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Beckett secondo Terzopoulos, The last of Godot

PH © Johanna Weber
PH © Johanna Weber

Fino al 10 marzo, il capolavoro del drammaturgo irlandese Samuel Beckett Aspettando Godot va in scena nella personale lettura di Theodoros Terzopoulos al Teatro Grassi di Milano come un’attesa di sangue e angoscia 

Nelle mani del maestro greco Theodoros Terzopoulos “Aspettando Godot” di Samuel Beckett diventa tutta angoscia e cupa tragicità.  Ambientato fra le “rovine del mondo”, in un futuro più o meno vicino a noi, dove tutte le ferite del presente e del passato sono aperte, si concentra sull’assurdità dell’esistenza umana e sulla vana attesa di un futuro migliore, in un contesto di guerra e di violenza.

Il suono di una sirena si ripete sotto al chiacchiericcio degli spettatori che a malapena lo notano. Inquietante. Monotono. In loop. È già subito tutto molto beckettiano prima dell’inizio dello spettacolo. Dal buio emerge poi un’installazione mobile: una scatola nera con quattro pannelli quadrati che  scorrono in orizzontale e in verticale (e qui è evidente un rimando all’amico e per tanti anni collaboratore Jannis Kounellis) fino a formare una croce luminosa. Una metafora che ritornerà nella croce in legno retta da Pozzo per accentuare ancora una volta il peso della solitudine.

Un minimalismo che riguarda anche l’albero di Beckett ridotto a un bonsai in prossimità del proscenio. Terzopoulos scava a fondo nel testo beckettiano, esplorando le tematiche dell’assurdità dell’esistenza, dell’attesa vana e del rapporto con l’Altro.

L’Altro, che sia Vladimiro per Estragone o viceversa, assume una valenza universale, rappresentando le diverse sfaccettature dell’animo umano. In un continuo gioco di opposti, l’anelito animale si contrappone alla tensione divina, la follia al sogno, il delirio all’incubo. Terzopoulos ci invita a guardare l’Altro dentro e fuori di noi, a confrontarci con le nostre paure e le nostre contraddizioni. Attraverso la lente di Godot, mettiamo in discussione la nostra stessa (dis)umanità, la nostra capacità di comunicare e di relazionarci con il prossimo.

Lo spettacolo non offre risposte facili, ma ci lascia con una serie di interrogativi a cui ognuno di noi deve dare un senso che, come dimostrano in più occasioni  i protagonisti, la vita è una danza macabra a colpi di fendenti. La regia di Terzopoulos è precisa e puntuale, capace di cogliere le sfumature più sottili del testo beckettiano attraverso il ritmo, le scelte musicali (l’Agnus dei), gli incespicamenti e perfino la salivazione ma soprattutto l’uso del corpo dell’attore su cui si riversa tutta la drammaticità dell’esperienza umana e letteraria.

I protagonisti, Vladimiro ed Estragone, i cui attori riescono a tradurre perfettamente il tormento, sono vestiti di abiti laceri e insanguinati, come del resto risultano perfettamente credibili anche nei loro deliri Pozzo, Lucky e il Ragazzo. La regia, originale e potente, si confronta con la precarietà della vita e la ricerca di un significato in un mondo dominato dall’assurdità.

 

Aspettando Godot
di Samuel Beckett
copyright Éditions de Minuit
traduzione Carlo Fruttero
regia, scene, luci e costumi Theodoros Terzopoulos

5 – 10 marzo 2024
Teatro Grassi

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