Solenni e silenziose, perenni e granitiche e anche ironiche le poesie, anzi le sculture, che Gianni Caravaggio deposita sul fondo della Gam.
Luogo perfetto e silenzioso, sottomarino, interrotto solo dai passi dei visitatori, dal sospiro dei fogli sfogliati, dagli indugi tra una sosta e l’altra interrotti dai passi.
Mi fermo e mi siedo e mi godo il vuoto e il silenzio.
Due foglie di palma intrecciate davanti a me, anzi quattro, adagiate a terra in due strutture primarie di storie primordiali, di storie naturali evocate, hanno la potenza dell’arco di Costantino.
Leggere e implacabili, determinano lo spazio, assediano il silenzio, distribuiscono luce e buio.
La mostra è un continuo passaggio di figure umane in movimento, che animano il silenzio e il vuoto con il loro odore e la loro ombra. Il loro rapido passaggio.
Che siano brevi costellazioni quiete quelle che incontrano, oppure marmo e polvere d’intonaco a ottundere di nero un muro, o foglie fermate per sempre nel loro essere grazie al bronzo, o rami inquieti ma fissi, o ciuffi d’ananas timidi o zucchero a velo che spolvera colonne tozze di marmo verde, qui l’eternità fa da padrona.
Eternità che può sparire in un soffio, proprio come la nostra (bizzarra, insulsa, divertente) vita.
I sussurri divertiti dei custodi distraggono per un attimo il silenzio e ci riportano a tutta la vaghezza dell’umano, che qui scompare, rarefatta dalla precisione del gesto di Gianni Caravaggio. Che scava il vuoto con precisione, che ci avvita lo sguardo nelle sfere di vuoto che annidano risme intonse di carta e lo concentrano nella precisione intera di due lenticchie.
Nel tempo tirato da due pugni di onice che non ne vogliono sapere di allentare la tensione.
Annulla l’umano Caravaggio, se non per restituirci un’occhiata furtiva sulla sua gioventù, un rimorso forse?
Gianni Caravaggio, anzi le sue opere, ci impongono il tempo, nella sua magica interezza, nel suo timido presente che va davvero scoperto nella sosta che ogni opera richiede. Per sorprenderci, per richiamarci a noi stessi e a lei, per benedirci.
Noi siamo qui e voi, siete, brevemente, qui con noi, sembrano dirci.
Brevemente a chi?
Brevemente.
Furtivamente, esco e mi lascio un brillio di presente brillare, per sempre, nella memoria dell’opera. Grazie Gianni.