ARCO Madrid ha aperto la sua 43esima edizione (fino al 10 marzo 2024) all’insegna dell’identità latina che la contraddistingue. Le gallerie, locali e internazionali, sono allineate in una spinta propulsiva, sfidando lo stile global
Accoglie i giornalisti con un sorriso, e si scusa per i dieci minuti di ritardo – nel giorno di apertura della fiera ai soli addetti ai lavori: Maribel López è la direttrice di ARCO Madrid dal 2019 e sotto la sua mano la manifestazione fieristica più importante della penisola iberica non solo non ha perso un colpo, anzi, ha aumentato di anno in anno il suo appeal e non ha annullato nemmeno un’edizione all’epoca del Covid.
Basterebbero queste scarne premesse per raccontare di ARCO come di una delle fiere più vibranti che ci sono sulla piazza e invece, Maribel, spiazza: «La fiera non è globale, e non lo vuole essere: ARCO è una manifestazione che abbraccia una vasta area geografica ma ha un’identità latina molto forte e non c’è nulla di male nel mantenerla». E ancora: «I numeri ci interessano poco; alcuni anni sono presenti 200 gallerie, altre volte 220, alcune edizioni ne hanno contate 180, ma ciò non significa nulla per la buona riuscita della fiera. Quest’anno, se dobbiamo dirla tutta, abbiamo avuto una “lista d’attesa” per diverse gallerie perché abbiamo ricevuto circa 80 richieste di partecipazione in più degli anni precedenti».
Sintomo, insomma, che ARCO si fa apprezzare per la sua composizione e – come fanno notare diversi galleristi – per l’ottimo VIP program che riempie i corridoi già dalle primissime ore: 350 sono i collezionisti e 160 i “professionisti” (tra curatori, direttori di musei, giornalisti e sponsor vari) invitati dalla fiera.
Una fiera che, curiosamente, si mantiene anche fuori dall’ossessione delle “sezioni”: ad ARCO non vi sono decine di colori sulla mappa a indicare la differente offerta delle gallerie, il che genera nel pubblico e anche negli addetti ai lavori una sorta di rilassatezza: tutte le gallerie sono uguali anche a livello di prezzo al metro quadrato (330 euro), escludendo la ventina di che partecipa alla sezione “Opening” – l’unica parte dedicata alle realtà che arrivano ad ARCO per la prima o la seconda volta – i cui stand costano, l’uno, 6500 euro. Fine.
Decisamente più vasti del comune, ecco la nostra ricognizione tra gli stand dell’IFEMA – la fiera di Madrid.
ARCO Madrid 2024: la fiera
Ogni anno, come accade in diverse manifestazioni, ARCO sceglie di “promuovere” un territorio, e quest’anno il tuffo è nel Mar nei Caraibi: in “La orilla, la marea, la corriente: un Caribe oceánico”, a cura di Carla Acevedo-Yates e Sarah Hermann Morera, le gallerie presenti sono una ventina, arrivate a Madrid senza sponsorizzazioni diplomatiche o programmi istituzionali – come ricorda la direttrice – ma semplicemente accettando l’invito di ARCO per rappresentare un luogo che – si legge nella comunicazione – è un continente di collettività dove tutto si lega all’acqua. I Caraibi, anche qui, diventano fisicamente un’isola nel grande mare della fiera, dove le opere sono in vendita e dove vale la pena nominare Joiri Minaia, presentata dalla Praise Shadows Art Gallery di Brookline, negli Stati Uniti. Joiri, domenicana, con un’operazione tra pop e denuncia riscrive il gesto del creare l’onda immergendo i capelli nel mare e alzando la testa di scatto: l’artista ricrea l’azione in un seminterrato americano utilizzando acqua nera, imprimendo quel che resta della scena su un gigantesco asciugamani bianco, accanto al quale l’immaginario mondo turistico dei Caraibi trova la sua più stereotipata espressione in centinaia di “cartoline” colorate.
Quisqueya Henríquez, rappresentata da David Castillo, in un’azione performativa offre al pubblico un cucchiaino di gelato azzurro che ci si aspetterebbe dolce e che invece è realizzato proprio con acqua del mare dei Caraibi: agli sguardi e ai palati perplessi di chi sceglie di provarlo non resta che riconoscere che, anche in questo caso, il luogo dei sogni spesso mantiene ben distinte la realtà e l’idea che gli appartiene.
Tra le gallerie italiane presenti ci sono Pinksummer di Genova, che con Tomás Saraceno vincono il premio inaugurale della Fondazione Arte CRT Acquisition Prize ad ARCOmadrid. L’opera di Saraceno entrerà nella collezione della Fondazione Arte CRT e andrà in prestito pluriennale alla GAM di Torino.
