Vincenzo de Bellis, ex direttore di miart e Curator and Associate Director of Programs, Visual Arts at the Walker Art Center di Minneapolis, dal 2022 è Director, Fairs and Exhibition Platforms di Art Basel. L’abbiamo intervistato in occasione della giornata First Choice della fiera, al Convention Center di Hong Kong.
Noah Horowitz, CEO di Art Basel, apre la presentazione stampa di Art Basel Hong Kong 2024 infilando una serie di “ritorni” di successo; questa edizione nella città cinese è la più grande dal 2019, con un incremento del 47 per cento di partecipazioni in più rispetto all’anno scorso, tra cui si segnalano Kurimanzutto, Franco Noero, Sprüth Magers: un vero rinascimento per la fiera che riapre a tutto il mondo. Anzi, è tutta la città che riapre al mondo, con il museo M+ e West Kowloon, il Summit HKICS e tutti i programmi che stanno accompagnando questa edizione, comprendendo anche le aste. E se l’economia che qui – ricordiamolo – ha riaperto a inizio 2023 è ritornata immediatamente ai fasti di un tempo, la comunità dell’arte – stando sempre alle parole di Horowitz – è rinvigorita da una nuova generazione di collezionisti. Per la direttrice di Art Basel Hong Kong, Angelle Siyang-Le, il 2024 segna una riconnessione, a partire dagli ospiti della fiera che arrivano da 40 Paesi e dalle oltre 200 gallerie che di nuovo hanno scelto Hong Kong per mostrarsi al grande bacino oceanico e del sudest asiatico. E sono 11 infatti le nuove gallerie partecipanti dall’Asia, portando la Cina ad essere il secondo mercato nel mondo per quanto riguarda l’economia dell’arte, dopo gli Stati Uniti, in crescita del 9 per cento con 12.2 bilioni di dollari. Un eldorado vero per davvero? Lo abbiamo chiesto, appunto, a Vincenzo de Bellis.
Per cominciare, ci racconti più nel dettaglio il tuo ruolo ad Art Basel? Qual é il “lavoro quotidiano”?
Tecnicamente potrei essere definito global director, perché dirigo tutti i direttori di tutte le fiere, ma senza avere una operatività quotidiana su ognuna di loro che è, invece, compito dei singoli direttori: Clément Delépine a Parigi, Maike Cruse a Basilea, Angelle Siyang-Le a Hong Kong e Bridget Finn a Miami, la cui prima fiera sarà a dicembre. Noah Horowitz è Art Basel CEO, un’evoluzione del ruolo di Marc Spiegler come Art Basel’s Director Global. Tutti lavoriamo per il gruppo MCH, dove siamo oltre 150.
Sei un supervisione…
O un superdirettore! [ride] E mi occupo anche dello sviluppo di altri progetti, come la Art Week di Tokyo: ecco le “piattaforme espositive”…
…E Tokyo fa parte di Art Basel?
Si, è organizzata da un’associazione di gallerie che si chiama proprio Art Week Tokyo per la quale noi curiamo la settimana dell’arte offrendo una parte di programmazione, una di contenuti, una di VIP program. Abbiamo una persona che se ne occupa quotidianamente, ma la gestione è mia.
Come si trasforma una fiera che deve seguire – ma si accettano smentite – le regole rigide dello stand e della vendita, in una situazione “esperienziale”, quella che tutti sembrano ricercare da un capo all’altro del mondo?
Questa è una domanda molto difficile. Ovviamente, come dici, l’oggetto principale della fiera è vendere, ma alla lunga l’esperienza tradizionale della fiera, che ha più di cinquant’anni, stanca. Credo che le fiere si trasformino coinvolgendo molto di più le città: Art Basel ha iniziato con la sezione Unlimited, poi con Parcours, con le opere in esterno a Miami…Le fiere sono destinate a diventare una sorta di festival che coinvolge tutta la città, e il rapporto con i musei è fondamentale. Ecco, forse l’Art Week è l’evoluzione della fiera, ma non penso che basti questo e infatti uno dei miei obiettivi è evolvere tutte queste condizioni. Ancora, però, non ci siamo arrivati.
