Per diventare la persona che siamo, ogni passo avanti rende ancora più difficile la strada del ritorno: rientrare al mondo precedente e privato delle porte chiuse e delle finestre sbarrate. L’esperienza, il risveglio del proprio vero sé, dopo essere stato a lungo soppresso, non può mai essere adeguatamente spiegato con il linguaggio. Sono parole che nascono prima ancora di essere concepite.
Tuttavia, ogni cambiamento ha una sua forma di resistenza. Per superarla non sono sufficienti le motivazioni, né gli argomenti e neppure i consigli altrui. L’aspetto fondamentale è desiderare di cambiare facendo sì che tale trasformazione rinforzi la nostra identità, invece che negarla. Questa è la storia di un cambiamento, di una transizione, di una consapevolezza. Questo fu il tradimento, la trappola e l’imbarazzo di Einar. Questo è la scoperta, il desiderio e la felicità di Lili.
Mi chiamai Einar Wegener. Mi sarei ucciso in primavera. Scelsi una data, il primo di maggio del 1930, dopo un anno di tormenti. La causa della mia sofferenza fu abbastanza semplice: la sicurezza di essere una donna, nata in un corpo sbagliato. O forse è più complicato. Come si riduce un pensiero in un racconto, come si grattugia una sostanza di dolore entro un piatto sempre più vuoto?
Il corpo di Einar iniziò a tradirmi. Mi sentii in trappola. Iniziai a provare imbarazzo, non tanto agli occhi non più indiscreti della folla. Imbarazzo nello specchiarmi in uno specchio. Iniziai ad intravedermi dentro tale riflesso. La transizione di ogni pensiero è la convinzione di un orologio lento. Non è una voglia, un costume che improvvisamente nasce dal desiderio. La scoperta è un tragitto a piedi, zaino in spalla, con una minuscola tenda e una piccola moka. Iniziai a dubitare. E se fossi malata? Se fossi uno scherno di Dio, una barzelletta raccontata, tra gli stridii di un bar, tra amici e parenti?
La libertà di autodeterminarmi crebbe giorno dopo giorno davanti a mia moglie Gerda, davanti alla natura e allo sviluppo di una Parigi dorata. Non esiste un inizio quando si percepisce l’esigenza di un nuovo inizio. Qualcosa non andava. Non seppi darle un nome. C’è un magnete dentro di noi. Quello che tira un filo tra il pennello e la tela. A posteriori posso dire che fu l’inconscio a parlarmi, quella ragazza che sono sempre stata e che mi sono portata dentro per anni senza che mai venisse alla luce. In effetti, vissi per anni secondo quello che mi insegnarono: cioè vivere come un uomo poiché il mio sesso assegnato alla nascita fu maschile. Voglio sottolineare una cosa: non fu solamente la volontà di riappropriarmi e di ridefinire un ruolo sociale – che noi tutti cerchiamo a fatica di reinterpretare e di vivere in modo che rispecchi il più possibile la nostra identità di genere, evitando nei migliori dei modi gli stereotipi tossici -, fu, in particolare e piuttosto, un concetto che va molto oltre il corpo e i genitali: l’identità è anche ciò che siamo e rispecchia come viviamo e come ci presentiamo nella società.
Per una manciata di mesi, fui e sono Lili. Questi mesi sono stati, tra dolori e atroci sofferenze, la mia montagna innevata, dove trovai la forza di salire e scendere, e giù ruzzolare tra fiocchi e ancora fiocchi. Non ci si guadagna nulla in termini sociali. Ma non ebbi scelta. Scoprirsi nella realtà è un fatto che non si può ignorare. La contraddizione più pesante è quella di far finta di nulla.
A cosa serve elencarvi che oltre al fatale trapianto di utero e all’asportazione dei testicoli e del pene di Einar, anche le ovaie di una giovane donna furono innestate nel suo corpo. Nella decostruzione di Einar detti un volto, una fisionomia alla mia Lili.
Mi sottoposi ad una serie di operazioni presso la clinica di Dresda del medico Kurt Warnekros. Einar raccolse il costo di buona parte degli interventi vendendo alcuni suoi quadri. Einar fu un pittore di paesaggi danesi. Lili adesso è una donna meravigliosa. Non è con il cervello, né con gli occhi, né con le mani che si è creativi ma con il cuore e con il sangue.
Non mi arrabbio se ancora non sapete chiamarmi con il mio nome. Ogni scelta è un duro inverno che lascia le briciole sul davanzale fino a quando la rabbia batte al vetro della camera, svegliandoci.
Non svegliatemi adesso. Finalmente posso vederci chiaro. Posso perfino sognare. La notte scorsa ho sognato la mamma. Mi prendeva in braccio e mi chiamava Lili… e c’era anche papà…
Il 13 settembre 1931 Lili Ilse Elvenes (da Einar Wegener), meglio conosciuta come Lili Elbe, morì.