A Lodi a Platea si sta per concludere “Groupware”, la mostra personale di Camilla Gurgone, curata da Benedetta Monti e Niccolò Giacomazzi, che costituisce il quarto e ultimo episodio del palinsesto espositivo dedicato agli artisti emergenti under 35, quest’anno selezionati da Rä di Martino.
La personale di Camilla Gurgone (Lucca, 1997), in corso fino a oggi, 5 novembre, chiude l’edizione 2023 di Platea “Play”, progetto personale di Rä di Martino, con cui ha preso il via la nuova stagione culturale promossa dall’associazione lodigiana, aperta da “Narciso” di Valerio D’Angelo (Roma, 1993), seguito da “Diorama” di Martina Cioffi (Como, 1991) e “Dream Factory” di Vittorio Zeppillo (San Severino nelle Marche, 1998).
“Groupware” è un progetto espositivo che si articola in una long-performance realizzata dall’artista stessa, che dal 6 ottobre, ogni giorno, è stata visibile al pubblico presso la vetrina di Platea, e in un sito internet (che potete trovare qui), che documenta tutti gli interventi e i materiali utilizzati nella realizzazione e nel periodo di apertura della mostra.
«La long performance di Camilla Gurgone è uno studio/ricerca ossessiva sugli odierni sistemi di sfruttamento e autosfruttamento lavorativo. La selezione e l’archivio dei materiali studiati verrà restituito al pubblico sia fisicamente, attraverso degli interventi sulla vetrina, sia online, tramite un sito internet dedicato al progetto. Gli spunti visivi/scritti creati per il pubblico sono lasciati volutamente “aperti”, senza spiegazioni per avviare interrogativi e spunti di riflessione.
La scenografia e la continua presenza dell’ artista oltre la vetrina ricorda uno schermo ma anche l’immaginario attuale di un tempo lavorativo infinito, alimentato dalla perenne disponibilità e reperilità che spesso priva il soggetto di un proprio tempo libero.
Inoltre, la performance porterà alla creazione di un archivio infinito, in quanto lo sfruttamento/precarietà/ rifiuto del lavoro sono tematiche molto discusse nell’epoca post-covid, in cui la sovrabbondanza di articoli, saggi e metodologie social portano a una coscienza e a una consapevolezza negli individui ma non a incentivare una risoluzione del problema. Il termine “groupware” racchiude quei programmi per computer (generalmente utilizzati in ambito lavorativo) che permettono la collaborazione tra utenti e il raggiungimento di un obiettivo comune, anche nel caso in cui le persone non siano fisicamente vicine», hanno spiegato gli organizzatori.
Camilla Gurgone ci ha raccontato il progetto nell’intervista qui sotto.
«In realtà, sviluppare questa long performance mi ha dato del filo da torcere. L’idea di affrontare una tematica ormai sensibile a tutti come lo sfruttamento lavorativo contemporaneo, si è costruita gradualmente intanto che prendevo conoscenza dello spazio e di ciò che avrei voluto ottenere dal pubblico fugace chequotidianamente affianca la vetrina. Ho saputo fin da subito di voler instaurare un contatto con ogni passante che non si limitasse alla sola osservazione e che non svanisse una volta terminato l’opening. Il dialogo, lo scambio di opinioni con i curatori e ilteam di Platea sono stati importanti, perché mi hanno permesso di anticipare il processo di immedesimazione e dei molteplici punti di vista che avrei ricevuto dal singolo una volta avviata la performance. La mia presenza costante nello spazio è stata determinante per abbattere la barriera del vetro, perché in qualche modo “accendeva” e rendeva tangibile un sentimento comune, portando chiunque a fidarsi e ad aprirsi. Un giorno, una signora vedendomi mi disse: “Grazie, sembra di guardarmi allo specchio!”».
«Nell’ultimo anno mi sono trovata a riflettere sullo sviluppo e l’avvenire della mia ricerca, soffermarmi su ciò che maggiormente mi era interessato esprimere nei miei progetti precedenti. Definisco Groupware una “consapevolezza” poiché ha contribuito a orientare il mio sguardo verso problematiche legate al lavoro(come la serie Full mime jobs) e agli effetti del capitalismo che implicitamente affronto da sempre ma che non erano ancora emersi in modo palpabile».
«Sono sempre stata una persona che riempiva la routine fino all’orlo e lavorava a più cose contemporaneamente. Un anno e mezzo fa ho avuto una crisi che ormai molti definiscono come “Burnout”. Quando capitò, non ero consapevole di cosa mi fosse successo ma da quel momento il mio ritmo lavorativo e il mio modo di affrontare cose è drasticamente cambiato. Ho iniziato a informarmi per cercare risposte e soluzioni, ritrovandomi in un mare vastissimo di testimonianze da cui attingere.
Appartenendo alla Generazione Z, nata e cresciuta con la tecnologia, la mia attenzione verte specialmente sulla temporalità del lavoro che il neoliberismo e i dispositivi digitali hanno reso infinito, portandoci non solo alla perenne reperibilità ma anche a voler trasformare ogni passione o hobby in qualcosa da monetizzare. La ricerca di Groupware però è a 360°, dalle lotte proletarie, ai video TikTok fino al recente fenomeno delle grandi dimissioni, ben analizzato da Francesca Coin nel suo ultimo libro».
«Le questioni che affronto sono tra le più discusse e attuali dall’avvento del Covid. Tutti ne parlano, esprimendo teorie:proposte di rivolte collettive, chi come Franco “Bifo” Berardi consiglia di disertare, o le tecniche di Mindfulness che incoraggiano gli individui a convivere coscientemente con il problema. Tuttavia, non sembra emergere ancora una soluzione efficace, portando come conseguenza una continua proliferazione di notizie e informazioni, che stordisce e scoraggia, piuttosto che aiutare».
«Da questo archivio usciranno sicuramente documentazioni successive e nuovi lavori: i feedback che ho ricevuto durante questo mese hanno lanciato degli input che spero di sviluppare nel 2024».