Nassim Soleimanpour chiede molto agli attori, dice siediti e leggi, interpreta, senza troppi passaggi, senza prove. Un teatro molto performativo, basato su empatia e fiducia e su quella che possiamo chiamare militanza dell’arte, quella fratellanza universale che unisce chi produce e chi soffre, quel dare voce che diventa una forza, di pace, condivisa. L’abbiamo visto in prima nazionale al Teatro dei Filodrammatici, a Milano
Who’s there? C’è qualcuno?
Questa è la chiave del teatro di Nassim Soleimanpour, un teatro in contumacia. Soleimanpour è drammaturgo iraniano, classe ‘81, che dal suo paese non poteva uscire perché si era rifiutato di fare il servizio militare. Niente naja, niente passaporto.
Uomo di mille risorse, Nassim scrive pièces teatrali che contrabbanda nel mondo via e-mail dalla sua scrivania in Iran. Attori sempre più famosi le leggono, teatri sempre più dappertutto le mettono in scena, una fra tutte White Rabbit/Red Rabbit, Coniglio Bianco/Coniglio Rosso, che va interpretata ogni sera da un attore diversa che non l’ha mai vista prima. È stata presentata centinaia di volte, in quasi venti lingue diverse da attori e attrici del calibro di Whoopi Goldberg, Ken Loach, Nathan Lane. E in Italia, da Lella Costa, Antonio Catania, Daria Deflorian, Vinicio Marchioni, Alessandro Benvenuti, Lucia Mascino.
Soleimanpour chiede molto agli attori, dice siediti e leggi, interpreta, senza troppi passaggi, senza prove, un teatro molto performativo, basato su empatia e fiducia e su quella che possiamo chiamare militanza dell’arte, quella fratellanza universale che unisce chi produce e chi soffre, quel dare voce che diventa una forza, di pace, condivisa.
Umanità reciproca condivisa, in un momento in cui ce n’è davvero sempre più bisogno, nel panorama politico sempre meno rassicurante in cui ci troviamo.
Ma bando alle ciance, cosa ho visto io al Filodrammatici?
Un palco vuoto, occupato solo da sedie e da un registratore, da cui esce, tradotta e registrata in italiano la voce di N. S. che ci invita a mettere insieme un Amleto, una tragedia umana su cui lui ha molto riflettuto. Le riflessioni le condivide con noi, insieme alle registrazioni, avvenute durante circa 24 ore – editate ovviamente – prima di un suo importante intervento agli occhi.
Nella vita, sul serio, il nostro drammaturgo sta perdendo la vista per una malattia progressiva.
Ed è riuscito a uscire dall’Iran e trasferirsi a Berlino dove vive ora, perché la sua fidanzata e ora moglie, l’ha indotto a cercare una ragione medica per capire se la naja fosse evitabile e il passaporto ottenibile. Gli occhi fragili di Soleimanpour sono stati la sua disgrazia e la sua fortuna al contempo: a causa loro quest’uomo è riuscito a lasciare l’Iran e lavorare nel cosiddetto libero Occidente. Il suo teatro, mentre la vista scema, aumenta in intensità e incisività.
Less is more. Mette in scena solo quello che serve, dettando direttamente al pubblico il da farsi. Qualcuno sale sul palco. Un direttore, più che altro un servo, di scena, facilita chi arriva sul palco e, seguendo istruzioni dettagliate, ci troviamo nel castello di Elsinor dove ha luogo il delitto e una farsesca, molto divertente, caccia al colpevole. Si ride, ci si alza, si partecipa, lo spettacolo si crea davanti ai nostri occhi semplicemente rispondendo alle domande e alle richieste di una voce registrata, dalla una traduzione di un testo, da una fiducia condivisa, da una cultura teatrale condivisa, da un’idea radicalmente nuova di teatro, dettato da diverse impossibilità della vita – non poter uscire dal proprio paese, perdere la vista – che tramite l’arte rendono possibile una nuova umanità e un’arte molto più prossima alla vita.
L’Amleto di nessuno, di Nassim Soleimanpour
Traduzione e regia Bruno Fornasari
Voce guida Tommaso Amadio