Paola Capata, titolare di Monitor (che ha una delle sue sedi anche a Lisbona) ci parla di ARCO come di una fiera imprescindibile per chi vuole posizionarsi a queste latitudini e la sua scelta, da qualche tempo, è affiancare artisti portoghesi con italiani: bella l’installazione dell’artista Maja Escher, Percurso invisível em zig-zag (un ensamble di oggetti di terracotta, cera e canne) che dialoga con le sculture di Lucia Cantò e le pitture di Elisa Montessori e Eugénia Mussa.
P420 sceglie di allestire un solo show dell’artista scozzese Merlin James, mentre Gilda Lavia, alla sua seconda partecipazione e per questo ancora nella sezione Opening, a sua volta punta sull’italiana Gabriella Ciancimino e sulla brasiliana Élle de Bernardini, rimarcando la potente energia che si respira ad ARCO, mentre i corridoi si riempiono vertiginosamente come in alcune fiere non accade nemmeno nelle migliori domeniche.
Tra ottima pittura segnaliamo le madrilene El Apartamento, con le opere di Nacho Martin Silva e anche la MPA – Galería Moisés Pérez Albéniz, con un grandissimo dipinto di Juan Ugalde e una curiosa scultura dal timbro decisamente pittorico di Guillermo Mora.
Lehmann-Silva di Porto espone le pittura a tema omoerotico di João Gabriel che, data la loro dimensione azzardata per un tema del genere, riescono ad andare ben oltre all’aspetto voyeuristico delle migliaia di variazioni sul tema che abbiamo visto negli ultimi anni.
C’è poi Helga de Alvear con Elmgreen & Dragset e, forse la più curiosa dalla fiera, la galleria José de la Mano, sempre di Madrid, che porta in scena un bellissimo stand molto ricercato sugli artisti che fecero parte della Movida della capitale spagnola, quel frenetico periodo degli anni ’80 in cui si cercava il riscatto dopo la fine della dittatura di Franco. Per chi non è appassionato alla causa si tratta di nomi che possono essere di nicchia (Costus e Carlos, Forns Bada, Julujama e Rodrigo) ma nell’economia della fiera evidenziano quel che si dice un vero e proprio stand curato e di ricerca, che offre al pubblico anche un vero e proprio catalogo del “movimento” stampato in formato di quotidiano.
…E se in tutto questo vi state chiedendo dove sono le gallerie “top”, ecco alcuni nomi: Perrotin, Dvir, Esther Schipper, Chertlüdde, Chantal Crousel che espone tre nuove produzioni di Aurora & Calzadilla ispirate proprio ai Caraibi, tra cui Grafts, installazione composta da migliaia di fiori di Tabebuia Heterophylla in sette variazioni di colore in base allo stato di decomposizione, buttati al suolo come se un soffio di vento li avessi portati negli angoli dello stand…E poi Mendes Wood, Peter Kilchmann, Lelong…
A fare il pari con il Caribe, sul lato opposto, il settore latino: “Nunca Lo Mismo, Arte Latinoamericano” di cui fanno parte tra le altre la brasiliana A gentil carioca che espone la più recente produzione di Denilson Baniwa, curatore del Padiglione indigeno brasiliano alla prossima biennale, e la collaborazione tra Millan (San Paolo) e Richard Saltoun per Daiara Tukano e i suoi lavori pittorici in bianco e nero.
Da segnalare, infine, le big della città che – anche fuori dalla fiera – stanno offrendo mostre di eccellente qualità: c’è Pedro Cera di Lisbona, per esempio, che a Madrid ha appena aperto la sua seconda sede e, dopo aver raccolto la real estate di Julião Sarmento, si pone oggi come una delle più interessanti e potenti gallerie della penisola iberica; Elba Benítez nella sua sede madrilena in calle de San Lorenzo 11 offre una splendida mostra dell’artista cubano Carlos Garaicoa. Allo stesso civico c’è anche la sede spagnola della galleria colombiana La Cometa, qui con un lavoro struggente del fotografo Miguel Ángel Rojas che rappresenterà la Colombia alla prossima Biennale di Venezia, mentre Albarrán Bourdais inaugura la collaborazione con l’artista portoghese Pedro Cabrita Reis offrendogli carta bianca per la sua installazione site specific Museum, un congiunto di dipinti di paesaggio interconnessi con tubi di acciaio e luci al neon, a sottolineare precarietà, illusioni e impossibilità di creare discorsi “finali” sull’arte e la cultura, nonché sull’esistenza umana. Da una parte e dall’altra, insomma, da non perdere!