Serena Giordano lavora dal 1980 come artista. Ha pubblicato Il Dentista di Duchamp, 15 racconti sull’arte contemporanea, Il Melangolo (Genova) (2018 e 2020); Disimparare l’arte (2012), Le Arti Applicate (2018) e, con Alessandro Dal Lago, Mercanti d’aura (2004 e 2020), L’artista e il potere e Graffiti, tutti per Il Mulino (Bologna). Infine, ancora con Dal Lago, Fuori cornice (2006) per Einaudi. Ha insegnato nelle Accademie di Genova, Venezia, Torino. Dal 2022, insegna Didattica dell’arte a Palermo.
Come nasce il corso Didattica Inclusiva 2023/2024 per L’Accademia di Belle Arti di Palermo e perché è importante?
Già da una decina di anni ero interessata al dialogo tra vedenti e non vedenti a proposito delle arti. A Palermo, ho trovato una volontà concreta di intraprendere una politica di apertura a ogni tipo di diversità. La questione più importante è il diritto di tutti allo studio. Inoltre, soprattutto in un’Accademia di Belle Arti, valorizzare ed estendere il concetto di diversità a tutti credo sia un buon antidoto al conformismo.
Quale metodologia didattica sperimenta e quali sono gli obiettivi del suo corso?
Sono contraria a qualsiasi metodo. Il metodo è fondamentalmente un pre-concetto e presuppone l’applicazione di una regola. Il metodo anticipa e sostituisce la relazione umana, esclude l’imprevisto, la contraddizione, l’errore, valori essenziali nell’interazione. Viviamo in una società pedagogica in cui a ogni genere di relazione interpersonale corrisponde una formula: consulenti per i rapporti sessuali e sentimentali, psicologi scolastici per l’avventura della giovinezza, coach aziendali per smorzare i conflitti…Non si può nemmeno morire a modo proprio. Lo trovo deprimente.
Che cosa s’intende per normalità?
“Normale” è definito chi, in virtù della statistica, incarna un ideale fisico e morale nella media, cioè nella norma, nel “giusto mezzo”. In altre parole, chi non ha il coraggio o gli strumenti per uscire dallo spazio della mediocrità. Per fortuna, è un concetto astratto e dubito che esistano individui normali.
Chi frequenta questo corso e come si relaziona con le altre Accademie italiane o istituzioni pubbliche palermitane?
Il mio corso è aperto a tutti, studenti di ogni genere, docenti, ospiti esterni. Poi ci sono i tutor ai quali è affidato un compito di grande responsabilità. La prima volta che li ho incontrati, ho chiesto loro quale obiettivo avessero. La risposta mi ha aperto il cuore: “Non servire più a nulla”. Ovvero, creare le condizioni per una totale autonomia dei cosiddetti “disabili”. Così, è nata una collaborazione e anche un’amicizia basata sulla stima. Infine, ho numerosi ospiti. A partire da coloro che ci raccontano altri diritti negati, come migranti e LGBTQIA+. Quanto ad accademie e conservatori di altre città, ovvero il settore AFAM, stiamo creando un organismo che possa essere rappresentativo delle nostre lotte contro pregiudizi e pratiche assistenzialistiche. A Palermo, ho trovato alleati preziosi nei portavoce del Disability Pride.
Oggi, la parola “inclusione” è uno slogan banalizzato in diversi progetti, si trova ovunque, ma nell’ambito delle istituzioni pubbliche a che punto siamo realmente?
Leggevo recentemente del taglio del governo dei finanziamenti destinati alla disabilità. Galli della Loggia, pochi giorni fa, scrive sul Corriere della Sera che la colpa del deterioramento della scuola in Italia è da attribuire a stranieri e disabili. Insomma, questo è il clima. Su una sempre più ipotetica altra sponda, l’ossessione del “politicamente corretto” insiste (a parole) sul diritto alla differenza come escamotage per non parlare del diritto all’uguaglianza. Difficile essere ottimisti.
Come l’arte può facilitare processi di inclusione sociale dei soggetti diversamente normali?
