L’ottava opera di Puccini, La Rondine, è tornata alla Scala dopo trent’anni grazie all’amore di Riccardo Chailly per il compositore toscano, unito alla sua diligenza critica. Un’opera le cui quotazioni sono oggi decisamente in ascesa rispetto al passato, proprio per l’approfondimento di un apprezzamento critico molto cresciuto negli ultimi decenni. Nella sua piena maturità, Puccini mette in luce l’interesse nel cimentarsi nell’ambito, notoriamente difficile, della commedia.
Indubbiamente La rondine è una delle poche commedie liriche autentiche dell’ultima stagione del melodramma e si può affermare sia pienamente riuscita a dispetto delle difficili circostanze in cui nacque. Una trama che si contrappone all’antecedente inaggirabile della Traviata verdiana: Magda, protagonista de La Rondine, è la regina del salotto parigino del suo amante facoltoso Rambaldo; conosciuto un giovane di sani principi, sceglie l’amore puro. Ma la sua è solo una scappatella: lascerà in lacrime il povero Ruggero per tornare al suo nido parigino.
Da un punto di vista musicale l’opera, prima tra le ultime tre di Puccini, esprime in maniera inequivocabile lo stile tardo del compositore, anzi ne è la pietra miliare. Si regge su un’ossatura semplice, in una ricerca di trasparenza sorretta dal ricorso all’impalcatura tradizionale. É un’opera stravagante, disincantata anzichè accorata, leggiadra più che appassionata e non si conclude con una grande scena catartica, ma esattamente al contrario. É lo specchio di un Puccini che in quel momento storico afferrava al volo le opportunità che gli venivano offerte dalle circostanze. Possiamo azzardare un Puccini che sceglie di travestirsi, essere un altro fuori da sé. Il tema del denaro è cruciale sia nella genesi che nel plot. Il bisogno di evadere e di essere altro da sé è anche quello che muove Magda ad indossare i panni di Paulette. Quest’opera dunque mostra in filigrana la guerra dei caratteri umani che, se cambiano, è soltanto in superficie. Un’opera che stende una pietra tombale sul mondo bohèmien di Rodolfo e Mimì.
Ma in Puccini vi è anche un’altra intenzione: quella di comporre una musica “abbastanza graziosa”, “ leggera” e “ chiara come l’acqua di primavera” da contrapporre alla “musica ostica moderna”. I piccoli valzer presenti ne La rondine sono una componente essenziale della sua linea creativa. Peccato che il valzer in quel periodo sia già un po’ appassito proprio come sentenza il pratico Rambaldo.
La direzione di Riccardo Chailly è vigorosa, capace di mettere in risalto l’estrema raffintezza dell’orchestrazione, forse la più sofisticata del compositore. I tempi di valzer non sono affatto viennesi, ma hanno il sapore di fox-trot, tango, polka. Chailly sembra aver preferito privilegiare i momenti più fragorosi della partitura a discapito dei tanti passaggi sospesi che richiedevano maggiore levità. Senza dubbio sotto la sua bacchetta vi si ammira però una musica brillante, leggera ed ironica con una bella spruzzata di cinismo. L’orchestra scaligera è vaporosa, con un ben sottolineato sentimentalismo che non sfocia mai nell’enfasi. Ottima nel finale sospeso che descrive la pena e lo strazio dell’abbandono.
Riguardo il cast dei cantanti emerge senza dubbio Mariangela Sicilia, dalla vocalità agile e controllata, che con la sua emissione omogenea nei registri, che percorre con impegnativi saliscendi, dà al personaggio di Magda lo spessore richiesto; perfettamente nella parte e quindi a suo agio anche Rosalia Cid, nei panni di una Lisette stile Marilyn Monroe. Meno forti e carismatici gli interpreti maschili: Giovanni Sala nel ruolo del poeta Prunier sembra una figurina da avanspettacolo, mentre Matteo Lippi, malgrado il bel timbro, la bella proiezione e gli squilli significativi, appare impacciato nei panni di Ruggero. Meglio Pietro Spagnoli, un Rambaldo signorile che accetta il tradimento col profetico “Possiate non pentirvene!”, un ricco borghese non troppo snob, umanamente comprensivo nonché rassegnato.
La regia di Irina Brook, ampiamente buata alla fine, ha scelto di dare all’opera pucciniana una veste da music hall di cui è appassionata, proponendo una scenografia naïve da spettacolo di provincia, che si svela al pubblico già molto prima che parta la musica. A sipario aperto si muovono attrezzisti, sarte, boys multicolori alla Broadway al trucco, ballerine alla vestizione che in seguito saranno impegnate nelle poco interessanti coreografie di Paul Pui Wo Lee. Ma la cosa che più lascia perplessi è l’inserimento di un personaggio inesistente nell’opera: Anna (impersonato dalla ballerina e coreografa Anna Olkhovaya) che si vede gironzolare dall’inizio alla fine sulla scena prima prendendo appunti e suggerendo gestualità agli interpreti e poi nei panni di Magda (stesso abito e stessa pettinatura). Una specie di alter ego sia della regista che della protagonista dell’opera. Perché? A detta dalla figlia del grande regista inglese, perché incarna molte delle sue domande e dei suoi sogni, ma di cui francamente si poteva fare tranquillamente a meno.
Lo spettacolo – che ha debuttato giovedì 4 aprile – è in replica anche domenica 7, martedì 9, venerdì 12, domenica 14 e sabato 20 aprile.