del Cinquecento veneto.
Estremamente convincente è la scelta dei tre curatori di realizzare una mostra dossier, con poche opere e dedicata esclusivamente a una fase – forse la meno apprezzata e studiata – della produzione artistica di un grande maestro quale Tiziano. I curatori sanno magistralmente epurare la mostra da tutti quegli elementi superflui alla costruzione della loro tesi: a differenza delle magniloquenti mostre dedicate al maestro cadorino pensate per il grande pubblico, ogni opera non è interscambiabile con un’altra: ognuna della ventina di quelle presenti nel percorso – un numero esiguo se si pensa all’ingente produzione del maestro e dei suoi coetanei – è, infatti, inserita nel percorso per raccontare qualcosa, per sostenere un argomento ben preciso. Si potrebbe controbattere che le Gallerie veneziane giocano in casa dal momento che un gran numero di opere provengono proprio dal museo stesso, ma non è affatto scontato saper estrapolare e selezionare, e al contempo valorizzare, alcuni propri dipinti per tessere una nuova e inedita narrazione. Si tratta dunque di una mostra di ricerca, di quelle rare e preziose al giorno d’oggi. Una mostra che richiede uno sguardo attento e analitico, non una mostra mordi e fuggi per il grande pubblico. Una mostra che permette, con la sua brevità, di mantenere alta la concentrazione dalla prima all’ultima opera e seguire, così, il filo dei curatori. In sintesi, una mostra raffinata, scientifica, ricercata e puntuale.
Tiziano 1508. Agli esordi di una luminosa carriera
Venezia, Gallerie dell’Accademia
9 settembre 2023 – 3 dicembre 2023
A cura di Roberta Battaglia, Sarah Ferrari e Antonio Mazzotta