Un nuovo focus dedicato all’editoria e alle sue relazioni con l’arte contemporanea che si sviluppa come una mostra di edizioni d’arte e libri d’artista, selezionati dai due curatori e da Luca Massimo Barbero, Irma Boom, AA Bronson, Tony Brook, Salvatore Settis, Taryn Simon, e due conversazioni aperte al pubblico con i vari protagonisti coinvolti nel progetto.
Il Teatrino di Palazzo Grassi presenta un nuovo progetto dedicato all’editoria e alle sue molteplici relazioni con l’arte contemporanea, articolato in un allestimento espositivo e in due appuntamenti pubblici, dal titolo “How to put art in a book“, a cura di Leonardo Sonnoli e Irene Bacchi. La mostra, visibile da giovedì 9 a domenica 19 novembre nel foyer del Teatrino con allestimento di Massimo Curzi, riunisce 52 pubblicazioni selezionate dai due curatori del progetto e da alcune autorevoli personalità tra artisti, designer e curatori, invitati a proporre cinque volumi tra monografie, cataloghi di mostre o libri d’artista che considerano particolarmente significativi o originali.
Le personalità invitate a proporre una selezione sono i curatori Luca Massimo Barbero e Salvatore Settis, i designer editoriali Irma Boom e Tony Brook e gli artisti AA Bronson e Taryn Simon, che nel proprio lavoro tengono in grande considerazione l’oggetto libro. Ciascuno di loro ha scelto una serie di titoli, per un totale di 37 volumi a cui si aggiungono altri esempi significativi, individuati da Leonardo Sonnoli e Irene Bacchi, per la relazione instaurata tra la pubblicazione e la mostra che ne è oggetto. Le scelte saranno spiegate e motivate giovedì 9 e venerdì 10 novembre, nell’ambito di due incontri pubblici, in cui i partecipanti saranno in dialogo con Leonardo Sonnoli e Irene Bacchi.
“How To Put Art in A Book” dimostra come, negli ultimi sessant’anni, i due mondi dell’arte e del design grafico si siano spesso incrociati e influenzati. Spiegano i curatori Sonnoli e Bacchi: «La mostra vuole riflettere su quali siano le possibili modalità per raccontare il lavoro degli artisti, usando l’oggetto libro. Generalmente la questione viene discussa tra chi disegna il libro, il designer, e chi vuole mostrare dei lavori d’arte, il curatore o l’artista o talvolta entrambi, di solito sotto la regia di un editore. Se nel mondo dell’arte viene individuato il 1960 come data ideale in cui il libro diventa uno degli strumenti espressivi de “l’informale freddo”, possiamo osservare che nell’evoluzione del design grafico, negli stessi anni, si verifica un passaggio fondamentale dal grafico autore di derivazione cartellonistica al designer di sistemi grafici, coinvolto perciò nel disegnare un’identità per altri piuttosto che affermare la sua propria estetica.»
Lo scopo di “How To Put Art In A Book” è quello di suggerire alcune modalità originali di “mettere l’arte dentro a un libro” guardando a una serie di esempi illustri, senza costruire una cronologia precisa o una storia dell’editoria d’arte, ma fornendo suggestioni e riscoprendo talvolta dei capolavori. La selezione in mostra include volumi di diversa natura, non solamente libri d’artista, ma soprattutto cataloghi di mostra cioè strumenti che affiancano o sorpassano la reale fruizione dell’arte nello spazio espositivo.
Il percorso espositivo si articola in sette sezioni che illustrano le scelte di ciascun curatore e in particolare la sezione a cura di Sonnoli e Bacchi si sviluppa in ulteriori sette capitoli: “Metalibro”, “Il (finto) catalogo è l’opera”, “La mostra crea il catalogo, il catalogo è la mostra”, “Il catalogo come parte della mostra”, “Le opere ‘dentro’ il catalogo”, “Il catalogo è la galleria”, “La forma del catalogo come traduzione del contenuto”. Ogni capitolo si pone, non tanto come una rigida categoria di appartenenza, quanto piuttosto come una rappresentazione esemplificativa di come si possa fare arte attraverso un libro e viceversa.
“Metalibro”, per esempio, include un testo che racconta la nascita del libro d’artista, il primo a recensire pubblicazioni come se si trattasse di opere d’arte creando una lista: Book as Artwork 1960/1972 di Germano Celant (Londra / London, Nigel Greenwood, 1972). In poche pagine Celant traccia il cambiamento di rotta dell’arte e l’importanza del libro come strumento all’interno di essa. La lista dei libri recensiti, aggiornata assieme a Lynda Morris, diventerà la mostra alla Nigel Greenwood Gallery di Londra, accompagnata dall’edizione in volume tradotta in inglese.