L’idea che l’arte abbia un ruolo concreto nella società temo faccia parte di quelle retoriche a cui accennava nella domanda precedente. Alcune grandi disillusioni di molti artisti lo dimostrano, purtroppo. Quanto ai diritti, quella si chiama lotta politica, pratica purtroppo piuttosto vintage, oggi.
Diversità, uguaglianza, giustizia sociale, libertà, sono diritti acquisiti nelle istituzioni pubbliche o sono solo utopie di propaganda politica nel periodo elettorale?
È quasi una domanda retorica. La scuola insegna ai ragazzi, fin dalla primaria, che i valori condivisi nella nostra società sono la giustizia e l’uguaglianza. Ma appena uscito dall’aula scolastica ciascun bambino sperimenta facilmente che i valori sono altri: denaro e potere. A scuola si insegna la legalità, ma spesso, fuori di lì, si nega la giustizia. E le due cose coincidono sempre meno.
Chi nomina i tutor dei disabili e qual è la loro funzione specifica?
I tutor sono nominati da una commissione che valuta i titoli, l’esperienza professionale e le motivazioni. Non chiediamo competenze psicologiche o psichiatriche. Noi non curiamo i disabili. Casomai, curiamo i normali. Quelli affetti da patologie gravissime come la paura, il pregiudizio e la diffidenza.
Quanti tutor sono in carica attualmente all’Accademia di Palermo e quanti studenti con disabilità devono seguire?
Questo è un tasto dolente. I tutor sono meno della metà di quanti ce ne occorrerebbero.
Come sono strutturati i programmi per studenti con disabilità e quali strumenti mediamente sicuri si possono affidare a loro?
Non consiglio a nessun collega di adottare programmi su misura per i disabili. Piuttosto, mi permetto di suggerire di estendere questo concetto a tutti, perché ogni studente è unico. D’altronde, il compito dell’Accademia dovrebbe essere diversificare i normali, non normalizzare i diversi. Quanto alla sicurezza, se ho capito che cosa intende, posso dire che i colleghi delle materie che comportano l’uso di sostanze o strumenti potenzialmente pericolosi sono molto attenti. E così pure i tutor che aiutano i docenti a far sì che nessuno si faccia male.
Gli studenti normali partecipano attivamente a processi d’inclusione di alcuni casi disabili in aula durante il corso. Come?
Dipende molto dal docente. Chi insegna esercita un potere, nel migliore dei casi per autorevolezza, nel peggiore per autorità. Questo potere può essere usato onestamente e dichiaratamente per suggerire la solidarietà tra gli studenti. A volte capita. A volte no. Comunque, per quanto ne so, in Accademia si crea più facilmente un’atmosfera propensa alla collaborazione e all’aiuto reciproco rispetto a quanto accade all’ università.
Può raccontarci qualche esempio di solidarietà e collaborazione attiva tra studente normale e disabile?
Non ho episodi da “Libro Cuore” da raccontare. Ma vedo che quando qualcuno esprime rabbia per le ingiustizie subite o tristezza per la solitudine forzata, tra gli studenti del corso scatta un meccanismo automatico di protezione. Motivato più dall’indignazione che da uno spirito caritatevole.
Quali obiettivi vi siete posti all’Accademia di Palermo sul tema dell’inclusività entro il 2024 e quali sono le novità che saranno sperimentate in questo anno?
Per prima cosa, volgiamo riconoscere ai tutor l’importanza del loro lavoro, sia sul piano simbolico, sia su quello economico. Poi, lavorare con i colleghi per sperimentare una didattica nuova che valorizzi ogni genere di diversità. Infine, ci impegneremo a condividere e divulgare con ogni mezzo la cultura dei diritti. Quanto ai progetti, il 26 aprile 2024 sul tema “La cecità dei vedenti di fronte all’arte”, saranno nostri ospiti scienziati, docenti, attivisti per i diritti civili e artisti. Vedenti, e non vedenti. Suggerisco a tutti coloro che sono interessati a questi temi, di vedere Crip Camp (USA 2020) un bellissimo documentario che racconta una storia entusiasmante.