Il 19 ottobre di questo anno presso le sale della Pinacoteca Civica di Como è stata inaugurata la mostra «Geo Poletti collezionista e pittore» curata da Paolo Vanoli con la collaborazione di Maria Serena Matarrese, Giovanna Poletti e Pietro Spadafora che si concluderà il 3 marzo 2024
Affettuosamente soprannominato da tutti ‘Geo’, Ruggero Poletti (Milano, 1926 – Lenno, Como, 2012) fu appassionato collezionista e connoisseur di grande fama e rilievo all’interno del panorama artistico italiano della seconda metà del Novecento fino ai primi anni Duemila e come tale già rimembrato con la mostra alla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Corsini a Roma (a cura di Paola Nicita, 2019-2020) e quella a Palazzo Reale a Milano (Le nature morte di Geo Poletti, a cura di Paolo Biscottini e Annalisa Zanni, 2019).
A questa emblematica figura, “tra i più straordinari cacciatori di quadri del XX secolo” secondo Vittorio Sgarbi, va riconosciuto il grande merito di aver accolto già dagli anni ’50 nella sua preziosa quadreria opere mitologiche, scene sacre e ritratti di autori importanti come i dipinti di Alessandro Magnasco e di Carlo Innocenzo Carloni (imprestati in questa occasione dalla Pinacoteca di Brera alla quale ne fece dono) con una sezione dedicata alle nature morte tra le maggiori per quantità e qualità in Italia.
Con una predilezione alimentata dalla sua passione e competenza sull’arte moderna lombarda Sei e Settecentesca in particolare sulla “pittura della realtà” e sul caravaggismo (in quegli anni ancora pesantemente trascurati) egli non disdegnò l’inclusione di autori “minori” poi rivalutati unanimemente dalla critica ufficiale e dal mercato, come il prediletto Paolo Pagani. Di quest’ultimo autore, ampiamente indagato negli anni dallo storico dell’arte Alessandro Morandotti, in mostra figurano ben sette opere, tra queste la potente Caduta degli angeli ribelli concessa in comodato d’uso alla Pinacoteca Civica di Como dal figlio Huberto Poletti e la delicata Sacra famiglia con san Giovannino del Museo Poldi Pezzoli di Milano. E poi Camillo Boccaccino, sua la raffinatissima Venere e Amore commistione perfetta della dimensione naturalistica d’impronta emiliana con la delicatezza di Correggio e la sinuosa eleganza del Parmigianino pervasa dal cromatismo veneto di Tiziano come spiega Francesco Ceretti all’interno del catalogo, e tanti grandi artisti lombardi a lungo rimasti nell’oblio come Fra Galgario, Giacomo Ceruti, Tanzio da Varallo, il Cerano, Giulio Cesare Procaccini, il Morazzone.
Egli privilegiò sempre la qualità dell’opera anche se di autore “anonimo” al momento dell’acquisto, proponendo poi per alcuni di essi la corretta assegnazione ad artisti più o meno noti grazie alla sua innata capacità attributiva coltivata sulle migliaia di testi specialistici dalla sua nutrita biblioteca, coadiuvato dalla competenza del suo amico Giovanni Testori, che gli dedicò un saggio su “Paragone” (XII, 1962, pp. 48-55) e dall’intenso rapporto con i massimi storici d’arte come Roberto Longhi.
Con una selezione di una trentina di tele di grande formato, principalmente ritratti, la mostra racconta anche un altro aspetto meno noto di questo uomo schivo e riservato: il Poletti pittore. Furono solo due le mostre nel 1962 e nel 1967, nella prestigiosa Galleria del Milione a Milano, la prima con prefazione di Testori e la seconda di Francesco Arcangeli, a raccontarne pubblicamente la produzione artistica. L’accurata selezione di Vanoli (una tela proviene dalla Fondazione IRCCS Cà Granda – Raccolte dell’Ospedale Maggiore di Milano e raffigura un benefattore del nosocomio, altre sono relative al mondo dello sport spesso di gigantesche dimensioni che illustrano calciatori, stadi vuoti, tennisti come il Nicola Pietrangeli) ben ci permette di indagarne il valore raggiunto, apprezzato dallo stesso Longhi che ne ricevette una in dono ora prestata dalla sua Fondazione fiorentina.