“Il (finto) catalogo è l’opera” riporta esempi di cataloghi che presentano opere che in realtà non sono state esposte fisicamente in qualche luogo, dunque non descrivono lavori esistenti, ma sono essi stessi un’opera d’arte. Tra i volumi in questa sezione: Yves Peintures di Yves Klein (Parigi / Paris, Éditions Dilecta, 2006), la prima opera pubblica di Klein, un finto catalogo con testi costituiti solo da linee rette scure, che contiene tavole sciolte con un’opera ciascuna, tutte dal titolo Yves. Fogli di carta colorata che preannunciano i celebri monocromi Klein, ma che non riproducono alcuna opera reale.
“La mostra crea il catalogo, il catalogo è la mostra” ospita, tra gli altri, anche il volume realizzato da una delle personalità invitate a partecipare alla mostra: A Living Man Declared Dead and Other Chapters I-XVIII di Taryn Simon (Londra / London, MACK, 2011). In occasione della mostra dell’artista al MoMa di New York nel 2012, il libro era presentato in più copie nelle bacheche che occupavano le prime sale dell’esposizione, a dimostrazione di come non si trattasse del catalogo dell’esposizione, ma dell’opera stessa, in cui si condensavano quattro anni di ricerca dell’artista in giro per il mondo.
“Il catalogo come parte della mostra” presenta libri – oggetto diventati iconici, come il libro cubico Gold Dust Is My Ex Libris dell’artista James Lee Byars (Eindhoven, Van Abbemuseum, 1983), pubblicato in occasione della mostra “James Lee Byars” del 1983 Van Abbemuseum di Eindhoven. Si tratta di un catalogo di 1800 pagine che replica la forma quadrata di precedenti cataloghi, ma aumentandone lo spessore sino a raggiungere una forma perfettamente cubica. Solamente un terzo del catalogo è stampato, le pagine bianche servono appunto ad arrivare alla perfezione geometrica nello spazio, oltre ad aggiungere un aspetto performativo nello sfogliarlo, che spinge il lettore a rintracciare le pagine stampate con testo o immagine.
“Le opere ‘dentro’ il catalogo” riporta alcune soluzioni originali per rendere con gli strumenti dell’editoria la riproduzione di opere d’arte, come ad esempio le pagine in carta laminata a specchio con cui Michelangelo Pistoletto pubblica le serigrafie dei suoi quadri specchianti, intervallate da pagine bianche con i testi critici e altre riproduzioni in Meister der italienischen Moderne XIV. Michelangelo Pistoletto (Darmstadt, Mathildenhöhe, 1974). Si può immaginare che chi guardava quel catalogo dentro alla mostra si rifletteva in quelle pagine, che rispecchiavano contemporaneamente le opere di Pistoletto e la vita reale.
“Il catalogo è la galleria” racconta di cataloghi che sono stati realizzati con lo scopo di sostituirsi a mostre o presentazioni in galleria. Tra questi, non potevano mancare gli esperimenti messi in campo da Seth Siegelaub, direttore della Seth Siegelaub Contemporary Art, tra i massimi promotori della Conceptual Art a New York alla fine degli anni Sessanta. In mostra alcuni dei suoi volumi, tra cui July, August, September 1969 (New York, Seth Siegelaub, 1969) con Carl Andre, Robert Barry, Daniel Buren, Jan Dibbets, Douglas Huebler, Joseph Kosuth, Sol Lewitt, Richard Long, N.E. Thing CO. LTD., Robert Smithson e Lawrence Weiner. Lo spazio fisico della galleria svanisce e lascia il posto a una collettiva diffusa, che ha avuto luogo da luglio a settembre 1969, in cui ciascuno degli undici artisti presenta un’opera allestita in una città dell’Europa e delle Americhe. Il catalogo trilingue descrive e documenta i vari progetti e, in una sezione dedicata, fornisce le indicazioni per raggiungere il luogo dell’esposizione, diventando così l’unico strumento che permette di vedere la mostra nella sua interezza e a fornire la chiave di accesso per la stessa.
“La forma del catalogo come traduzione del contenuto” è un’altra serie di curiose e originali pubblicazioni che affiancano mostre e progetti espositivi e, ancora una volta, si ritrova una delle protagoniste di “How To Put Art in A Book”: Irma Boom che ha concepito il progetto grafico di Sheila Hicks: Weaving as Metaphor, a cura di Nina Stritzler-Levine (Bard Graduate Center, New York / Yale University Press, New Haven e Londra, 2006). La parte testuale del volume è quella determinante, formando delle trame tipografiche di misure variabili, ma anche la carta e la confezione hanno un trattamento particolare, restituendo la forte tattilità dei lavori dell’artista. La “slabbratura” della carta – segnalano i curatori – rimane ancora un segreto nella produzione di questo volume.
Il pubblico è invitato a scoprire le scelte di ciascuno dei partecipanti al progetto anche nell’ambito di due incontri aperti, in cui si affronteranno le diverse soluzioni formali e concettuali che hanno condotto alla realizzazione di volumi rimasti nella storia e ancora oggi fonte di studio e osservazione.