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Rybolovlev ha perso la causa contro Sotheby’s, ma ha ottenuto lo stesso il suo obiettivo

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Dmitry Rybolovlev. Getty Images

Il processo di New York non aveva molte possibilità di pendere a favore di Rybolovlev, ma il collezionista russo ha raggiunto almeno in parte il suo obiettivo: fare luce sulle ombre del mercato dell’arte.

Giunge alla fine uno dei più di attesi e chiacchierati processi che hanno visto il mercato dell’arte come protagonista. O quantomeno come oggetto. Al centro della vicenda vi erano infatti il miliardario russo Dmitry Rybolovlev e Sotheby’s, con il primo che ha accusato la casa d’asta di aver favorito le frodi che il mercante d’arte svizzero Yves Bouvier avrebbe portato avanti per anni sulle spalle del collezionista, suo cliente. L’intermediario è però rimasto una figura sullo sfondo, non accusato ufficialmente e quindi citato dal tribunale di New York solo come soggetto interessato.

Nella giornata di martedì 31 gennaio, una giuria composta da dieci newyorkesi ha deliberato per cinque ore prima di votare per l’assoluzione di Sotheby’s. Un verdetto importante, anche se ampiamente preventivato. D’altra parte, la missione di Rybolovlev sembrava complessa fin dal principio: dimostrare che la casa d’asta alterasse i valori delle opere a cui il collezionista era interessato, gonfiandoli, in modo che Bouvier potesse usarli come dimostrazione della sua buona fede; quando invece, secondo il magnate russo, il mercante era solito acquistare i lavori a prezzo di mercato per poi rivenderglielo con una maggiorazione, che quindi avrebbe fatto lievitare anche la sua commissione.

Un giochino facile da intuire ma difficilissimo da dimostrare, nonostante siano state presentate e analizzate attentamente le mail che Bouvier ha scambiato negli anni con Samuel Valette, che attualmente ricopre il ruolo di capo delle vendite private della casa d’aste. Sarebbe stato lui, con i suoi collaboratori, a favorire il mercante nei suoi traffici illeciti. Che poi, quanto sono stati realmente illeciti? Esiste un valore oggettivo per un’opera d’arte? Quanto può oscillare a seconda del professionista che la analizza, o al momento in cui la analizza? Tutte domande legittime e a cui è molto difficile dare una risposta, soprattutto una che possa convincere un tribunale a condannare la casa d’aste.

Perché, di fatto, sul banco degli imputati ci è finita Sotheby’s, non Bouvier, nonostante sia stato lui, in prima persona, ad aggirare Rybolovlev. Non che il collezionista non abbia provato a denunciarlo, per carità. Negli anni Rybolovlev ha infatti accusato Bouvier di frode in diverse occasioni, in tutto il mondo, con scarso successo. Per esempio, l’anno scorso le sue accuse contro Bouvier a Singapore sono state respinte dopo che la corte ha ritenuto che la Svizzera fosse una giurisdizione più appropriata per la loro controversia. A Ginevra è però finito tutto in (quasi) nulla, con il caso archiviato dalla procura dopo che le due parti avevano raggiunto un accordo privato. L’avvocato di Rybolovlev aveva ritirato la denuncia, tuttavia Bouvier è stato condannato a pagare le spese processuali.

Il sentore che qualcosa sotto ci sia, dunque, è forte. Come forte è la sensazione che Rybolovlev non fosse interessato ad essere rimborsato (anche perché, per esempio, con il Salvador Mundi non è che gli fosse proprio andata male alla fine) o a ottenere una sentenza specifica contro Sotheby’s, quanto più continuare a rivalersi su Bouvier facendogli terra bruciata intorno. In più, in queste imperterrite cause perse in partenza, vi possiamo leggere anche una legittima sete di giustizia, come se il collezionista russo volesse ammonire il mondo: il sistema dell’arte non è per niente trasparente.

Che novità, direte voi. E avete ragione. Ma il clamore generato da quest’ultimo processo, e il grande numero di quelli intentati in precedenza, ha messo a nudo in modo plastico il funzionamento interno di alcune pratiche commerciali coltivate nell’ombra, come sono le trattative private, che negli ultimi anni costituiscono una gran parte delle compravendite di Sotheby’s e dei suoi concorrenti. Dinamiche che più che private appaiono segrete. Senza togliere la possibile malafede di chi opera nel settore, bisogna del resto ammettere che l’estrema volatilità e incertezza legata al valore economico di un’opera d’arte rende il mercato particolarmente sensibile a questo tipo di minacce.

Che fare, dunque? Innanzitutto auspicarsi che il rumore generato da questo processo porti almeno a tre conseguenze positive: molti collezionisti, dopo l’esperienza di Rybolovlev, potrebbero iniziare a mantenere un atteggiamento più cauto, a delegare meno agli advisor e vigilare in maniera più stringente sul loro operato; allo stesso tempo, i mercanti, case d’asta comprese, potrebbero limitare le operazioni in chiaroscuro vista l’esposizione mediatica a cui inaspettatamente sono stati sottoposti; infine, aspetto più cruciale ma anche più difficile da ottenere, i singoli Stati potrebbero varare legislazioni più precise ed esigere una maggiore trasparenza da tutti gli attori in causa.

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