Mi permetto poi di segnalare l’interessante vicenda attributiva legata ad un quadro della collezione presente a Como come “persona interessata dei fatti”. Si tratta di Testa di maiale su un piatto, anatra, volatili, cavolo e frattaglie, una natura morta del 1766 circa che, proprio in occasione di questo allestimento, è stato presentato da Vanoli per la prima volta con una nuova attribuzione sulla scorta degli studi compiuti dalla sottoscritta in occasione della tesi magistrale Ceruti pittore di natura morta discussa il 7 giugno 2023 nella facoltà di Torino, relatore Professore Alessandro Morandotti.
La scheda della tesi su Ceruti di Claudia Musso e la scheda del catalogo della mostra dello stesso Vanoli ne ripercorrono le oscure vicende: registrata presso Enos Malagutti (pittore grafico e incisore), poi Gilberto Algranti e ancora nella Galleria d’Arte Lorenzelli di Bergamo, l’opera giunge con l’attribuzione a Giacomo Ceruti nella collezione di Giovanni Testori, un’ascrizione ufficializzata in occasione della mostra da lui curata nel 1966 (Giacomo Ceruti, 32 opere inedite) in cui era accostata a Maialino con verza, cipolla e coltello, un’altra sua splendida natura morta giudicata dello stesso autore entrambe unanimemente accettate senza riserva dalla letteratura critica successiva, prima fra tutti Mina Gregori nei suoi fondamentali testi su Ceruti (1982, 1987, 2011). La digitalizzazione recente di una ulteriore parte del materiale della Fototeca della Fondazione Federico Zeri di Bologna ne ha però determinato un inatteso stravolgimento poiché ha riversato nuove preziose informazioni agli studiosi anche relative a queste due opere. Alberto Crispo nel 2021 con un articolo su “Parma per l’Arte” (XXVII, 2021, pp. 301-325) ha segnalato infatti alcuni appunti scritti a mano da Federico Zeri stesso, grande esperto di falsificazioni, sul retro delle fotografie di queste due tele e di una terza accostata ad esse, in cui evidenzia non solo la triplice cancellazione della firma di Michael Hartwagner, un autore tedesco poco noto, ma nel caso della terza tela addirittura una decurtazione della stessa.
Le comuni vicende collezionistiche fanno ipotizzare quindi una “cerutizzazione” delle tre tele per renderle più appetibili al mercato collezionistico avvenuto probabilmente durante i passaggi di proprietà di non sempre adamantina chiarezza avvenuti in tempi precedenti all’ingresso della tela in oggetto alla raccolta Testori e purtroppo la scomparsa di tutti i personaggi citati, nonostante le approfondite ricerche nei relativi archivi, non ha permesso di individuare tempi e autori del delittuoso intervento.
Resta però una certezza, nonostante tale parola sia azzardata nel camaleontico e imprevedibile mondo dell’arte: per la Testa di maiale su un piatto, anatra, volatili, cavolo e frattaglie decade l’attribuzione al Pitocchetto e (vera o presunta?) si recupera l’identità dell’autore Michael Hartwagner.
Il catalogo, edito da Dario Cimorelli Editore in occasione dell’allestimento, offre la possibilità al pubblico di confrontarsi con la storia collezionistica di Poletti tramite gli interventi effettuati dal curatore Paolo Vanoli e da numerosi studiosi come Alessandro Morandotti, Giuseppe Frangi, Maria Serena Matarrese, mentre la nutrita sezione che accoglie le testimonianze di storici dell’arte, antiquari, amici collezionisti come Maria Teresa Fiorio, Francesco Frangi, Mina Gregori, Vittorio Sgarbi, Nicola Spinosa costituisce un dono di grande valore per assaporare il prezioso ruolo esercitato da Poletti.