ATHENA | Le presenze femminili delle Biennali\Triennali di Monza\Milano 1923-1940. In libreria le storie delle donne pioniere dalle arti applicate in Italia
Dopo la ricerca e la pubblicazione del volume dedicato alle protagoniste del Bauhaus, 494-Bauhaus al femminile, Anty Pansera e Mariateresa Chirico tornano in libreria con un nuovo volume che racconta le donne del design, concentrandosi questa volta sulle Biennali e Triennali di Monza e Milano. In questo nuovo volume, ATHENA | Le presenze femminili delle Biennali\Triennali di Monza\Milano 1923-1940 (Nomos edizioni), le due autrici non si limitano a ricomporre l’elenco delle artiste (scultrici, architette, ricamatrici, disegnatrici…) comparse nei cataloghi delle esposizioni, ma attraverso un minuzioso lavoro di ricerca ne hanno ricostruito esperienze e biografie. Questa indagine è stata condotta sui cataloghi delle prime sette Biennali/Triennali di Monza/Milano, in moda da poter ricostruire, attraverso una tabella riepilogativa, la collocazione delle espositrici negli spazi della Villa Reale di Monza e del Palazzo dell’Arte di Milano, dove queste prime edizioni si sono svolte. A questo lavoro si somma il controllo incrociato con la documentazione dell’Archivio fotografico della Triennale e con le pubblicazioni d’epoca, come le riviste Emporium e Domus, fonte essenziale per l’identificazione di queste donne, del loro lavoro e del loro impatto.
Da questa ricerca sono emersi così legami e relazioni in grado di restituire un panorama più articolato e “tridimensionale”. Nel volume sono elencati 463 nomi: 70 fanno riferimento a scuole, ditte, istituzioni; 393 a persona, di questi 31 non compaiono nei cataloghi delle manifestazioni ma sono emersi da altre fonti. Si tratta di un libro ricchissimo che restituisce la complessità e la varietà dell’apporto creativo delle donne nel settore delle arti applicate.
I saggi presenti nel libro si concentrano su alcuni temi utili alla comprensione di queste vicende artistiche. Ne emerge uno scenario in cui le donne lavoravano con grande vitalità nella vita culturale e sociale di quegli anni, con numerose presenze anche di artiste e artigiane straniere: quello che viene a galla è un mondo fitto di scambi. Tra gli approfondimenti anche un intervento che ricostruisce la situazione delle scuole d’arte e della frequenza femminile ai corsi di studio, partendo dalla fondazione dell’Accademia di Belle Arti di Brera, voluta da Maria Teresa d’Austria per «sottrarre l’insegnamento delle belle arti ad artigiani e artisti privati, per sottoporlo alla pubblica sorveglianza e al pubblico giudizio», già frequentata da donne anche quando non era ufficialmente loro concesso (solo alla scuola di Paesaggio però!). Tra il 1806 e il 1891 in Accademia si contano 235 studentesse, che espongono anche alle mostre annuali dall’ateneo; sono il 5% del totale degli iscritti.
È nel 1905, poi, che nasce la Scuola Professionale Femminile ad opera dalla Società Umanitaria (l’istituto filantropico fondato a Milano nel 1893 da Prospero Moisè Loria e promotore tra le altre cose proprio delle Biennali d’Arte di Monza, poi Triennali di Milano), uno dei punti di snodo per l’emancipazione femminile in Italia. Il mondo delle scuole, pubbliche o private, che va a delinearsi negli anni successivi diventa particolarmente importante in relazione a quello delle esposizioni d’arte applicata e design, che sulla spinta di quanto teorizzato anche da William Morris, devono affrontare temi di utilità e quotidianità, al servizio di un’arte totale in grado di caratterizzare con praticità ogni aspetto della vita e del lavoro. In particolare, tra il 1923 e il 1940, dapprima con cadenza biennale e poi triennale, si tengono presso la Villa Reale di Monza e la Triennale di Milano una serie di esposizioni che già contengono il primo nucleo di quel design destinato ad affermarsi nel dopoguerra.
ATHENA | Le presenze femminili delle Biennali\Triennali di Monza\Milano 1923-1940 guida il lettore attraverso le sale di queste esposizioni mettendo l’accento sulle presenze femminili che, in qualità pittrici, scultrici, architette (ma non solo) hanno dato il loro contributo artistico e creativo. Tra le altre, “La prima architetta che incontriamo nel contesto monzese è Luisa Lovarini, diplomata all’Accademia di Belle Arti di Bologna, artefice della nota Casa del dopolavoro, presentata alla IV Esposizione biennale delle arti decorative e industriali di Monza del 1930, creata ed arredata interamente da lei, sponsorizzata (diremmo oggi) dall’Opera nazionale dopolavoro del governo fascista“, nel 127 è presente poi Elena Campi, prima donna architetta a pubblicare su Domus. Tra le scultrici, la tedesca naturalizzata italiana Jenny Wiegmann (o più semplicemente Genni), che espone nel 1933, 1936 e 1940 – È in questo periodo che la casa-atelier di Gabriele Mucchi e di Genni diventa un punto di ritrovo di letterati e artisti che si riconoscono nel realismo e nell’antifascismo di Corrente. Nel 1940, la rivista viene chiusa per diretto ordine di Mussolini, ma l’intervento censorio funge da acceleratore del movimento di denuncia e di polemica del gruppo.
Ci sono poi stiliste artigiane del tessile, che presentano abiti e tessuti, come Rosa Menni che nel 1925 presenta capi per signore e “Le stoffe della rosa, per abbigliare ma anche per arredare“, Emilia Pattay Mazzucotelli e Rina Zanoncelli (le sorelle Testa) che espongono nel 1927 scelte dal Comitato dell’alta moda della Federazione fascista. Ci sono poi numerose designer, arredatrici, ceramiste… Solo cinque invece le artiste del vetro che partecipano a queste esposizioni.
Restano moltissimi i campi di ricerca aperti, da scandagliare ci sono ancora archivi di famiglia, privati… o nascosti: “Conducendo le ricerche si sono aperti infiniti scenari, non solo strettamente connessi alle vicende artistiche, ma che rimandano al mondo della cultura e ad avvenimenti storici, sono legati ad aspetti di una società in cambiamento, affiancano tappe importanti della vita del XX secolo. […] È curioso notare che molte sono di origine statunitense, portatrici di un’ondata di modernità, in una società, come quella italiana, ancora molto tradizionalista. Esse si sono spese con forza e determinazione, investendo anche ingenti somme per favorire l’affrancamento delle donne e sono diventate attente conoscitrici della nostra cultura e delle nostre tradizioni artigiane“.