Print Friendly and PDF

Progetto (s)cultura XXIX: Bruno Walpoth, l’emozione del silenzio

Bruno Walpoth © Thomas Monsorno

In una sua intervista a Ludovico Pratesi, il Cardinale Josè Tolentino de Mendonça, responsabile del Padiglione Vaticano alla prossima Biennale, ha immaginato che, nei prossimi anni, dichiareremo il silenzio “patrimonio immateriale della umanità”. Di silenzio, e di altro, discutiamo con lo scultore altoatesino Bruno Walpoth in questa XXIX puntata di progetto(s)cultura.

Sei nato in Val Gardena, patria di tanti scultori. Ti senti legato alla tua terra natale?
Molto! Anche quando studiavo all‘Accademia di Monaco di Baviera, non ho mai avuto dubbi che sarei ritornato in Valle.

Quando e come hai iniziato a dedicarti alla scultura? Ricordi ancora il tuo primo lavoro?
Da bambino mio padre, che non era scultore, mi dava spesso in mano uno scalpello, un mazzuolo e un pezzo di legno. Non facevo sculture, ma ho scoperto e imparato come si taglia il legno, una delle cose fondamentali per chi vuole cimentarsi con questa materia, difficilissima da lavorare. A 14 anni entrai in bottega e la mia prima scultura fu la copia di un calco di una mano. Ricordo benissimo.

Quali artisti contemporanei che hai personalmente conosciuto sono stati importanti nella tua formazione? Per quale ragione?
Più di tutti, il mio professore di scultura all’accademia. Lui ci teneva molto allo studio dal vero, nonostante in quegli anni (gli anni Ottanta) il figurativo fosse completamente anacronistico. “Ritornerà di moda”, mi diceva. Ed ha avuto ragione.

Hanako, 2021, noce, cm 47x44x26

Altri maestri, artisti del presente e del passato, cui ti è capitato di guardare?
Molti maestri del primo Rinascimento, in particolar modo Desiderio da Settignano, Francesco Laurana e poi Piero della Francesca e Antonello da Messina. Del presente, un fotografo americano, Jock Sturges. Basta vedere le sue foto e si capisce la ragione.

Parliamo del processo. Parti dal disegno, giusto?
No. Parto dal modello dal vero: persone, amici che conosco, o che alle volte individuo per strada. Li faccio venire nel mio studio e scatto un sacco di foto. Individuata la posa giusta, creo un modellino in scala in plastilina, scelgo il tronco e parto con la scultura, sempre in grandezza naturale.

Legno di timo, noce, olmo: questi i tuoi materiali preferiti. Qual è il tuo rapporto con il legno?
Non riesco ad immaginare materia più bella. Con l‘argilla invece, pur avendo modellato tanto, non mi sono mai trovato a mio agio. Mi ritengo un’artista del togliere più che dell’aggiungere.

Hai dei riti particolari quando scolpisci?
Quando lavoro con la modella/il modello, spengo il telefono.

Il legno è materia viva: perfetta per l’interpretazione dei caratteri, degli stati d’animo. Sbaglio o, come recita il titolo di una tua mostra non troppo recente, i tuoi lavori cercano l’emozione del silenzio?
Oggi, i rumori, le informazioni, la musica, ci perseguitano dappertutto. Il silenzio assoluto quasi non esiste più e a molti fa addirittura paura. Per me è una delle cose più affascinanti e misteriose. Mentre lavoro spesso si crea questo silenzio, quando la persona che sto scolpendo si trova assorta nei propri pensieri, creando un misto fra presenza e distanza. Cerco di cogliere e sfruttare quei momenti, così intimi, segreti e misteriosi. È nel silenzio che si coglie la presenza dell‘anima.

Anima fragile, 2018, noce, cm 107x52x58

Hai scolpito, tra le altre cose, il burattino di legno che diventa bambino nel Pinocchio di Matteo Garrone. Ti sei riconosciuto, nei panni di Geppetto? In fondo la storia di Pinocchio, reinterpretando il mito di Pigmalione, parla dell’amore tra l’artista e la sua opera…
Non sarò mai in grado di far parlare le mie sculture, come è riuscito a Geppetto [ride]. Però voglio tentare di dare un’anima ai miei personaggi, qualcosa che vada oltre la semplice forma estetica.

Esponi all’estero più che in Italia. Che cosa pensi del nostro sistema di fiere e gallerie?
Trovo le fiere molto ambivalenti. Da un lato sono una piattaforma importante per dare spazio e visibilità agli artisti. Tuttavia spesso le posizioni di qualità finiscono per perdersi nel grande “minestrone” di opere diverse. Con l’ansia di dover vendere per coprire le spese (molto ingenti), le gallerie sovraccaricano i loro stand; fatto, secondo me, controproducente.

Qual è la mostra più bella che hai fatto e perché?
Indubbiamente le due personali in Cina nel 2018/19. La prima nel Zhejiang Art Museum di Hangzhou che poi ho replicato nel Museo CAFA di Pechino. Non avevo mai esposto prima in spazi così grandi e così importanti. È stata per me una grande sfida, ma le mostre hanno avuto un ottimo riscontro.

Zhejiang Art Museum Hanzhou, Cina 2018

Come artista, che cosa ti fa paura?
Come persona, l’Intelligenza Artificiale. Come artista, che venga a mancare la voglia di scendere ogni mattina nel mio studio.

Che lingua parla, oggi, la tua scultura?
Mi piacerebbe se parlasse una lingua universale.

A cosa ti stai dedicando, a cosa ti dedicherai?
Sto preparando una mostra in una galleria austriaca vicino a Bad Ischl, che quest’estate sarà una delle tre città capitali europee della cultura. Un evento di indubbia importanza.

Commenta con Facebook

Altri articoli