Basilea, Miami, Parigi e Hong Kong hanno ognuna una attrattività, un appeal e una potenza molto diverse. Come si differenziano quindi le quattro Art Basel?
Abbiamo avuto una sbornia di “globalità” nelle fiere, ma oggi a mio avviso si sta tornando ad una “regionalità”. Quello che noi abbiamo iniziato a fare su ognuna delle fiere è ragionare sul numero di gallerie che rappresentano meglio il territorio. Le fiere devono diventare lo specchio delle città che le ospitano, e non viceversa. Ovviamente è un percorso lungo, e il motivo per cui le città vogliono lavorare con Basel è perché portiamo globalizzazione, ma io penso che il nostro ruolo sia anche aiutare la scena locale. Per questo siamo molto interessati a dialogare sempre di più con le realtà territoriali, per mostrare qualcosa che altrove non si vedrebbe. Insomma, ciò che si inizia con un approccio globale si può modificare per rendere giustizia alle specificità, e noi dobbiamo essere specchio del mercato e sul mercato.
A proposito: ho letto che le fiere sono tornate ad essere circa 400 nel mondo. Non è un po’ complicato far funzionare tutte queste realtà? A quali strategie si può ricorrere?
È impossibile infatti. Il mercato non è abbastanza grande, nonostante ci siano vari “mondi dell’arte”. E siccome c’è anche un po’ di contrazione, io penso vi sarà un bilanciamento generale nei prossimi anni…
Parlando di Hong Kong, anche a proposito di contrazione: siamo ancora nel “posto migliore del mondo” o più a oriente ci sono altri dragoni, da Tokyo – appunto – a Seoul, che sono pronti a ruggire più forte?
Hong Kong è – nel presente – il luogo maggiormente pronto a soddisfare il mercato asiatico per una serie di caratteristiche storiche; da sempre questo è luogo di trading. La Corea, il Giappone, il Sud-Est Asiatico stanno crescendo tanto, e rafforzano non solo il territorio ma portano anche collezionisti a Hong Kong; è una testimonianza del fatto che vi è uno scambio di influenze ottime. Poi è vero che tutte, tutte, tutte le fiere hanno un ciclo di vita, ma io – a prescindere dagli spot – credo che Hong Kong sia ancora il luogo con più forza nel continente asiatico.
Facciamo un po’ di gossip: quali sono i collezionisti tipo delle quattro Art Basel?
[ride] Sono tutti diversi. Il collezionista di Basilea è molto sofisticato, europeo, grande conoscitore dell’arte, e non vuole apparire. Ha una certa età, con grandi possibilità economiche non sbandierate. Il collezionista di Miami è un po’ più giovane, ma non giovanissimo. Anche se ostenta, di fatto è colui che ha cambiato coi suoi modi di fare quel che oggi succede nel mondo durante le art week: Miami è stata la prima ad aprire alle visite delle collezioni private in città, per esempio, offrendo quella spinta di “eventi” che oggi qualsiasi città che ospita una fiera deve preventivare. Il collezionista di Miami è tipicamente americano, molto spesso sudamericano. Il collezionista di Hong Kong è cinese (quasi esclusivamente) e orgogliosamente asiatico, sulla trentina, e vuole rendere globale l’arte del suo continente. Le sue possibilità sono infinite, è improntato al futuro e si destreggia bene con tutto quello che è tecnologia. Il collezionista tipo di Paris + è parigino, simile a quello di Basilea, ma il suo obiettivo principale è collezionare artisti francesi.
Ultima domanda: a quale fiere guarda Art Basel?
Tutte, da Tefaf a Zona Maco, da Artissima a Frieze. Saremmo sciocchi a non guardarle. E poi sai, io sono un prodotto di miart e Marc Spiegler – alla mia prima edizione come direttore a Milano – arrivò e mi disse: “Un giorno lavoreremo insieme”. E non lo sto dicendo perché sono bravo, ma per raccontarti quanto Marc fosse attento alle altre manifestazioni. D’altronde ci sono stati direttori che hanno cambiato il modo di farle queste fiere, anche in Italia. Ad Art Basel i cambiamenti immediati sono impossibili, ma è certo che le nostre colleghe ci “raccontano” tantissime cose.