“Più intelligenze concorrono a generare qualche cosa che si modifica nel tempo, producendo un ambiente attraversato da contingenze e accidenti. Una volta instaurato un ambiente lo lascio sviluppare con una sua «agenza» o «senzienza». È un’alterità che ci percepisce e appare secondo il suo gusto. L’esposizione è un rituale che sfugge a una percezione asimmetrica, per questo cerco di creare entità che non hanno bisogno dello sguardo di qualcuno per esistere. Se il visitatore, testimone, modifica con la sua presenza un ambiente, quest’ultimo può ugualmente mutare senza di lui”.
In un’intervista del 2022 l’artista francese Pierre Huyghe parla della sua ricerca, protagonista della sua mostra Liminal, curata da Anne Stenne, aperta fino al 24 novembre nella sede della Collezione Pinault a Punta della Dogana. Per la prima volta questi spazi sono stati trasformati da un artista in un luogo “altro”, immerso in un’oscurità semi totale, che aumenta il carattere esperienziale della visita. A Venezia Huyghe ha immaginato uno spazio dinamico, una sorta di microambiente in continua evoluzione popolato da creature umane e non umane, che si evolve durante la durata dell’intera mostra: un organismo vivente, coinvolto in una sorta di rituale imprevedibile di mutamento della realtà.
Un percorso distopico, che conduce il visitatore nell’era del Post-Antropocene, già descritta da alcuni autori che hanno ispirato l’artista come Philip K. Dick, Jorge Luis Borges, Raymond Roussel, Adolfo Bioy Casares e Tristan Garcia. Il viaggio comincia nella sala d’ingresso, occupata da tre opere: Estelarium (2024), il calco in basalto di un ventre umano gravido poco prima del parto, Portal (2024), un’antenna sensoriale di segnali ed informazioni impercettibili e Liminal (2024) , la proiezione ambientale di un personaggio vuoto , senza cervello e volto e privo di identità: “un esperimento, la simulazione di una condizione umana speculativa” spiega l’artista. Tutta la mostra appare giocata come un itinerario fisico e mentale in un universo dove esseri umani, specie animali e entità digitali appaiono ibridate e contaminate tra loro, con effetti davvero inquietanti. Come nel caso di Idiom (2024), una lingua sconosciuta autogenerata da maschere dotate di sensori ed indossate da alcuni performer che si incontrano in maniera casuale e inaspettata nelle diverse sale della mostra, che dialogano con la maschera indossata dalla scimmia protagonista del video Human Mask (2014), che si muove all’interno di un ristorante abbandonato nella zona di Fukushima, in Giappone, dopo la catastrofe nucleare del 2011. In un’altra maschera femminile, copia della scultura Musa dormiente (1910) di Costantin Brancusi , vive il granchio eremita, protagonista dell’opera Zoomdram 6 (2013), uno dei quattro grandi acquari che occupano una delle sale più inquietanti della mostra, abitati dagli “Astyanax Mexicanus”, pesci ciechi che vivono nelle profondità di alcune grotte del Messico.
Nella sala centrale di Punta della Dogana il film Camata (2024) catapulta lo spettatore nel cuore del deserto di Acatama in Cile, dove alcune macchine robotiche sembrano compiere un rituale misterioso intorno ad uno scheletro ripreso da telecamere secondo modalità generate da sensori collegati con intelligenze artificiali. L’assenza totale di presenza umana caratterizza anche le installazioni allestite al piano superiore, come Offsprings (2018), il sistema autogenerante composto da sensori, luci e suoni, e soprattutto De-extinction (2014), il film girato con telecamere microscopiche all’interno di una pietra d’ambra, alla scoperta delle tracce di vita imprigionate nella resina fossile, girato con telecamere microscopiche e macroscopiche.
Il viaggio nel futuro si conclude nell’ultima sala , allestita con tre opere. La prima è UUmwelt-Anniee (2018-2024), che consiste in un grande schermo dove vengono proiettate immagini mentali, prodotte dall’incontro tra un’intelligenza umana e una inumana; seguita da Cancer Variator (2016), una sorta di orologio alimentato da cellule tumorali, mentre Mind’s Eyes (2024) è una scultura composta da un’immagine mentale abbinata ad un aggregato di materiali sintetici e biologici in continua evoluzione. “Liminal indica uno stato di soglia – spiega Huyghe – significa non trovarsi né su una riva, né su un’altra del fiume. È un passaggio, uno stato fluttuante”. Molto più che una mostra: un percorso sul complesso crinale tra presente e futuro, in un mondo dove la razza umana potrebbe non esistere più.