Qual è il sostegno delle nostre gallerie all’arte italiana delle ultime generazioni? Un’ottima occasione per scoprirlo è stata “No time no space”, l’ultima edizione di miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea milanese diretta da Nicola Ricciardi, che si è tenuta dal 12 al 14 aprile – giusto a ridosso del Salone del Mobile e dell’apertura stampa della Biennale di Venezia – e ha visto la partecipazione di 178 gallerie.
Al di là dell’ampiezza della manifestazione, fulcro di una Art Week meneghina particolarmente frizzante e molto affollata, è interessante analizzare quale peso hanno dato le gallerie alla produzione di artisti italiani più giovani, raramente valorizzati per come meritavano. All’interno della sezione Emergent c’è stato lo stand di Baleno International, che ha puntato su Dario Guccio (1988) e Caterina De Nicola (1991) organizzato con un perfetto equilibrio tra le opere a parete di Guccio e le sculture a terra di De Nicola, mentre nella sezione Established il progetto Portal, curato da Julieta González e Abaseh Mirvali ha permesso a dieci gallerie di presentare altrettante mostre monografiche, delle quali tre dedicate ad italiani. La Nuova Galleria Morone ha puntato sull’artista sarda Maria Lai, scomparsa nel 2013, Chert Ludde sul toscano Franco Mazzucchelli (classe 1939) e Ciaccia Levi, in collaborazione con Zero…, su Francesco Gennari (1973).
L’artista ha scelto di presentare Vorrei perdermi e non trovarmi più (2023), un’opera che consiste in un tubo metallico aperto, dal quale fuoriescono stelline e piccole sfere dorate, sparse sul pavimento grigio chiaro, come un oggetto magico abbandonato da un prestigiatore distratto. Originale e interattivo lo stand monografico di Francesco Arena (1978) da Raffaella Cortese, dove troneggia Altalena, un’altalena di bronzo con frasi liberamente tratte da Anna Karenina, il romanzo di Tolstoi. Da Zero… spicca l’opera di Irene Fenara (1990), l’immagine di un golfo marino, scattata da una telecamera di sorveglianza come parte di una ricerca legata al controllo digitale mentre nella parete esterna dello stand di Continua troneggia La vida y la muerte me estan desgastando (2023), la fotografia di Giovanni Ozzola (1982) dell’interno di un edificio abbandonato sulle coste delle Canarie. Sprovieri ha presentato, in tutta la sua naturale semplicità, Pinna Nobilis (Z) (2018) di Giorgio Andreotta Calò (1979), un calco in bronzo della conchiglia bivalve della laguna veneta, in dialogo con Vaso (Moore) (2023) di Namsal Siedlecki (1986), interessante ed originale scultura in terracotta ispirata ad un’opera di Henry Moore, presentata da Magazzino.
Di grande impatto Power Compression (2023), la scultura cinetica di Rosa Barba (1972) che apre lo stand di Vistamare con il movimento danzante della pellicola cinematografica in un delicato gioco di percorsi e traiettorie , mentre da SpazioA Dry salvages (lady) (2022) di Giulia Cenci (1988), strutturata in un’inquietante combinazione di incastri tra calchi di volti umani ed animali e ingranaggi meccanici, annuncia la presentazione di Secondary Forest, l’opera site-specific realizzata dall’artista nel progetto High Line di New York.
Continua l’attenta attività di scouting della galleria Ada, che presenta a Miart le nuove sculture di Davide Stucchi (1988) accanto alle opere a parete di Jacopo Belloni (1992), che reinterpretano situazioni e cicli del mondo naturale. Al di fuori del perimetro dell’arte emergente, si segnala la proposta di Viasaterna incentrata sulle fotografie di Guido Guidi (1941), che racconta il paesaggio romagnolo con uno sguardo rarefatto e poetico, e lo stand di Erica Ravenna, dove un’intera parete è dedicata al dialogo tra le opere di Vincenzo Agnetti e Tomaso Binga, legate al rapporto tra scrittura e immagine. In conclusione si può dire che la presenza dell’arte italiana emergente all’interno della fiera non sia stata massiccia né particolarmente visibile, ma puntuale e calibrata, pur se ancora caratterizzata da una certa timidezza, non particolarmente indicata per affermarsi a livello internazionale.